Alcologia laica (di Fulvio Fantozzi)

Una chiosa Alcologica laica di:

“Alcohol and relationships:

how alcohol can affect us

and those we love”

un leaflet scaricabile da

Alcohol and relationships leaflet: how alcohol can affect us | Alcohol Change UK

Ritengo che navigare in alcoholchange.org.uk , il sito Internet di una Charity britannica, e dunque “quasi istituzionale” per chi lavori nel settore delle Dipendenze Patologiche con compiti clinici e con sguardo che vada appena oltre il “recinto noetico” imposto spesso a chi lavora nel Pubblico, sia un’abitudine salutare; e che lo sia non tanto per chi ha un problema con l’alcol o è interessato all’alcol in chiave sociale –antropologica e mastica l’inglese (perché magari è inglese…), ma per chi cerca di curare persone con problemi di alcol. Per “salutare “ intendo nutriente da un punto di vista sostanzialmente formativo, o meglio “sostanziosamente” formativo !

Mi spiego: in mezzo alla congerie di materiali scritti, documenti ufficiali ed ufficiosi, istituzionali o meno a disposizione di chi lavora come Medico Alcologo, ad esempio in un SERD (o altrove: ad esempio chi scrive esercita l’Alcologia clinica in libera professione) non è facile trovare qualcosa di un certo spessore e soprattutto laico in Italiano [ Per chi è curioso/a e vuol capire cosa intendo per Alcologia Laica rimando al mio Pamphlet, scritto nell’estate del 2021, ma ancora attuale; lo allego. Tempo di lettura: 6’].

E allora è d’obbligo attingere a letteratura estera. Ma non tutto quel che viene coniato all’estero, al di fuori dello scibile blasonato che appare su Pubmed, possiede qualità intrinseca e valore estrinseco di natura formativa, purtroppo.

Ebbene nel citato sito Inglese si può scaricare (vedere il link, in epigrafe) tra le altre cose, un breve articolo (tempo di lettura: ancora meno di 6’!) apparentemente di mera natura informativa-divulgativa, ma che, a meglio vedere, contiene un buon numero di stimoli e “rimandi” alla cura professionale di chi beve troppo, alias all’Alcologia Clinica Laica ! Devo dire che l’articolo Inglese messo assieme al pamphlet di cui sopra …fanno proprio una bella coppia!

Mi va di chiosarlo perché fa scattare alcune considerazioni di ordine clinico che credo possano risultare salutari nel senso dianzi specificato, in particolare a chi in Alcologia si vuole formare. Non ci si forma soltanto sul campo, stando fianco a fianco con chi già lavora coscienziosamente, ma anche studiando quel che fanno o han fatto gli altri, in altre realtà geografiche e culturali; e leggendo, curiosando.

Non traduco l’articoletto perché la sua comprensione è immediata anche per chi non mastica abitualmente l’Inglese.

Beh, si parte con un’affermazione di principio che in Italia ancora risulta indigeribile a chi la sua formazione Alcologica l’ha fatta soltanto o prevalentemente frequentando ambienti del privato sociale accreditato, alieni dalla mentalità e dal metodo scientifico che connota la Medicina, ma dotati di appeal sul piano emotivo ed umano. Eccola (traduzione non letterale): “bere danneggia le relazioni interpersonali anche nel nostro entourage familiare ed amicale, ma ciò non vuol dire che dovremmo evitare l’alcol tout court! Ma è importante capire quali possono essere i benefici del ridurre il bere oppure di cessare il bere”.

Il concetto è laico laddove contempla (e non “tollera”) la riduzione del consumo di alcol e non solo la sua cessazione come obiettivo di interventi assistenziali a favore di, passatemi la locuzione, “persone che bevono troppo” (lo abbrevio in “P.C.B.T.”).

Il testo si sbilancia appena un po’ sulla questione se sia nato prima l’uovo o la gallina. Ovvero: “Bere alcol causa problemi” ed anche però “i problemi causano il bere alcol”. E’ vero che si elencano i fattori che influenzano la qualità delle relazioni, la quale impatta sul nostro modo di bere: emulazione, situazioni amorose negative, tensioni economiche in famiglia, lutti o approssimarsi di lutti, solitudine ovvero sensazione di essere disconnessi dagli altri.

Il leaflet lo fa però senza rimuginare e speculare in merito al suddetto circolo vizioso.

E fin qui siamo allineati a quel che anche l’Alcologia Scolastica e dunque “non laica” predica nel nostro Paese; esso invece sottolinea acutamente che di fatto le relazioni dei nostri cari che possono essere disturbare dall’alcol non sono soltanto quelle che il bevitore condiziona attivamente col suo bere, ma anche quelle che sono determinate dall’alcol passivo, cioè dal bere di terzi, di altri attorno a lui /lei , allorquando questi altri bevono ancora più di lui/lei ! Come dire: una visione sistemica che comprende l’onda lunga ed i riflessi del bere del singolo inserito però in un “ambiente alcolico”.

Ma il core dell’articolo è costituito a mio modo di vedere dal box con i TIPS ossia i consigli pratici in pillole per “un bere più salutare e per relazioni personali più felici”; tali TIPS sono diretti evidentemente a chi vuole ridimensionare il proprio bere e/o a chi cerca informalmente e al di fuori di contesti professionali di assistenza sanitaria, di ridimensionare il bere altrui. Da questo box si possono purtuttavia enucleare alcuni “gioiellini” ad uso clinico, validi insomma come utili spunti di riflessioni anche per chi dell’aiutare P.C.B.T. a smettere di farlo ha fatto o intende fare la propria professione.

Il primo TIP meritevole di chiosa, è inconsueto nella letteratura istituzionale Alcologica italiana e fa piacere invece vederlo esplicitato: “Affronta il problema –alcol con il tuo partner quando entrambi siete sobri e non aspettare che entrambi o anche solo uno dei due abbiate iniziato a bere per farlo !

Nella praticaccia clinica è questo che si fa, mutatis mutandis, quando si fissa un appuntamento alle 9 di mattina ad un paziente che per quanto non “eye opener” si troverà ad essere più probabilmente sbronzo a fine giornata che non al mattino . A volte però, e ricordo soprattutto la routine dei Servizi pubblici, non ci si pensa mica! E non si ha l’accortezza di scegliere l’orario più consono per la prossima visita a P.C.B.T.

Un altro TIP da declinare rispetto al contesto Italiano concerne la formalizzazione di un contratto terapeutico morbido vale a dire puntare a ridurre il bere sotto le 10 unità alcoliche (UA) alla settimana e non a cessare il bere. Qui gli Inglesi scrivono “non più di 14 unità alcoliche” perché, lo ricordiamo , le loro U.A. sono di 8 grammi, a differenza di quelle della letteratura medica dell’Unione Europea e quindi anche Italiana che valgono 12 grammi!

Il testo non fa distinzioni di cut off tra maschio e femmina ( è moderno!!). Noi chiosiamo che il tetto delle 10 U.A. alla settimana va bene anche per la femmina sana: in soldoni siamo di poco sopra al bicchiere al giorno che attualmente in Italia, in una prospettiva prevenzionistica, tendiamo a considerare il limite del bere “moderato” giornaliero unisex.

Altro TIP interessante: “tieni nota di quel che bevi per qualche settimana, magari adoperando applicazioni che girano sullo smart phone come Try Dry”. Beh, il diario del bere direi che è stato sdoganato sia nei SERD che in altri Centri Alcologici pubblici e privati come strumento ordinario di monitoraggio e trattamento nel lungo periodo a favore di pazienti in carico nella fase iniziale dell’inquadramento diagnostico e delle manovre tese ad aumentare il loro livello di motivazione al cambiamento. Il diario del bere insomma è uno strumento di cura, non solo di sensibilizzazione e coscientizzazione dei propri consumi alcolici.

Ma il TIP che davvero solletica di più nel testo in esame è il numero 4: “stai libero dall’alcol per 1 mese”.

Non è intrigante ? Vieppiù: dirompente ?!

Immaginate il Medico tipico di un SERD che davanti ad un utente con Disturbo da uso di Alcol solitamente deve (per la cultura del suo Servizio, perché chi c’era prima di lui/lei ha sempre fatto così, perché “è giusto fare così”, ecc.) passare la maggior parte del tempo della visita a ripetere che la cura consiste principalmente nel disulfiram e/o il gruppo di auto o mutuo aiuto, poi qualche vitamina B (la B1, OK, ma anche la B6 che se non c’è neurite da alcol non serve a nulla, ma si è sempre fatto così…!”), ma soprattutto deve illustrare per filo e per segno quali sono cibi e bevande off limits per chi assume il disulfiram, e lo fa per ore ed ore, disquisendo dottamente e con piglio enogastronomico un pelino fuori luogo di aceti di mele e di alcol insidioso nel “tiramisu” con paziente, parenti, ecc., mediante messaggi, mail visite tutte centrate sull’istruzione su di un farmaco che in tutto il Mondo da parecchi anni è catalogato come di seconda linea nel trattamento dei Disturbi da Uso di Alcol !

Ecco: ce lo vedete voi un Medico “Alcologo” siffatto/a a dire al proprio utente / paziente:” OK, puntiamo intanto a fare un “mese secco” di sobrietà ovvero zero alcol assoluto. La aiuterò coi farmaci più adatti a lei, attivando le sue risorse familiari, e anche col phone care; ce la faremo. Al 31° giorno però lei farà quel che le pare: se le sarà parso che il mese trascorso sia stato insostenibile, crudele, invivibile, vabbè, allora ricominci pure a bere ed io non mi scandalizzerò!”.

Io non ce lo vedo.

E’ pur vero che l’emerita Charity che pubblica questo articolo a mio parere non rivolge nemmeno questo particolare TIP a Medici che curano: è chiaro che si ragiona in un’ottica non prettamente clinica e dunque non individuale e che si pensa ad un percorso di sobrietà sperimentale collettivo, analogamente a qiel che si fa o almeno si è fatto (da un po’ non se ne sente più parlare) nella prevenzione secondaria Tabaccologica con le smoke free class nelle Scuole.

Ma intanto il messaggio lo danno e a chiare lettere ! Gli Alcologi (benedetti e laici) di quella Charity contemplano tale prescrizione!

Io in Italia, in 33 anni di professione, prima nelle trincee dei SERD ( trincee che risultano alla fine comode se studi poco e ti omologhi passivamente alle summenzionate prassi consolidate pseudoscientifiche le quali però infondono sicurezza a te e a chi ti sta intorno istituzionalmente) e poi privatamente, non ho MAI incontrato altri Medici a parte me inclini a prescrivere il challenge ( = sfida) del mese programmato di sobrietà!

Un Medico Alcologo laico a mio parere ha invece il dovere di conoscere, imparare e adoperare “col paziente giusto al momento giusto” anche una tecnica come questa, una tecnica solo apparentemente eclettica (e “pericolosa”: “Ma come? Al 31° giorno gli dici che può riprendere a bere ??Ma sei fuori ??!!”).

Una prescrizione così paradossale può risultare incredibilmente efficace nel promuovere la sperimentazione della sobrietà temporanea concordata e dei suoi benefici, soprattutto relazionali. Il time out conseguente risulta benefico, anche se dura meno di 1 mese, talora in termini anche motivazionali: ho esperienza di pazienti che poi in realtà non tornano più indietro e rimangono sobri ben più a lungo ! Oppure, capita anche questo, anzi capita ancor più di frequente, alcuni pazienti rimangono così scossi / provocati da una prescrizione così stramba da sentirsi di rilanciare proattivamente sull’obiettivo temporale del challenge smettendo del tutto di bere sine die da subito.

In conclusione, ritengo che valga la pena di attingere spesso alla letteratura scientifica d’Oltre Manica. Essa è essenzialmente LAICA ed è ricca di spunti per una migliore pratica clinica anche quando verte su tematiche prevenzionistiche e di divulgazione medica come nel caso dell’articoletto chiosato sopra.

Reggio Emilia 19/11/2021

Dott. Fulvio Fantozzi

Specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni

Libero Professionista Esperto in Medicina delle Dipendenze

Perfezionato in Dipendenze Patologiche, Tossicologia Clinica, Bioetica e Psicopatologia Forense

già  Dirigente Medico di Farmacologia e Tossicologia Clinica  e Primario dei SER.T.-Centri Alcologici-Centri Antifumo di Carpi e Mirandola, Az. USL di Modena

Studio medico a Reggio Emilia, via Che Guevara n. 55 cell. 320 4780329 mail: flu_fantibus@libero.it

Exquisite et mox

 

Un pensiero riguardo “Alcologia laica (di Fulvio Fantozzi)

  1. Commento di Beatrice Bassini:

    Per molto tempo i Servizi per le Dipendenze patologiche, i Servizi alcologici e l’intero sistema pubblico-privato ha considerato le dipendenze come un problema legato all’addiction indotta dalle sostanze il problema principale. Questa prospettiva ha spesso fatto scivolare l’intero sistema trattamentale in un dualismo tra chi controlla e vuole indurre all’astineza totale dalla sostanza e il “cliente” spesso costretto dalla famiglia e dalla rete di relazioni ad adottare comportamenti “adeguati” ma poco motivato e convinto del proprio percorso terapeutico che deve essere concepito come un percorso di crecita e non necessariamente di “guarigione” intesa in termini salvifici.
    Questo dualismo ha spesso portato con sé problemi comunicativi tra operatori e pazienti, esplosioni di aggressività del paziente nel suo ambiente domestico che nei Servizi, poco investimento sulla contrattualità e sui tentativi di convergenza degli obiettivi trattamentali.
    Nell’ultimo decennio tuttavia sono state redatte raccomandazioni e linee guida, supportate perciò da una letteratura scientifica accreditata e da esperienze valutabili, e riguardanti sostanze d’abuso, che tengono finalmente conto del livello motivazionale del paziente, del lavoro terapeutico da fare non PER il paziente ma CON il paziente e di strategie di intervento necessarie solo nel momento in cui CONDIVISIBILI tra paziente e Servizi.
    Più recentemente raccomandazioni riguardanti i Disturbi di personalità, che spesso accompagnano l’uso di sostanze, hanno fatto sì che si ponesse maggiore attenzione alle caratteristiche della personalità della persona dipendente o abusatrice non solo intermini psicopatologici ma anche in termini delle sue caratteristiche personologiche. L’introduzione di questo paradigma permette di ridefinire e “ristrutturare” l’approccio di accoglienza e trattamento e di porre attenzione maggiore alla fase di osservazione-diagnosi che non può essere ferma ma va rivalutata nel tempo. A partire dalla misurazione del punto 0, occorre prestare molta attenzione alla restituzione della diagnosi non solo psichiatrica ma anche e soprattutto psicologica come primo momento condiviso e fontante l’alleanza terapeutica (Gunderson, 2018). L’utilizzo di strategie per mantenere l’impegno sulla terapia e supportare il paziente nel compito di guardarsi e correggersi caratterizzano poi molti protocolli di psicoterapie evidence-based dove l’attenzione viene canalizzata su tratti di personalità (impulsività, affettività, relazioni interpersonali, tolleranza alla sofferenza) che la persona può riconoscere di se stessa e a come questi tratti cambino con l’uso della sostanza.
    Il materiale proposto e che attinge dal pragmatismo inglese ci offre, a mio parere, un chiaro strumento che tiene conto proprio di questi indirizzi: il linguaggio chiaro e rivolto alla persona portatrice del problema comunica al paziente in prima persona o al familiare in un ottica di responsabilizzazione che è necessaria e a monte di tutto ciò che viene considerato terapeutico.
    Vengono menzionate le aree di vita con cui interferisce la sostanza: sessualità, salute, relazioni con gli altri, difficoltà nella gestione degli impulsi e ciò offre una grande occasione per stimolare momenti riflessivi e di “autodiagnosi” che non si limitano a misurare le “unità” ma che tengono conto di ciò che è importante costruire nelle nostre vite, quelle di tutti e non solo dei nostri pazienti. Un materiale cartaceo o virtuale di questo genere offre importanti stimoli a terapeuti e persone con problemi di uso/abuso/ dipendenza dal alcool (e non solo) permettendo alla persona di collocarsi in un range, di costruire un immagine di sè e del suo problema altra dalla dicotomia “giusto” -“sbagliato”.

    Suggerire strumenti di autoregolazione significa fare affidamento sul paziente che può facilmente mettersi in un ottica di “riduzione del danno” come è stato per alcune associazioni (spagnole, inglesi, tedesche) di consumatori di eroina che hanno assunto un ruolo attivo rispetto ai propri consumi. La necessità di “provare” ad utilizzare alcune strategie fa appello alla possibilità di affrontare il problema consapevoli di inevitabili successi e fallimenti che saranno comunque utili da analizzare anche da parte dei terapeuti, qualora si decida di chiedere aiuto e di essere supportati. La prospettiva che ci offrono gli inglesi, da cui derivano gran parte delle linee guida attualmente pubblicate, ci offre stimoli di alleanza e sperimentazione con i pazienti che ritengo ci aiutino a uscire dai trattamenti “morali”, duri a morire nel nostro paese. Ce la faremo?

    Beatrice Bassini
    psicologa psicoterapeuta
    IAS Dist. personalità e uso di sostanze
    UOC Psicologia Territoriale
    UOS Ser.D.P. Sud
    Sede Zola predosa
    te.051.6188928/34

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