Acetilcisteina nel tabagismo farmacoresistente

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L’umile acetilcisteina, il beverone sulfureo compagno di tante bronchiti, sta vivendo negli ultimi anni una seconda giovinezza nell’impiego off-label in una moltitudine di condizioni tra la neurologia, la psichiatria e la medicina delle dipendenze (vedi anche il nostro precedente articolo sull’acetilcisteina nella dermatillomania). Nonostante non vi siano prospettive di sfruttamento brevettuale, e quindi manchino investimenti da parte dell’industria negli studi clinici, vi è una continua produzione di Letteratura scientifica, segno dell’interesse di chi sta in ambulatorio per questo farmaco piuttosto economico e sicuro. Magari non si arriva a pubblicare sempre in riviste prestigiose e ad alto fattore di impatto, per le quali a volte ci sono canali preferenziali di accesso; ma una periodica ricerca Pubmed di acetylcysteine [majr] AND substance-related disorders [mesh] non di rado riserva sorprese.

Forse ciò che più sorprende il clinico-ricercatore è che questa molecola sembra avere effetti psicoattivi senza che il paziente avverta effetti psicoattivi, esercitando un’azione apparentemente solo comportamentale; questa caratteristica può essere molto utile in una quota di soggetti con disturbi da sostanze, ai quali in certe circostanze può essere controindicato un effetto soggettivo di highdownliking, o feeling intoxicated (come da corrente terminologia nei lavori in tema).

Questa introduzione serve a me a chiarirmi le idee, ed al Lettore per inquadrare una recente pubblicazione di un ampio gruppo brasiliano-australiano, sugli effetti del trattamento con acetilcisteina in soggetti con disturbo da uso di tabacco resistenti ai trattamenti consueti. La pubblicazione sfortunatamente non è ad accesso libero, ma avendo avuto modo di leggerla, mi sembra utile riportarne un sunto nel nostro blog dedicato alle Dedizioni.

Lo studio clinico, uno studio pilota, è stato intrapreso in funzione di precedenti risultati incongrui di altri gruppi di ricerca nello stesso ambito terapeutico (uno studio con esito negativo, uno parzialmente positivo) ed ha coinvolto 34 soggetti tabagisti resistenti a precedenti trattamenti antitabagici (vareniclina, buproprione e cerotti alla nicotina); venivano inclusi anche i soggetti con disturbi dell’umore.

I soggetti ricevevano tutti sessioni di psicoterapia cognitivo-comportamentale, ed erano randomizzati in due gruppi, uno trattato con acetilcisteina 3g/die in due somministrazioni, uno con placebo. La durata era di 12 settimane.

L’esito primario era la quantità di sigarette fumate, riportato in interviste strutturate periodiche; gli esiti secondari erano la determinazione dell’ossido di carbonio espirato (come indice oggettivo di esposizione al fumo), la valutazione dei sintomi depressivi con la scala di Hamilton (HDRS), e di disabilità con la scala di Sheehan; inoltre body mass index (BMI) e pressione arteriosa. I dati sono stati analizzati sia per intenzione a trattare con due diverse metodiche che per protocollo.

Dopo la randomizzazione, 31 pazienti accettavano lo studio (17 con acetilcistina e 14 con placebo). Arrivavano a fine studio soltanto 11 pazienti con acetilcisteina e 7 con placebo; i dropout erano riferibili ad effetti del farmaco solo in due casi, per nausea, e generalmente invece erano dovuti a motivi non sanitari.

I risultati a 12 settimane mostravano un effetti sul numero di sigarette fumate giornalmente (ragionando in numeri approssimati, in media da 20 a 16 per il placebo e da 20 a 9 per acetilcisteina) e sull’ossido di carbonio espirato (da 17 a 15 ppm per il placebo, e da 21 a 10 per l’acetilcisteina), indicando in grandi linee un dimezzamento dell’uso di tabacco nel gruppo trattato. La variabilità era piuttosto ampia, e la significatività statistica delle comparazioni variava secondo il tipo di analisi, verosimilmente a causa del numero esiguo di soggetti.

Si osservava anche una riduzione da 13 a 7 del punteggio Hamilton nel trattato con acetilcisteina (da 14 a 12 nel placebo), senza correlazione tra questa scala e il numero di sigarette fumate; e differenze minime ma sempre significative per il trattamento nel body mass index, senza che venisse osservato il noto e temuto effetto di ingrassamento in chi riduce l’apporto di tabacco.

Gli effetti di trattamento attivo e placebo erano simili fino ad 8 settimane, e la divergenza era visibile a 12 settimane. Le altre variabili valutate non differivano significativamente tra i due gruppi.

In merito agli effetti avversi, il più comune era la nausea nel braccio trattato con acetilcisteina.

Nell’ambito della discussione, viene riportato – per quanto non fosse tra gli esiti previsti dello studio – che il 47% dei soggetti trattati con acetilcisteina erano riusciti a smettere di fumare (valutato come quasi totale assenza di ossido di carbonio nell’aria espirata), contro il 21% dei soggetti con placebo.

Lo studio – commento personale – è molto interessante e sprona alla traslazione alla pratica clinica, ma nel contempo lascia l’amaro in bocca perché i risultati, pur intuitivamente evidenti, soffrono di incertezza statistica, dovuta chiaramente al numero insufficiente di soggetti investigati ed alla durata troppo breve del follow-up. E questo è il destino della maggioranza di studi clinici non finanziati dall’industria, per gli effetti off-label di farmaci già noti e non più coperti da brevetto. Gli stessi Autori concludono che “All in all, our findings provide some evidence that treatment with NAC 3 g/day may significantly
augment the efficacy of behavioral therapy in the treatmentof tobacco use disorder”, e di some evidence per ora ci dobbiamo accontentare.

Ancora una volta, da verificare controllare e ripetere.

L’articolo originale (necessita di accesso universitario, di pagamento o altro) è in

http://www.tandfonline.com/doi/full/10.1179/1351000215Y.0000000004

 

 

 

 

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