Io penso che il futuro delle dipendenze patologiche è già iniziato

Ricevo e pubblico immediatamente questa riflessione di Pino Fusari, responsabile della comunità terapeutica “Sentiero Speranza” di Biancavilla (CT). Per me questo futuro c’era, presente, già dall’inizio, ma molti non lo vedevano. Pino lo vedeva.


Io penso che il futuro delle dipendenze patologiche è già iniziato, e non si chiamerà più “dipendenze patologiche”, che quello del rapporto costante, regolare anche se saltuario, ravvicinato con le sostanze e con i comportamenti di uso, abuso e dipendenza è un dato recente ma presente già ed abbastanza diffuso e capillare. Di fatto abbiamo visto il fenomeno attraverso quelle poche persone che arrivavano da noi, i patologici, ma il sommerso, che conta quanto l’emerso, è fatto di persone che convivono con le droghe, con gli usi e costumi odierni, con i comportamenti di dipendenza di abuso e di uso, organizzando le proprie vite nei modi più disparati, o più funzionali a vivere come gli pare. Per anni siamo stati e siamo ancora impegnati nella “lotta alla droga”, perdendo di vista l’uomo e la sua essenza, la fragilità, la vulnerabilità, che lo contraddistinguono, nei suoi percorsi, alla ricerca della felicità.
La parcellizzazione dello spaccio probabilmente non è solo funzionale allo spaccio stesso, cioè ad una sua ramificazione, territorializzazione ed inabissamento, probabilmente è anche in funzione di una richiesta di uso “leggero”, contenuto, segmentato, all’interno degli spazi di vita anch’essi spezzettati e ridotti al vivibile, a quella “quantità di vita” che ognuno di noi sopporta, sostiene, affronta.
Mentre lo spaccio, ossia la distribuzione, è in mano a delle holding internazionali grandi quanto multinazionali ed a volte anche di più, fino ad inglobare stati, governi, con risorse incredibili che alimentano tutto “il mercato nero” del mondo. Su un piatto “le polveri”, sull’altro le armi, i governi, le vite di milioni di persone, un imbuto che trasforma in risorse infinite a disposizione delle organizzazioni mafiose di tutto il pianeta, questo bisogno di cura, di senso, espresso da fasce sempre più estese di popolazione.
Sul piano biografico abbiamo che l’incontro con le droghe può essere più o meno fausto, più o meno tollerato dagli equilibri preesistenti, e che producendo altri stati di coscienza può anche mandare in frantumi l’esistenza e quindi produrre o riprodurre malattia. L’esperienza con le droghe è però un’esperienza personale nella sua essenza, tale da consentire di vivere e continuare a produrre nella maggior parte delle persone, famiglie si sono formate intorno all’esperienza delle droghe, carriere lavorative hanno tenuto conto di questi percorsi, situazioni giudiziarie sono state attraversate da questa esperienza ed a causa di questa. Le droghe hanno attraversato la vita di milioni di persone, ci sono rimaste, hanno rappresentato risorsa e limite, e molto spesso le persone non hanno pensato di avere un problema ed ancora meno hanno pensato di avere bisogno di qualcuno che li aiutasse professionalmente.
La ricerca intorno alle persone che usano sostanze ha molti passi da fare poiché dal punto di vista della clinica non ci sono profili formativi (universitari) che preparino alle persone con sostanze, solo la clinica applicata ha istruito, quasi “forgiato”, una classe di operatori che rischiano in prima linea fin da loro inizio e che si formano negli scenari più conosciuti dei servizi per le dipendenze e non di più.
I dati che abbiamo sono ancora pochi, nell’incontrare la sanità le persone che usano sostanze sono ancora non rilevabili se non con le comorbilità che spesso “coprono” il percorso di uso; la clinica è, finora, riservata ai grandi abusatori ed alle dipendenze, mentre questo universo dell’uso, consapevole o meno, problematico o no, rimane sullo sfondo. Non abbiamo dati dai PP.SS., non dai medici di base, qualcosa dalle Prefetture, ma è un dato tarato al ribasso, abbiamo dati che confluiscono poi ai Ser.T. che vengono dalla giustizia, ma anche questo è spesso un dato più strumentale che ragionato, motivato.
Ancora oggi riusciamo a rispondere a chi si rivolge a noi, con grandi sacrifici degli operatori, operatori sottostimati rispetto alla richiesta reale; non abbiamo previsione del sommerso, del futuro di questi che non si rivolgono a noi perché ancora non motivati e non sulla soglia, soggettivamente intesa, della problematicità, non riusciamo a fare previsioni su quanti saranno ad avere bisogno domani dei servizi. Paradossalmente possiamo fare previsione sulla trasformazione dei raccolti di oppio e di cocaina, ma non sugli utilizzatori, che gravitano attorno a noi.
La mancanza di dati, la mancanza di prassi alternative, la pressione di una legge fortemente proibizionista, la pressione verso la psichiatrizzazione del fenomeno umano che allontana le persone dai servizi, la polarizzazione tra normalizzazione e medicalizzazione, l’insufficienza del numero degli operatori, il saltuario interesse degli organi di governo, l’eccessiva enfasi etica sull’argomento, il problema dei minori che usano sostanze: tutto ciò contribuisce a far arretrare l’interesse verso il tema sostanze psicotrope e, se non l’interesse, l’accuratezza e la scientificità con il quale tutto ciò dovrebbe essere trattato. A nessun cardiopatico verrebbe di chiedere al suo cardiologo di essere guarito, mentre i farmaci agonisti, che pure curano una parte delle dipendenze e della dipendenza, hanno ancora vita dura ed il concetto stesso di “riduzione del danno” non è ancora un assunto preciso e riconosciuto fino in fondo da tutti gli attori della cura e riabilitazione.
Siamo a cavallo di un fenomeno che sta cambiando, che è cambiato, a partire dal punto di osservazione, che sta producendo sofferenze immani anche a larghe fasce di popolazione sguarnita, popolazione dei quartieri difficili di tutta Italia, immigrati, pazienti psichiatrici, minori, stranieri, eppure abbiamo strumenti ancora fin troppo vecchi, abbiamo dati parziali, abbiamo concezioni eticamente orientate, abbiamo pochi operatori, abbiamo pochissima ricerca, pochissimi dati epidemiologici, abbiamo ricerche solo sui grandi utilizzatori e sui dipendenti. Mentre è cambiata la distribuzione, la richiesta, le sostanze stesse, i fenomeni collegati alla distribuzione ci dicono dell’autoproduzione, delle nicchie di uso, fenomeni di parcellizzazione che si sperimentano nei territori, all’ombra delle grandi catene mafiose, o in contatto e sperimentazione con queste. Mentre il mondo fuori si evolve rapidamente, noi siamo ancora a dibatterci se legalizzare o meno la marijuana, con grande dispendio di energie, storicamente sconfitti dal quotidiano.

Lascia un commento