Le psicosi associate al consumo di cannabis. Parte prima: due casi clinici
Con questo, inizio una serie di articoli sul tema delle psicosi associate al consumo di cannabis. Uso volutamente la dizione di “psicosi associata al consumo” e non quella di “psicosi da” perchè, come vedremo, il ruolo della cannabis è assai controverso.
Come prima provocazione voglio presentare due casi clinici, in cui ho fatto da consulente e che sono stato autorizzato a pubblicare, ovviamente modificando i nomi e poche altre informazioni non rilevanti, per rendere le persone non riconoscibili. Ogni storia è stata raccolta in tre incontri da un’ora, in cui ho cercato di mettere quanto più possibile a proprio agio la persona e dare valore a quanto affermava. L’anamnesi finale è stata condivisa, ovvero è stata restituita allo psichiatra inviante anche con la firma del paziente, che vi si riconosceva.
Entrambe queste persone avevano una diagnosi consolidata di “psicosi da cannabis“. Si tratta solo di due storie emblematiche scelte a caso, ma le altre che non vengono riportate sono assai simili e soffrono dello stesso problema.
Giuseppe, laurea in scienze politiche, 28 anni all’osservazione
a) l’approccio alla cannabis ed i primi anni (2000 – 2003)
Giuseppe inizia a fumare cannabis (per lo più hashish) subito dopo l’esame di maturità. L’uso diventa quasi subito regolare, anche se concentrato soprattutto nei weekend o in occasione di feste, gite etc. Giuseppe fuma 1-2 volte la settimana ed investe in cannabis cifre tutto sommato modeste. L’uso, in questa fase, viene descritto da Giuseppe come di tipo sociale e ricreazionale e Giuseppe attribuisce alla cannabis un’importanza relativa anche se, 4 anni dopo, sarà proprio questa sua abitudine a fargli scegliere Amsterdam, come sede per il suo periodo all’estero con il Progetto Erasmus. Negli ultimi due anni prima della partenza, infatti, l’uso di cannabis si fa più frequente anche se Giuseppe non riferisce, in questa fase, particolari problemi connessi con la gestione degli effetti della sostanza. In questi 4 anni Giuseppe assume solo cannabis e mantiene un atteggiamento di rifiuto e rigidità nei confronti di qualsiasi altra sostanza.
b) il soggiorno ad Amsterdam: i primi 4 mesi (2003 – 2004)
La permanenza di Giuseppe ad Amsterdam dura sette mesi. Nel corso dei primi 4 mesi Giuseppe frequenta regolarmente i coffe-shop della città, ‘assaggiando’ i più rinomati e potenti ceppi di cannabis, soprattutto in forma di marijuana, senza che questo gli procuri alcuna sofferenza particolare o effetti dissimili da quelli già provati in passato, se non sul versante dell’intensità dell’effetto stesso. Giuseppe riferisce che in quei mesi ‘gustava appieno’ le opportunità offerte dalla città, non solo sul versante dell’uso di cannabis, ma anche su quello delle relazioni sociali, (le feste, le ragazze etc). E’ proprio con una di queste ragazze che Giuseppe si reca ad una festa, che segna un momento di discontinuità netto e brusco con il passato ed a cui Giuseppe, ancora oggi, attribuisce una notevole importanza (“in quella festa io sono morto e rinato: adesso sono un altro”). Durante il mese precedente la festa, Giuseppe cambia il suo atteggiamento nei confronti delle altre sostanze ed assume saltuariamente cocaina, amfetamine, ecstasy ed altri empatogeni ed anche allucinogeni (psilocybe semilanceata e stropharia cubensis). In particolare, l’assunzione di stropharia cubensis era avvenuta l’ultima volta pochi giorni prima della festa. In altri termini, durante il 3° ed il 4° mese di permanenza ad Amsterdam Giuseppe diventa un poliassuntore, fermo restando il consumo di cannabis. Questo è anche il periodo in cui Giuseppe inizia ad ideologizzare e mitizzare le droghe, vivendo il loro utilizzo come un modo per riaffermare la propria autonomia ed indipendenza.
c) la festa ad Amsterdam
Giuseppe ha un ricordo molto vivo della festa cui si è recato insieme ad un gruppo di amici ed in particolare ad una ragazza italiana di cui si era innamorato, assidua frequentatrice di party. In questa festa (un rave in un locale occupato nella città di Amsterdam) vi era un’ampia disponibilità ed un elevato consumo di cannabis, ma il dato che emerge è che, nel cuore della festa stessa, fa la sua apparizione una polvere bianca che gli viene presentata come ‘speed’. Giuseppe non sa riferire esattamente di cosa si trattasse, ma in osservanza ad un principio di ‘ospitalità’ è il primo a ‘sniffare’ e, in un solo tiro, aspira l’intera pista. Questo genera un immediato allarme da parte di coloro che avevano messo a disposizione la sostanza, che in modo preoccupato e concitato gli fanno notare che quella era la dose destinata all’intero gruppo, formato da almeno sei persone. L’effetto di questa sostanza, per come viene descritto, non è compatibile con quello di un semplice eccitante, come l’amfetamina: Giuseppe, infatti, riferisce un effetto di tipo dispercettivo e, soprattutto, un aumento dell’ideazione e della produzione di pensieri che rapidamente si trasforma in una vera sofferenza. Giuseppe assume anche alcuni bicchieri di superalcolici, nei quali crede ‘ci fosse qualcosa’. Giuseppe, quindi, si estranea completamente dall’ambiente, ne rimane distaccato in preda al flusso ininterrotto di pensieri e diventa ‘critico’ rispetto alle altre persone (queste non riusciranno più ad uscire, pensava). Contemporaneamente era molto solo ed infastidito dal fatto che la ragazza con cui era andato alla festa rivolgesse le sue attenzioni ad un tipo ‘particolarmente fuori di testa’, lo stesso che distribuiva droghe alla festa. La festa è un momento importante e fondamentale nella storia di Giuseppe, il quale si ritrova sotto l’effetto massiccio di un allucinogeno, in un setting difficile come può essere quello di una festa affollata e rumorosa, ovvero nelle condizioni ideali per un cosiddetto bad trip, che evolve rapidamente in un vero e proprio scompenso psicotico. Infatti Giuseppe ‘non torna’ da questo stato mentale: come egli stesso ammette ‘l’effetto’ perdura anche nei giorni successivi e gli provoca sofferenza. Ciò che non tollera, riferisce, è soprattutto la ‘velocità del pensiero’.
d) il soggiorno ad Amsterdam: gli ultimi 3 mesi
Giuseppe sta male per tutto il secondo periodo del suo soggiorno ad Amsterdam. E’ tormentato dai ‘pensieri troppo veloci’, che riproducono i contenuti della sua esperienza alla festa. In alcuni momenti la sua sofferenza torna ad assumere i connotati dell’esperienza vissuta (flash-backs?) ed i contenuti di questo stato mentale, a metà fra lo psicotico e l’allucinato. Due giorni dopo la festa Giuseppe torna a Bologna per le vacanze di Natale e sia la famiglia che gli amici si accorgono subito che sta male: è estraniato, ha lo sguardo fisso nel vuoto, è dissociato dall’ambiente e spesso incongruo. Giuseppe chiede aiuto, ma riferisce che in questa fase i suoi genitori hanno sottovalutato la sua sofferenza tanto che, terminate le vacanze di Natale, Giuseppe riparte per Amsterdam, per l’ultimo scorcio di permanenza. L’uso di cannabis, in questa fase, acuisce la sofferenza, per cui Giuseppe, che in un primo momento ricomincia a fumare con i ritmi di prima, successivamente tende ad astenersene. Questo periodo è descritto in modo come un periodo di franca sofferenza.
e) il rientro a Bologna
Quando Giuseppe torna definitivamente da Amsterdam a Bologna sta ancora male ed il suo malessere continua per un anno circa (i primi 4 mesi vengono descritti come quelli peggiori), fino ad un apparente compenso. Giuseppe sente il bisogno di darsi una spiegazione di tutto quanto quello che gli era successo e man mano che riesce a darsela in qualche modo il suo livello di angoscia si riduce. Giuseppe in un primo momento si astiene dal fumare, ma ben presto ricomincia, usando cannabis in modo massiccio ma, a suo dire, limitandosi sulle altre sostanze. I periodi di abuso sono incostanti: Giuseppe riferisce di una spontanea tendenza ad autolimitarsi quando inizia a sentire di stare male e dopo le crisi o i ricoveri, sempre più frequenti. La cannabis (della quale ha una cultura tutto sommato modesta rispetto al grado di istruzione, come per le altre droghe) non è più soltanto il modo di riaffermare la sua libertà, ma è anche fonte di ‘illuminazione’, anche se continua a mantenere un atteggiamento ambivalente (quando sta male se ne astiene).
Giovanni, 28 anni all’osservazione
Il primo contatto di Giovanni con le sostanze avviene all’età di 17 anni, quando inizia ad interessarsi di culturismo e body building. All’epoca, infatti, egli inizia ad assumere anabolizzanti (steroidi androgeni ed ormoni tiroidei) da associare all’attività di palestra: Giovanni si procura i farmaci acquistandoli all’estero attraverso la rete internet e continua ad assumerli per circa 3 anni (2001-2004), sospendendoli per la comparsa di effetti collaterali (soprattutto facile irritabilità ed altri effetti negativi sul comportamento).
A 19 anni Giovanni prova per la prima volta la cannabis insieme ad alcuni amici: non prova un particolare interesse nei confronti degli effetti della sostanza, ma ne riconosce il valore come socializzante; non acquista mai la sostanza: continua a fumarla solo se gli viene offerta e aspirando pochi tiri per volta. Dopo circa 6 mesi ne sospende l’uso per scarso interesse.
Il 18 maggio del 2005 (data che il paziente ricorda molto bene) Giovanni partecipa ad una festa fra amici cui era stato invitato. Nel corso della serata alcuni suoi conoscenti decidono di ‘farlo ubriacare’ e lo spingono a bere grandi quantità di alcolici. Giovanni sta molto male, fino a perdere coscienza: l’ubriacatura gli procura un grado notevole di sofferenza, ma contemporaneamente giudica questa esperienza ‘dolorosa ma interessante’ ed inizia ad interessarsi di stati alterati di coscienza, documentandosi attraverso la rete e qualche libro. Questa è una fase di studio e approfondimento, nella quale Giovanni non usa sostanze psicoattive di alcun tipo: egli, infatti, non è attratto da alcuna sostanza in particolare, ma dall’argomento.
Dopo essersi ampiamente documentato, Giovanni decide di provare queste sostanze e di farlo procurandosele al di fuori del mercato illegale, sia per motivi di qualità sia per non entrare in contatto con un certo ambiente, rispetto al quale ci teneva a rimanere estraneo. Acquista quindi dei semi di cannabis presso uno smart shop locale ed ordina via internet alcuni kit, fra i quali: un kit per la coltivazione della stropharia cubensis (principio attivo psilocibina), una talea di salvia divinorum (principio attivo salvinorina A), dei semi di morning glory (principio attivo ammide dell’acido lisergico), alcuni semi di papavero da oppio, alcuni semi di cactus San Pedro (o trichocereus pachanoi, principio attivo mescalina), alcuni semi di efedra (principo attivo efedrina), alcuni semi di erythroxylum coca (principio attivo cocaina) ed infine alcuni semi di piante erbacee ricche in DMT e dei semi di ruta siriaca necessaria per ottenere gli anti-MAO.
Giovanni non ha fretta ed è dotato di notevoli capacità come coltivatore, per cui tutte le piante crescono in fretta e rigogliose. Addirittura sostiene di essere riuscito a far crescere una piantina di coca, molto difficile da far crescere in Italia. Nel 2006 una parte di queste piante è già pronta per il consumo per cui Giovanni inizia a provarle. Il paziente ne sperimenta una al giorno: inizia così, un consumo quotidiano di droghe di vario tipo, favorito e facilitato da una notevole disponibilità di sostanze e dal fatto che non fosse necessario del denaro per procurarsele. In una prima fase Giovanni ritiene che il papavero e le foglie di efedra siano le sostanze più interessanti.
Per circa due anni Giovanni continua ad utilizzare tutte le sostanze che aveva prodotto e reintroduce la cannabis nei suoi consumi, che utilizza come coadiuvante, ma soprattutto per rendere più tollerabili gli effetti secondari delle altre sostanze. In questa fase il consumo di cannabis è quotidiano, ma le altre sostanze vengono alternate (in media un’esperienza ogni due giorni).
Nel 2006 partecipa anche alla Street Rave Parade, dove prova l’MDMA (ecstasy), che trova ‘interessante’. Per questo, l’anno dopo, si procura le istruzioni per la sintesi della metamfetamina, gli strumenti necessari nonché tutti i precursori chimici necessari.
Subito dopo la laurea (2007) inizia a dedicarsi alla sintesi delle amfetamine. La prima sintesi ha una resa di circa 8 grammi, quindi seguono delle altre sintesi per una quantità complessiva di circa 100 grammi, di cui ne consuma almeno il 95%. Giovanni assume l’amfetamina da solo e non condivide il suo piccolo ‘tesoretto’ con altri, se non per usarli in qualche modo come tester della sostanza prodotta. In pratica offre qualche dose ai conoscenti, gli chiede un parere sulla qualità ma non rivela mai a nessuno la verità circa la sua produzione.
Le amfetamine progressivamente sostituiscono le altre droghe e con l’assunzione di amfetamina iniziano i primi problemi. Innanzitutto un significativo dimagrimento, seguito subito dalla comparsa di un’ideazione di tipo persecutorio. Ad ogni modo in questa fase non è presente una sintomatologia produttiva.
Il primo vero scompenso con sintomatologia di tipo psicotico segue un’assunzione di salvia divinorum. Giovanni prepara un estratto a base di acetone, ma sbaglia i calcoli della concentrazione e realizza una sostanza dieci volte più concentrata di quello che aveva calcolato. Dopo l’assunzione sperimenta, in totale solitudine, un’esperienza di perdita della consapevolezza di se e dell’ambiente e dei confini fra il se e l’ambiente.
Vista l’esperienza, vissuta come negativa, Giovanni torna alle amfetamine e alla cannabis e ricompaiono le reazione avverse tipiche dell’abuso di amfetamina (soprattutto l’ideazione persecutoria) che lo porta a bruciare tutta l’erba che gli era rimasta per paura di essere scoperto. Compaiono anche le voci, che durano circa 6 mesi, fino a quando Giovanni, esasperato, sferra una testata contro lo specchio e finalmente i genitori (completamente passivi fino a quel momento) si decidono ad attivare i servizi psichiatrici, che richiedono un Accertamento Sanitario Obbligatorio. L’uso di amfetamine però prosegue e la sintomatologia si aggrava per cui, dopo poco tempo, viene richiesto il primo TSO.
Attualmente Giovanni dichiara di non assumere sostanze da un anno e mezzo circa, eccezion fatta per qualche tiro di cannabis, fatto più per non escludersi dal gruppo che per convinzione e comunque sempre al di sotto del minimo necessario per ottenere un effetto psicoattivo. Gli esami tossicologici per i cannabinoidi continuano ad essere costantemente positivi”.
Considerazioni
Gli psichiatri invianti non avevano alcuna consapevolezza della complessità della storia tossicologica di questi due pazienti, ma erano in possesso soltanto del dato della positività ai cannabinoidi all’ingresso in ospedale e delle positività riscontrate ai controlli successivi.
In entrambi i casi presi in esame, il consumo di cannabis poteva definirsi ormai residuale ed il nesso fra assunzione della sostanza e peggioramento dei sintomi non era evidenziabile. Entrambi, anzi, riferivano che ormai assumevano solo cannabis perchè era l’unica ‘che non gli dava problemi’, cosa della quale in un caso nutrirei qualche dubbio.
In un’epoca dominata dal policonsumo, a volte scriteriato, è estremamente difficile (se non quasi impossibile) stabilire un nesso causale fra assunzione di una data sostanza e sviluppo di una patologia, specialmente se questa si sviluppa nel tempo e non c’è da stupirsi se, ad un’anamnesi superficiale, un paziente giovane ammetta solo il consumo di cannabis, benchè policonsumatore, perchè è quella più socialmente accettata. La situazione poi si complica se si pensa all’universo di sostanze non ancora in tabella, offerte in libera vendita in rete e per le quali non esiste nessuna possibilità di accertamento tossicologico.
Questa la mia prima provocazione, prima di continuare ed addentrarmi nella letteratura. Si tratta però anche della segnalazione di un bias enorme, grande quanto un grattacielo, puntualmente schivato da chi si avventura su questo terreno. Qualsiasi diagnosi causale seria si volesse effettuare e qualsiasi studio rigoroso volesse veramente tentare di definire il possibile ruolo della cannabis negli esordi psicotici giovanili, non può prescindere dall’assoluta certezza di essere di fronte a consumatori di cannabis ‘puri’ e non certo a policonsumatori eccessivi. Altrimenti risulta metodologicamente assai debole, se non addirittura improponibile.
Prima di sbilanciarsi in diagnosi o protocolli di ricerca, ci si dovrebbe innanzitutto preoccupare di condurre un’accuratissima anamnesi tossicologica (possibilmente in più riprese, senza alcun atteggiamento giudicante e mettendo quanto più a proprio agio possibile il paziente) e di testare il massimo di sostanze possibili.
Sono sufficienti gli psichiatri dei CSM e dei Reparti di Diagnosi e Cura per fare tutto ciò?
Un pensiero riguardo “Le psicosi associate al consumo di cannabis. Parte prima: due casi clinici”