Il punto sul levometadone
Ho tenuto per due volte una presentazione sul levometadone, ai convegni regionali SITD Sicilia del 10 giugno (a Gela) e del 28 ottobre 2016 (ad Acireale), e la riporto ora su Dedizioni in modalità discorsiva.
AGGIORNAMENTO: in occasione del convegno regionale SITD Calabria del 25 maggio 2017 ho ripreso la presentazione e l’ho aggiornata e integrata con qualche dettaglio in più concernente la funzionalità epatica; gli aggiornamenti sono riportati nell’articolo.
Si tratta di quel che ho capito io del farmaco, sulla base della Letteratura scientifica accessibile. Non ho ancora esperienza diretta del suo uso, perché non è ancora in prontuario regionale, quindi si tratta soltanto di un’elaborazione di quanto pubblicato, ma penso che possa essere utile ai clinici per farsi un’idea preventiva e decidere se e come adottarlo.
Un discorso sul levometadone non può che partire dal più serio degli effetti avversi del comune metadone di cui si fa uso in Italia, il metadone “racemo”. Racemo vuol dire che contiene in eguali proporzioni due forme del metadone che sono immagini speculari l’una dell’altra, e che vengono chiamate chimicamente levometadone (o R-metadone) e destrometadone (S-metadone). Solo una di queste due forme contribuisce effettivamente all’attività del farmaco sui recettori oppioidi, ed è precisamente il levometadone. L’altra forma, il destrometadone, è molto meno attiva sugli oppioidi, e si è lasciata dentro perché produrre levometadone puro (senza la forma destro) ha dei costi aggiuntivi.
Il metadone racemo è un farmaco molto sicuro, fintantoché viene usato in maniera razionale, ed infatti nei soggetti seguiti in maniera clinicamente corretta non si osservano significativi problemi di salute a parte effetti ben noti come stitichezza e sudorazione profusa.
C’è però un problema sotterraneo, che viene alla luce nel momento in cui il paziente che prende metadone assomma altri fattori di rischio (di cui parleremo più avanti), ed è l’aritmia cardiaca ventricolare, evento che può portare alla morte improvvisa.
Da una chiacchierata con i tossicologi forensi della zona, mi consta che nel 2016 ci siano stati nella nostra zona (Sicilia orientale) perlomeno due eventi di morte improvvisa correlati al metadone (quindi non overdose, che si sviluppa in tempi di ore ed ha specifiche caratteristiche autoptiche). Ambedue i pazienti sono stati trovati morti dopo aver iniettato endovena il metadone, hanno i segni post-mortem della morte improvvisa cardiologica, ed hanno elevatissimi livelli di metadone negli organi esaminati.
Anticipiamo – per chiarezza – che il vantaggio che dovrebbe verosimilmente dare il levometadone, è di ridurre il rischio di questo tipo di eventi. È probabile che si possano salvare delle vite umane e – non secondariamente – delle vicissitudini giudiziarie per i curanti.
Torniamo alle aritmie. Dal sito della rivista Circulation, organo dell’American Heart Association, ecco un esempio del tipo di aritmia che può essere indotta da vari farmaci e condizioni patologiche, incluso il metadone, e che si chiama “Torsione di Punta” perché nell’elettrocardiogramma sembra che l’asse elettrico del cuore vada torcendosi 1
Come è visibile, dopo l’asterisco inizia un’attività anormale del cuore, associata ad insufficiente gittata (quindi sincope e possibile esito nel decesso, a meno che non si effettui prontamente la defibrillazione). Nel caso specifico, si trattava di un giovane uomo in terapia con metadone, che aveva ingerito una quantità imprecisata di medicine dall’armadietto di casa.
La base fisiologica di questi eventi è legata ad un ritardo nella ripolarizzazione delle cellule miocardiche dei ventricoli. Quando parte del tessuto del ventricolo ritarda a ripolarizzarsi, si può formare una sorta di “cortocircuito” per il quale il tessuto anziché obbedire ai comandi provenienti dal nodo del seno, propagati attraverso il nodo atrio-ventricolare e le branche di conduzione, inizia ad autoeccitarsi da solo e rapidamente. Le contrazioni che ne derivano sono superficiali, troppo veloci ed inefficienti nello spingere il sangue in circolo.
Si può vedere se il cuore ha questo problema di ripolarizzazione tramite l’elettrocardiogramma, valutando un parametro che è la durata dell’intervallo QT, corretto secondo la formula di Bazett o di Fredericia.
La correzione di Bazett prevede di dividere la durata del tratto QT per la radice quadrata del tratto RR, quella di Fredericia per la radice cubica.
I valori normali del QTc secondo Bazett sono di 450 msec nel maschio e 460 msec nella femmina. Valori superiori indicano che il ventricolo tarda a ripolarizzarsi, e se superiori a 500 msec generalmente vengono ritenuti preoccupanti.
L’allungamento del tratto QTc infatti è considerato il principale indicatore di rischio di sviluppare quel tipo di aritmie cardiache che abbiamo considerato sopra, e si cerca per quanto possibile di evitare che succeda.
In certi soggetti, per ragioni genetiche, il QTc è troppo lungo sin dalla nascita, primariamente per mutazioni (ereditabili o puntiformi) del DNA che codifica per i canali ionici delle cellule cardiache. Si parla di “sindrome del QT lungo” e in molte regioni si fa lo screening alla nascita o poco più tardi per questa condizione, in maniera da prevenire eventi di morte improvvisa nell’infanzia o nella gioventù (spesso in occasioni di modici sforzi sportivi).
Il problema è che un’ampia gamma di farmaci ha un effetto di allungamento del tratto QTc, perché tende in un modo o nell’altro a ridurre l’efficacia dei canali ionici delle cellule muscolari cardiache. Questo effetto è generalmente additivo, e così dando al paziente più di un farmaco che allunga il QTc, si aumenta notevolmente il rischio di un evento aritmico potenzialmente letale. La probabilità è ancora maggiore in soggetti geneticamente predisposti. Infatti, le linee guida per svariate classi di farmaci (es. antipsicotici) prevedono che prima della somministrazione sia obbligatorio escludere un allungamento del QTc mediante elettrocardiogramma.
La lista completa ed aggiornata dei farmaci che allungano il QTc è disponibile su internet al sito http://www.crediblemeds.org (una volta noto come torsades.org); e consultandolo, vedremo che il metadone è uno dei farmaci che allunga il QTc e per cui sono documentati episodi di Torsione di Punta (mentre la buprenorfina, pur allungando il QTc, non ha finora dato origine a episodi documentati).
Quindi il metadone è un farmaco con potenziale rischio di aritmie.
Da quanto tempo lo sappiamo? È una cosa nuova? No, lo sappiamo già da più di cinquant’anni 2 .
Gli studi prospettici mostrano l’effetto dell’inizio della terapia con metadone aumenta il QTc di 34 msec in 16 settimane, o 10 msec in 12 mesi 3 .
Nel corso di trattamento con il metadone, troviamo un allungamento del QTc nel 40% dei soggetti, preoccupante (> 500 msec) nel 4%; questo sia nei soggetti senza infezione da HIV 4 che in quelli affetti da virus HIV 5 .
Il meccanismo fisiologico di questo effetto del metadone è legato ad un interferenza con canali del potassio, presenti sulle cellule muscolari cardiache, necessari per la ripolarizzazione, e chiamati hERG 6 .
Dove entra a questo punto il levometadone nel ragionamento? Il punto è che tra le due forme, levo e destro, la forma destro è più potente della forma levo nel danneggiare la funzionalità dei canali hERG; secondo gli studi disponibili, di circa 3,5 volte 7. È ovvio quindi che venga immediatamente l’idea di togliere dal farmaco la componente di destrometadone, che è poco o nulla efficace nell’agire sui recettori oppioidi e prevenire il craving per eroina e simili, ed è più dannosa sul cuore, e lasciare solo la componente di levometadone, che è quella che interessa a noi nella terapia della dipendenza da oppiacei e tende meno ad indurre aritmie.
Ecco una classica curva dose-effetto delle due forme, destro- e levometadone, nell’inibire il passaggio dello ione potassio nei canali hERG in ambito sperimentale 8 .
Come visibile, il destrometadone (qui chiamato s-methadone) provoca una corrente elettrica (indice del passaggio di ione potassio) molto minore del levometadone (qui chiamato r-methadone). Le concentrazioni in gioco sono superiori a quelle comunemente presenti nel siero in caso di terapia correttamente prescritta e assunta, ma potrebbero essere raggiungibili per esempio in caso di iniezione endovenosa di metadone (in cui l’assorbimento del farmaco è totale e istantaneo).
E questo ha rilevanza clinica? Il punto importante da capire è che nella stragrande maggioranza dei casi di terapia non complicata questo effetto non ha una significativa rilevanza clinica, ed infatti i nostri pazienti a metadone clinicamente non hanno frequenti problemi cardiologici.
Quando ci sono dei decessi da metadone, generalmente si verificano in soggetti privi di tolleranza agli oppiacei o con tolleranza persa per un periodo di astensione dall’uso, e che possono aver associato altre sostanze che deprimono il sistema nervoso centrale come tranquillanti e alcolici ; la morte si presenta come overdose, quindi con depressione respiratoria ingravescente nell’arco di ore, che culmina, se non trattata, in arresto cardiaco 9. L’evento inoltre è più frequente quando il metadone è utilizzato nel trattamento del dolore, piuttosto che nel trattamento della dipendenza da oppiacei, dove la tolleranza generalmente si è già assestata prima dell’inizio del trattamento sanitario.
In effetti, non abbiamo ancora una stima del tasso di morte improvvisa cardiaca da metadone nelle popolazioni ambulatoriali in terapia sostitutiva, proprio perché si tratta di un evento raro. Una stima per eccesso (basata sul follow-up di 6450 pazienti dove non è stato accertato alcun caso) la riporta come inferiore allo 0,06% l’anno 10, che è un valore addirittura inferiore a quello di 0,113% l’anno valutato per la popolazione generale, anche se età, sesso e comorbidità sono differenti; in ogni caso la mortalità per morte improvvisa cardiaca non sembra diversa nei pazienti in metadone da quella della popolazione generale 11 .
Tant’è, che ad oggi le linee guida per la terapia della dipendenza da oppiacei con metadone non prevedono lo screening pre-trattamento con elettrocardiogramma, a differenza delle linee guida per la terapia del dolore con metadone, generalmente in pazienti medici o chirurgici.
E perché in questi pazienti si? Perché i pazienti con altre patologie, dove si inizia il metadone come terapia del dolore, possono avere ulteriori fattori di rischio di allungamento del QTc e di aritmia cardiaca. E in questi il metadone può essere la classica goccia che fa traboccare il vaso dell’elettrofisiologia cardiaca.
Una bella tabella che riassume i fattori di rischio, tratta sempre dal medesimo articolo di Circulation, è la seguente 12:
Ed ecco infatti che tra i vari fattori di rischio spunta la “rapid infusion by intravenous route”, ossia nel nostro caso l’iniezione endovenosa di metadone. Sia che avvenga per agofilia sia che venga effettuata da un paziente sottodosato che avverte ancora craving, è un serio rischio e può spiegare i casi di morte a cui accennavo all’inizio.
Altri fattori che si possono riscontrare nella clinica delle dipendenze sono la concomitante assunzione di sostanze cardiotossiche, come alcolici e cocaina; squilibri elettrolitici dovuti a diarrea ( e forse anche a sudorazione profusa sul lavoro, favorita dal metadone stesso?) o ad altre patologie; cirrosi epatica (la riduzione della protrombina è ritenuto un marker di rischio), ed ovviamente patologie del muscolo cardiaco, prima delle quali la sindrome del QT lungo.
I farmaci che tendono ad allungare il QTc e aumentano il rischio aritmico sono spesso quelli a cui ci si riferisce come anti-qualcosa (antiaritmici, antistaminici, antibiotici, antipsicotici ed antidepressivi), utile da ricordare quando non si ha a disposizione la tabella aggiornata 13 .
Esiste anche una condizione congenita, che è la scarsa attività di uno dei citocromi epatici che effettuano il metabolismo dei farmaci, il citocromo CYP2B6. Quando l’attività di questo citocromo è insufficiente, tende ad accumularsi nell’organismo il destrometadone, e quindi è possibile che aumenti il rischio aritmico 14 .
Se uno guarda dunque la tabella dei fattori di rischio, si rende conto che tante patologie possono allungare il QTc; per cui, i nostri pazienti a metadone, che quando stanno bene non hanno un particolare rischio cardiologico, possono viceversa diventare a rischio quando insorge un’altra patologia, e pertanto quando ospedalizzati.
È stata studiata infatti la distribuzione della durata del QTc nei soggetti in metadone ospedalizzati, in paragone ad un gruppo di controllo 15.
La linea arancione, che ho aggiunto io, è a 460 msec, il limite normale nel sesso femminile, mentre quella rossa, a 500 msec, può essere considerata il limite di pericolo. Come si vede dal grafico, mentre i controlli (barre grigio scuro) sono quasi tutti al di qua del limite normale, i pazienti a metadone ospedalizzati (barre grigio chiaro) hanno una distribuzione del QTc molto più allargata a valori elevati, anche preoccupanti perché maggiori di 500 msec.
E in questi casi, sommando l’effetto del metadone con gli altri fattori di rischio, si può verificare l’aritmia – e si può verificare anche se il paziente assume dosaggi bassi di metadone.
Gli Autori hanno costruito un modello matematico dell’influenza di questi fattori di rischio; quelli che hanno evidenziato maggiormente sono il potassio serico, la funzionalità epatica (valutata tramite i livelli di protrombina), la presenza di fattori che inibiscano i citocromi epatici ed il dosaggio di metadone.
Come visibile nell’immagine sopra, elaborata sulla base di quella pubblicata, metà superiore, in assenza di farmaci che inibiscono i citocromi, si ottengono livelli già anomali di QTc (sopra la linea arancione) anche quando il potassio e la protrombina sono normali, ma senza salilre a livelli pericolosi sopra i 500 msec (linea rossa). Se però la protrombina è bassa (spia di insufficienza epatica), anche all’interno di livelli di potassio normali (area verde) il QTc può salire oltre i valori preoccupanti (linea rossa), sia a livelli bassi (50 mg) che medi (150 mg) di metadone.
La situazione è peggio quando sono presenti bloccanti dei citocromi epatici (metà inferiore del grafico). In questo caso, entro i livelli di potassio normali la risalita del QTc oltre i limiti è più precipitosa, in particolare con la protrombina bassa.
Quando potassio, protrombina, e inibizione dei citocromi agiscono sinergicamente, il paziente a metadone può essere a rischio.
È qui mostrata infatti un’altra immagine del medesimo studio, dove viene correlata la dose di metadone con il QTc e gli eventi di Torsione di Punta (a cui per chiarezza grafica ho sovrapposto un triangolino rosso, mentre la linea arancione è posta come prima a 460 msec e quella rossa a 500 msec):
Come si vede, non solo la correlazione tra dose di metadone e QTc è scarsa (infatti già i livelli ematici sono scarsamente correlati con la dose, ma bisogna pure tenere conto della variabile incidenza degli altri fattori di rischio), ma gli eventi aritmici gravi avvengono già a dosaggi “bassi” di metadone, a occhio dal grafico diciamo 30-60 mg, qualcuno anche intorno a 200 mg, mentre a dosaggi anche molto più alti non si sono verificati, per fortuna del paziente. Probabilmente nei casi di dosaggi bassi congiuravano i fattori di rischio precedentemente visti.
C’è anche da ricordare che pazienti con epatopatia cronica da HCV potrebbero assumere dosaggi di metadone più alti della media, perché il virus HCV nella fase infiammatoria della malattia tende ad indurre l’espressione dei citocromi che metabolizzano il metadone, e quindi il paziente necessiterà di dosi maggiori per essere stabilizzato 16 17 18 (che sarebbe buona norma suddividere in due-tre somministrazioni refratte nel corso della giornata, in maniera da evitare picchi e valli di concentrazione troppo evidenti).
Come dicevo prima, possiamo provare a diminuire il rischio togliendo dalla terapia il destrometadone ed usando solo il levometadone.
Negli esperimenti 19 , passando da metadone racemo a levometadone, in un gruppo di pazienti senza particolari fattori di rischio, il QTc (valore mediano calcolato secondo Bazett) passava da 433 msec (a tempo zero), a 430 msec (una settimana), e poi a 428 msec (due settimane).
Tornando indietro da levometadone a metadone racemo, dopo due settimane tornava a 435 msec. In questo studi le variazioni del QTc, effettuando un’analisi multivariata, sembravano avvenire nei pazienti che avevano riduzioni anche minime, e abbondantemente ancora nell’intervallo di normalità, del potassio plasmatico a tempo zero, valori inferiori a 4.65 mEQ/L, quando i valori normali sono noti essere circa da 3.5 a 5.1 mEQ/L. E infatti nel medesimo studio l’effetto dei livelli serici di potassio era 200 volte quello del metadone, e del calcio 600 volte tanto.
Gli Autori dello studio consigliavano negli ospedalizzati la sospensione del metadone racemo o la rotazione con un altro oppioide; i risultati che ottenevano da queste manovre sono visibili in questo grafico, dove la linea arancione che ho aggiunto è sempre riferita a 460 msec, e quella rossa a 500 msec, livello di pericolo.
Come si vede, con questa manovra prudenziale nella maggior parte dei casi si riusciva a portare il QTc entro livelli sicuri. Gli Autori non avevano a disposizione levometadone per provare se potesse migliorare la situazione.
E in effetti non sono disponibili, per quanto ne so ad oggi, studi di coorte che provino che una coorte di soggetti trattati con levometadone abbia un minor rischio di eventi cardiologici gravi rispetto ad una coorte appaiata trattata con metadone racemo, anche perché il levometadone fino ad oggi è stato utilizzato solo in paesi di lingua tedesca (principalmente Germania ed Austria) e l’esperienza clinica del resto del mondo è limitata. Possiamo penso però accettare come “endpoint surrogato”, fino a che non disporremo di evidenze migliori, il fatto che il levometadone ha un minor effetto di prolungamento del QTc, e fidarci che questo nei grandi numeri ed in presenza di altri fattori di rischio – spesso incontrollabili – ciò si traduca in una riduzione degli eventi e della mortalità cardiologica.
A questo punto potremmo fermarci, ma la domanda che viene alla mente di qualunque specialista nelle dipendenze patologiche, è “ma questo levometadone funziona altrettanto bene del normale metadone racemo? O avrà effetti dannosi sull’equilibrio dei miei pazienti?”
In effetti la domanda è legittima, anche perché nella farmacologia clinica, e massimamente in campo di farmaci psicoattivi, è noto che i singoli isomeri ottici possono avere effetti anche molto diversi dal racemo 20 – vedasi ad esempio il caso dell’escitalopram rispetto al citalopram.
In questa seconda parte dell’articolo cercherò di rispondere.
Sappiamo già da subito dopo la seconda guerra mondiale che le due forme isomere ottiche del metadone hanno effetti diversi: gli Inglesi infatti lo hanno saputo nel corso degli interrogatori dei chimici farmaceutici tedeschi, che erano stati i primi a sintetizzare il metadone (ma non avevano fatto a tempo ad utilizzarlo come farmaco antidolorifico durante il conflitto) 21 .
In questo studio postbellico, già (come atteso) 3 mg di levometadone dato a volontari sani provocava evidenti segni di effetto oppiaceo, mentre per avere un effetto simile sul dolore (per quanto soggettivamente diverso e di minor durata) servivano 160 mg di destrometadone (nell’immagine qua sotto il metadone è indicato come dolophine).
L’uso clinico del destrometadone è stato tentato 14 anni dopo, nel 1962 22, nella “Narcotic Farm” di Lexington (Kentucky), una sorta di carcere sperimentale a custodia attenuata in cui ai tempi venivano mandati i soggetti dipendenti da oppiacei, e dove venivano effettuate varie sperimentazioni sui volontari per cercare di curare la dipendenza.
I pazienti vennero trasferiti da 240 morfina sc pro die a 520-730 mg destrometadone p.o. in 3 somministrazioni. Anziché sollievo, ne derivarono nervosismo, insonnia, nausea, vomito, disturbi visivi ed incubi terrorizzanti. Al dosaggio di 900 mg x 5 gg, benché il destrometadone venisse riconosciuto dai soggetti sperimentali come morfinosimile, si verificarono effetti spiacevoli, allucinazioni, effetti amfetamino-simili, nausea, depressione. La sperimentazione venne interrotta perché il destrometadone fu infine rifiutato dai pazienti.
In cosa differiva allora il destrometadone dal levometadone, a parte essere un oppioide molto più debole? A distanza di tempo si è visto che la differenza fra i due, in termini di effetti psicoattivi, risiede nel rapporto tra gli effetti oppioidi e quelli di antagonismo dei recettori NMDA del glutammato.
Ambedue le forme destro- e levo infatti sono antagonisti NMDA 23, ma ovviamente siccome a parità di effetti oppioidi occorre dare una maggior quantità di destrometadone, l’effetto anti-NMDA risultante è più spiccato, e da qui le differenze soggettive in senso di sintomatologia spiacevole.
Inoltre, levometadone e destrometadone hanno una diversa specificità per i vari sottotipi del recettore NMDA 24 .
Ha importanza questo? Alcuni studi indicano che in modelli sperimentali sull’animale destro- e levometadone hanno effetti diversi sulla tolleranza alla morfina, dipendenti dal tipo di modello scelto 25 26 27, ed in particolare che elevati dosaggi di destrometadone (5-10 volte di più) possono ridurre la tolleranza al levometadone 28.
Nell’uomo quindi si è temuto che togliendo il destrometadone si potesse instaurare un maggior effetto di tolleranza nel tempo agli effetti del levometadone nella terapia della dipendenza da oppiacei, e cioè si fosse costretti nel tempo ad aumentare notevolmente i dosaggi, a differenza che col normale metadone racemo con il quale, nella maggior parte dei casi, si ottengono durature stabilizzazioni una volta raggiunta la dose efficace.
Si è visto però in uno studio retrospettivo 29 che i soggetti trattati con levometadone tendevano ad aumentare il dosaggio nel tempo (indice di tolleranza), fino a 20 anni di terapia, in maniera parallela a quelli trattati con metadone racemo, indicando che non vi sono differenze significative in questo ambito tra i due trattamenti.
Quanto agli effetti farmacologici attesi, il benessere soggettivo riportato da pazienti in metadone (sono stati considerati quelli insoddisfatti del trattamento, dove le variazioni giornaliere sono più evidenti) appare correlato primariamente ai livelli ematici di levometadone, meno correlato ai livelli sommati di destro- e levometadone, e non correlato ai livelli di destrometadone 30, suggerendo che solo il levometadone è clinicamente efficace.
Inoltre, il destrometadone libero nel plasma è più biodisponibile nei soggetti dove la terapia “non copre” (nonholders), che avvertono pure maggiori sintomi depressivi 31.
La maggiore esperienza clinica con il levometadone si è avuta in Germania, dove è stato utilizzato come unico tipo di metadone dal 1987 al 1994, anno in cui è entrato in commercio parallelamente anche il racemo, con prezzo più basso.
I Colleghi tedeschi hanno pubblicato vari studi di confronto tra levometadone e metadone racemo, con risultati tutto sommato molto simili tra di loro.
Nel passaggio in doppio cieco da levometadone a racemo, non è stato riscontrato nessun fenomeno rilevante, a parte minimi aggiustamenti di dosaggio 32 che potrebbero essere dovuti ad autoinduzione del metabolismo 33. In uno studio il racemo, rispetto alla forma levo, ha indotto una tendenza non significativa a minor uso di eroina 34 o una minor incidenza degli effetti avversi tipici del metadone 35 , in un altro il racemo ha indotto maggiori sintomi astinenziali 36. Comunque complessivamente, fatte salve differenze tra le varie popolazioni studiate e i vari protocolli sperimentali, levometadone e metadone racemo sembrano essere in media analoghi in termini di efficacia ed effetti avversi.
Molto di quanto si riesce ad ottenere dalla terapia, probabilmente, dipende più che dalle possibili lievi differenze soggettive tra levometadone e racemo, dall’intensità e qualità della relazione terapeutica.
È molto esemplificativo, a mio parere, un altro studio tedesco, di tipo naturalistico 37 , dove nei casi in cui i pazienti (o i terapeuti) si dichiaravano insoddisfatti dei risultati della terapia con metadone racemo, si passava al levometadone. I risultati dello studio sono eccessivamente lusinghieri (riduzione delle urine positive a qualunque sostanza illecita dal 61% al 40%, aumento dei soggetti liberi da sintomi astinenziali dal 20% al 58%, riduzione dei soggetti con craving dal 70% al 37%, riduzione statisticamente significativa del numero di soggetti con effetti avversi, aumento dei soggetti con buona compliance dal 60% all’86%, valutazione dei sanitari di migliore efficacia nel 72% e migliore tollerabilità nel 79%) e personalmente ipotizzo possano essere attribuiti in buona parte al maggiore interessamento nella relazione terapeutica legato alla valutazione congiunta del grado di soddisfazione della terapia da parte di paziente e terapeuta, ed alle aspettative nei confronti del nuovo farmaco.
Quanto ai dosaggi, a parità di effetto oppioide con il levometadone basta la metà dei milligrammi usati con il metadone racemo. Quindi ad esempio 100 mg di metadone racemo equivalgono come potenza a 50 mg di levometadone.
Possiamo ipotizzare, anche se andrebbe rigorosamente provato da uno studio appositamente progettato, che i pazienti possano meglio accettare terapie caratterizzate dalla metà dei milligrammi (per quanto l’efficacia sia la stessa). È verosimile che ci si senta meno compromessi e “intossicati” a sapere di prendere cinquanta milligrammi anziché cento, cento anziché duecento e così via. Probabilmente i clinici dovranno prepararsi a sfruttare al meglio questo effetto placebo per migliorare la compliance e il carico emotivo della terapia sostitutiva. Nulla esclude che anche gli stessi terapeuti accettino meglio di scrivere una prescrizione di metà dei milligrammi, ma qui entriamo in un campo poco esplorato di psicologia del terapeuta, ed io non mi sento abbastanza qualificato da trattarlo.
Tornando ai dati, se rimarrà vero quanto anticipatomi verbalmente dal produttore, cioè che il farmaco sarà commercializzato alla concentrazione dello 0.25%, questo vuol dire che 100 mg di metadone racemo allo 0.5% (il metadone “concentrato” o “amaro”) e gli equivalenti 50 mg di levometadone, saranno contenuti nello stesso volume di sciroppo pari a 20 millilitri. Questo riduce la possibilità di sbagliare da parte dei sanitari e dei pazienti.
Ciò ci introduce all’ultimo aspetto di questo articolo prima delle conclusioni, e cioè quali siano i dosaggi efficaci di levometadone (o se è per questo, anche di metadone racemo).
Un recente studio italiano 38 trova che è necessaria una concentrazione minima nel plasma di 250 ng/ml di levometadone perché nessun paziente avverta craving per oppiacei (200 ng/ml per non usare eroina).
Queste soglie, secondo le valutazioni dello stesso studio, sono raggiungibili con buona probabilità soltanto con una dose di racemo a partire dagli 80 mg (la linea rossa, che ho aggiunto io, rappresenta il livello soglia di 250 ng/ml).
Questi risultati italiani sono in ottimo accordo con i dati classici sulla farmacocinetica clinica del metadone 39 , caratterizzati dall’ampia variabilità dei livelli plasmatici di levometadone a parità di dose pro kilo, di 17 volte nei livelli plasmatici di levometadone nei soggetti che non assumevano altri farmaci e di 41 volte in quelli trattati con altre terapie concomitanti. Anche in questo caso si osservava una soglia di 250 ng/ml di levometadone per annullare l’uso di eroina, o – in caso di determinazione analitica non stereospecifica per il racemo – di 400 ng/ml, con minore specificità, e nessun effetto soglia per la componente di destrometadone. Secondo i dati di variabilità farmacocinetica espressi in questo classico studio, per raggiungere la soglia di 250 ng/ml di levometadone, il dosaggio di racemo in un paziente di 70 kg di peso potrebbe variare fra i due lontanissimi estremi di 55 mg/die e 921 mg/die, secondo la dotazione ereditaria di enzimi epatici catabolici ed il loro variabile stato di induzione o inibizione da farmaci.
Escludendo i livelli così estremi, e basandosi sulla distribuzione del rapporto tra dose di metadone per kilo di peso e livelli plasmatici raggiunti, visibile nella seguente illustrazione,
ho personalmente calcolato che nella maggioranza dei casi un paziente del peso di 70 kg potrà raggiungere la soglia di 250 ng/ml con una dose quotidiana di metadone racemo compresa tra 150 e 250 mg, equivalente ad una dose di levometadone tra i 75 ed i 125 mg.
Probabilmente raggiungere i 250 ng/ml sarà necessario soltanto per i soggetti con la massima tolleranza agli oppioidi, e soggetti con minore tolleranza potranno giovarsi di livelli plasmatici minori.
È verosimile che tante differenze tra paziente e paziente, e nell’ambito dello stesso soggetto tra periodi diversi, possono derivare dall’influenza di fattori congeniti (genetici), epigenetici, iatrogeni, tossici e indotti da patologie comorbili sull’espressione dei citocromi epatici responsabili del metabolismo del metadone. In particolare, citocromi diversi (che hanno diverse suscettibilità ai precedenti fattori) metabolizzano in maniera diversa il levo- ed il destrometadone, determinando con i loro cambiamenti di attività un diverso risultato in termini di livelli ematici delle due isoforme, quando venga somministrato il metadone nella “vecchia” forma di racemo.
Infatti, il citocromo CYP 2B6 ha preferenza per il destrometadone, il CYP 2C19 per il levometadone, il CYP 3A4 per ambedue gli isomeri ottici – e questi tre citocromi sono già attivi a basse concentrazioni del farmaco, mentre a concentrazioni maggiori entrano in attività altri citocromi (CYP 2C9 e CYP 2C6) 40 .
In ogni caso, questo mostra come sia plausibile che molti pazienti possano aver bisogno di dosaggi anche molto superiori a quelli più comunemente dispensati nei SerT, e che bisogna tener conto clinicamente dei riscontri sia soggettivi che oggettivi provenienti dal paziente in maniera da ridurre quanto più possibile il craving per oppioidi, ovviamente se il paziente è disponibile a farlo.
L’ultimo dubbio che ragionevolmente potrebbe venire al clinico – e forse ancora più ragionevolmente al paziente in terapia con metadone, attento alla propria salute – è: “come mai, visto che sappiamo tutte queste cose da tanti anni, si parla di levometadone solo adesso?”.
Una possibile risposta può venire da una lettera 41 scritta da Steven Karch, tossicologo e anatomopatologo notissimo nella ricerca medica e nella clinica anglosassone per aver scritto o curato una serie di testi sulle droghe d’abuso ed i loro effetti patogeni. In questa lettera del 2014 Karch lamentava che negli Stati Uniti non fosse ancora disponibile il levometadone nonostante dalla sua posizione privilegiata avesse più volte chiesto alle case farmaceutiche di renderlo disponibile; spiegava di aver ricevuto un diniego per problemi di costi, non tanto quelli relativi alla sintesi chimica di levometadone puro, superati negli ultimi tempi dal progresso dell’ingegneria chimica, ma piuttosto da quelli relativi alla registrazione del “nuovo” (si fa per dire) farmaco presso la FDA, l’ente regulatorio statunitense, legati alla necessità di prevedere nuove sperimentazioni ad hoc – nonostante nell’Unione Europea, in Germania, già fossero disponibili (come abbiamo visto sopra) tutti i dati necessari.
Un problema dunque economico, quantomeno negli Stati Uniti, forse mitigato in Europa dalla possibilità di mettere in comune tra gli stati membri la documentazione regulatoria.
A questo punto, penso di aver riportato tutto, e per trarre delle conclusioni pratiche, possiamo dire che:
- il levometadone non è un farmaco “nuovo”
- è una forma purificata del vecchio metadone, ed è già contenuto nel vecchio metadone, quindi non espone il paziente a sostanze diverse da prima
- l’effetto oppioide è uguale ma basta la metà dei milligrammi:
100 mg di metadone “vecchio” = 50 mg di levometadone - è verosimile che porti un minore rischio di aritmie ventricolari, che tendono ad avvenire in presenza di altri cofattori, non tutti controllabili
- pertanto, potrebbe opportuno protettivo adottarlo, sia per il paziente che per il terapeuta (per motivi medico-legali)
- non possiamo escludere lievi differenze soggettive negli effetti per qualche paziente, dovute ad un profilo recettoriale parzialmente diverso per la mancanza del destrometadone.
BIBLIOGRAFIA
- Drew 2010 http://dx.doi.org/10.1161/CIRCULATIONAHA.109.192704 ↩
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