Eroina ed immigrazione. Parte quinta: i canali di Amsterdam

Montagnola

UNA CITTA’ INVASA DAGLI SPACCIATORI

Negli ultimi anni del millennio, le condizioni degli eroinomani italiani iniziavano a migliorare, sia dentro il carcere che fuori. Le parti positive della legge 309/90 iniziavano a funzionare ed il lavoro dei servizi stava iniziando a dare i suoi frutti. Merito anche del referendum del 1993, che aveva abolito il concetto di dose media giornaliera e limitato significativamente gli ingressi. Anche se ancora pieno di tossicodipendenti, il carcere iniziava a perdere il ruolo di “lazzaretto” in cui era stato trascinato da qualche anno. Il problema degli eroinomani-spacciatori immigrati, però, continuava ad evolvere senza altra risposta se non quella repressiva ed il loro numero in carcere continuava ad aumentare.

 

Montagnola

 

Per le strade di Bologna non andava meglio ed il fenomeno dello spaccio di strada aveva ormai raggiunto il suo apice. Vi era un esercito di piccoli spacciatori immigrati ad ogni angolo del centro storico, specie nella zona del cosiddetto Quadrilatero, una vasta area prospiciente la stazione centrale, che comprende il parco della Montagnola e si spinge fino al limite della zona universitaria, zona storica di spaccio. Non bisognava più attendere per ore l’arrivo del pusher, come accadeva con i cavalli italiani. Erano loro che cercavano i clienti e offrivano la loro merce. Uno spaccio sempre più sfacciato, senza alcun ritegno. Bastava attraversare quella parte della città per essere apostrofati: “Vuoi spendere?”, era il ritornello. Non bisognava avere un aspetto particolare per ricevere questa proposta, è capitato più volte a me stesso ed anche a persone in giacca e cravatta. Una domanda sommessa, una specie di codice: chi stava cercando, capiva. Chiunque poteva essere una persona che “stava cercando”: i pusher sanno benissimo che l’eroina è un fenomeno trasversale. Lo spaccio diventava sempre più organizzato, oltre che sfacciato e le retate della polizia spesso si concludevano con un nulla di fatto: vi era una rete efficiente di vedette e di sentinelle pronte a dare l’allarme, in seguito al quale tutti si dileguavano. Le scene di arresto diventavano sempre più brutali e da telefilm americano: persone bloccate ed ammanettate mentre erano ancora stese per terra, tenute ferme da un nugolo di agenti e trascinate via a forza. Fughe disperate ed inseguimenti a piedi ed anche colpi di pistola, esplosi in aria a scopo intimidatorio: è successo anche sotto al mio balcone. In questa fase, alcuni dei pusher di strada stavano iniziando la loro scalata: non più solo manovali, ma qualcuno riusciva ad occupare il livello immediatamente superiore. Vi erano anche gruppi molto agguerriti e che si andavano organizzando: nella seconda metà degli anni Novanta era molto attivo un gruppo proveniente dalla città tunisina di Sfax, composto da criminali più che da disperati, che tentò di monopolizzare il mercato di strada. Iniziarono così anche le risse e gli accoltellamenti. Il gruppo di Sfax marcava il territorio, chissà se i bolognesi l’hanno mai capito. Sulle colonne che reggono i portici nella zona della stazione, all’inizio di via indipendenza e sui bianchi marmi del Pincio bolognese, potevi leggere una scritta fatta col pennarello nero e sottolineata, talora più volte “Sfax”. Se però da un lato lo spaccio di strada degli immigrati era sempre più evidente, dall’altro vi fu la prima notizia di un eroinomane immigrato deceduto per overdose. Un decesso solo non fece certo scalpore e nessuno registrò l’evento: in quegli anni a Bologna non vi era neppure un’osservatorio epidemiologico ed i morti, come nel resto d’Italia, li contava la polizia. Al primo decesso, però, ne seguirono altri ed in qualcuno, anche all’esterno del carcere, iniziarono ad insinuarsi i primi dubbi. Non però nell’opinione pubblica. Nel 1996 a Bologna morirono di overdose quasi 60 persone (1566 in Italia): un morto per eroina faceva notizia solo se era famoso.

 

Harm reduction model

 

1995: LA CONFERENZA MONDIALE DI RIDUZIONE DEL DANNO A FIRENZE

Il 1995 è un anno di svolta, che ha segnato profondamente il mio pensiero successivo e mi ha fornito la chiave di lettura per mettere a punto una visione e sviluppare una strategia di approccio al problema, anche se in mancanza di un contesto normativo di riferimento. Dal 1990, si teneva e si tiene ancora ogni anno la Conferenza Mondiale sulla Riduzione del Danno, organizzata dall’IHRA (International Harm Reduction Association). Il primo anno si tenne a Liverpool e nel 1995 la Conferenza sbarcò a Firenze, con il supporto, fra gli altri, della LILA (Lega Italiana per la Lotta all’AIDS) e del Gruppo Abele. La Conferenza Mondiale è volutamente itinerante ed ogni edizione viene tenuta in un paese diverso, perché ha anche lo scopo di diffondere questa filosofia di approccio al problema. Per questi motivi, ormai da molti anni, la Conferenza viene tenuta in quei Paesi dove maggiori sono le conseguenze negative dell’uso di droghe o più difficile l’accesso alle cure. Per andare in treno da Bologna a Firenze oggi occorrono solo venticinque minuti, all’epoca poco meno di un’ora e per di più la sede della Conferenza era a pochi minuti a piedi da Santa Maria Novella. Così, quando arrivò l’annuncio al servizio, decisi di iscrivermi, anche se avevo ancora un’idea molto vaga su cosa fosse la riduzione del danno.  A Firenze mi si spalancò un mondo: i miei dubbi, le mie perplessità e finanche le priorità che avevo individuato, trovavano risposta in questa strategia. Sembrava quasi che qualcuno avesse dato forma di strategia di intervento alla mia visione ed al mio modo di pensare ma, soprattutto, a quello che avevo visto. Scoprii che in altri paesi c’erano programmi appositi per eroinomani da strada, per immigrati, per sex worker, tesi a tutelare soprattutto l’incolumità, la salute e la dignità della persona, più che a spingere a curarsi chi non era ancora consapevole di averne bisogno o, peggio ancora, non ne era capace ed aveva già tentato e fallito più volte. A Firenze presi consapevolezza anche del fatto che, mentre in Italia si sprecava denaro pubblico per produrre siringhe autobloccanti che nessun eroinomane utilizzava (oppure sabotava, con guai ben peggiori), in altri paesi vi erano i programmi di scambio siringhe e a nessuno veniva in mente l’osservazione, priva di qualsiasi fondamento, che questo intervento incentivasse il consumo di droghe. Non era un caso se questi paesi avevano tassi di infezione per HIV fra i tossicodipendenti per via venosa enormemente più bassi dell’Italia.  Conobbi gli operatori ed i tecnici olandesi ed anche i loro pazienti: in Olanda vi era un largo impiego di operatori pari e vi erano molti supporter (due cose molto diverse, facile fare confusione). Comunque di persone che consumavano o avevano consumato eroina e che erano impegnati a fianco degli operatori a limitarne le conseguenze negative nelle persone. I colleghi olandesi mi raccontarono che ad Amsterdam morivano per overdose meno di dieci persone ogni anno, in maggioranza stranieri di passaggio. Fra i residenti praticamente non moriva nessuno. Questo dato mi impressionò: a Bologna c’erano molti meno eroinomani che ad Amsterdam e ne morivano più di cinquanta ogni anno. Prevenzione dell’overdose, programmi specifici per immigrati, punti di scambio siringhe: nulla di tutto ciò faceva parte del mio lavoro, ma mi appariva al tempo stesso dannatamente utile e necessario, nonché urgente. Fra l’altro materiale che gli olandesi distribuivano, c’era un modulo di richiesta per un soggiorno di studio. Ne presi alcune copie.

 

Amsterdam

 

1996: IL SOGGIORNO DI STUDIO AD AMSTERDAM

Devo ringraziare soprattutto la responsabile del mio servizio se l’anno dopo feci la mia prima visita di studio ad Amsterdam. Oggi non sarebbe più possibile: solo corsi accreditati e una visita all’estero non è accreditabile. Non faccio però alcuna fatica ad affermare che furono più formativi quei giorni, di tutte le iniziative obbligatorie degli anni successivi messe assieme. Quando chiedi il permesso per un corso di formazione all’estero il primo pensiero è che tu voglia fare una vacanza spesata. Un pensiero evidente, che nessuno si sforza di nascondere. Così, per fugare subito questo dubbio, nella domanda specificai che chiedevo il rimborso solo del 50% delle spese di aereo ed albergo. In tutto circa settecentomila lire. La mia responsabile garantì sulle buone intenzioni della mia richiesta e giunse l’autorizzazione.

 

Methadone by Bus

La visita si svolse in soli 3 giorni, durante i quali visitai ben 20 progetti diversi. Spostamenti a tappe forzate, organizzati al minuto ed incastrati con gli orari dei mezzi pubblici, con i percorsi tracciati sulla cartina, nella migliore tradizione nordica. Come è tipico di quella cultura, poi, mi dovevo muovere da solo, senza alcun accompagnatore. In Olanda l’indipendenza e l’autonomia si apprendono sin dai bambini, assieme all’inglese ed al valore della tolleranza. Ciò che vidi cambiò la mia visione e diede una risposta a tutte le mie perplessità. Una rete di servizi ricca, articolata su progetti, mirati a loro volta su target specifici: le prostitute tossicodipendenti, gli immigrati, i turisti delle droghe. Tutti finalizzati, innanzitutto, alla tutela dell’incolumità e della dignità della persona e della Salute Pubblica. Sugli immigrati, poi, erano anni luce avanti a noi: non solo conoscevano bene il problema e l’avevano affrontato con azioni e progetti mirati, sviluppando una conoscenza sulla specificità della dipendenza nella popolazione migrante, ma addirittura avevano predisposto progetti specifici per gli eroinomani immigrati di seconda generazione, identificati profeticamente come una popolazione a rischio. In quella rete di servizi per me tutti nuovi, fra scambio di siringhe e controllo di qualità delle droghe, vi fu un progetto che mi colpì più di tutti gli altri, assieme ad un sistema informatizzato per il trattamento con metadone, che consentiva una terapia farmacologica più efficace. Si trattava del Methadone by Bus, un programma farmacologico con metadone “a bassa soglia d’accesso” erogato a mezzo di un ambulatorio mobile, che effettuava varie fermate nel territorio cittadino, ad orari fissi e trattava quasi 400 persone. Un progetto che era nato proprio per affrontare l’emergenza della diffusione dell’eroina fra gli immigrati della ex colonia olandese del Suriname, nel 1978. Un servizio che garantiva poche prestazioni, ma di ottima qualità. Come afferma Ernst Buning, lo psicologo (e non il medico) che l’ha pensato “Ad una bassa soglia d’accesso deve corrispondere un elevato profilo progettuale ed un’alta qualità della prestazione”.

Tornai da Amsterdam determinato a realizzare almeno qualcosa di quello che avevo visto ma, soprattutto, a spalancare le porte del servizio agli eroinomani più in difficoltà ed esposti a rischio.

Fra questi, gli eroinomani immigrati.

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