Come la “neve” non faceva rumore ……….. Ormai è vera emergenza!

Nel 1886, la popolarità della cocaina ebbe un grande impulso grazie a John Pemberton che incluse le foglie della coca come ingrediente nella sua nuova bevanda analcolica, la Coca Cola, forse in risposta al Vin Mariani realizzata con il pregiato vino Bordeaux dove venivano macerate foglie di coca. L’euforia e gli effetti energizzanti per il consumatore contribuirono a far salire alle stelle la popolarità della Coca Cola al volgere del secolo. Per moltissimi anni si è tollerato il consumo di cocaina credendo che non creasse particolari problemi.

Purtroppo la storia di questa sostanza si è rilevata molto pericolosa, infatti, oggi sempre di più il consumo di cocaina aumenta tra i giovani, ma anche tra i meno giovani in modo preoccupante. La cosa ancora più preoccupante è che, dalle notizie raccolte dalle persone che si arrivano ai Servizi per essere curati, risulta che il fenomeno ha raggiunto i livelli di una vera e propria “epidemia”, infatti, per ogni persona che arriva ai Servizi, c’è ne sono almeno 10 che continuano a consumare cocaina, senza avvertire la necessità di curarsi.

La cocaina è uno dei più potenti stimolanti del sistema nervoso centrale (SNC) presente in natura. E’ uno dei 14 alcaloidi estratti da due piante che crescono spontaneamente in Sud America (Eritroxylum Coca e Eritroxylum Novogranatense), le foglie vengono macerate e amalgamate sino a formare una pasta da cui, per raffinazione, si ottiene della polvere cristallina biancastra che contiene la cocaina cloridrato. Negli anni ’50 la chiamavano “neve” e veniva spacciata in polvere candida da “sniffare”. Attualmente, viene assunta inalandola per via nasale, fumata (crack) o iniettata endovena (ma per lo più, questa è una modalità dei poliassuntori).

Chi la usa non dorme e si alimenta poco; passato l’effetto ci si sente stanchi, privi di energie e depressi: si avverte quindi nuovamente l’esigenza di assumere la sostanza. Questa dipendenza si rafforza con l’aumento del dosaggio e della frequenza di assunzioni, fino ad arrivare ad una dipendenza totale.

L’abuso provoca stress, intossicazione, vita disordinata, alimentazione scarsa e poco oculata; porta, quindi, a un danneggiamento consistente a carico del SNC e dell’organismo. Complicanze generali da uso di cocaina sono: malnutrizione e forte dimagrimento ponderale, udito ridotto, mancanza di gusto e olfatto, riniti, sinusiti, ulcerazioni nasali, setto perforato “sniffing, tracheo-bronchiti, arresto respiratorio acuto, ipertensione arteriosa transitoria, infarto del miocardio, ictus cerebrale, convulsioni, psicosi, ipertermia maligna e depressione. Le crisi depressive portano inoltre spesso ad associare altre sostanze, come alcool o psicofarmaci, in un maldestro tentativo di automedicazione causando così, ulteriori danni alla propria salute. Infatti, l’associazione di alcool e cocaina porta alla formazione di un nuovo metabolita, denominato cocaetilene, che potenzia la tossicità. Socialmente chi assume cocaina è spesso incapace di valutare correttamente le proprie capacità e i risultati delle proprie azioni: il comportamento diviene violento, viene azzerata la capacità autocritica e spesso si arriva all’isolamento e alla paranoia.

Sono da evitare le mescolanze con altre sostanze. L’associazione cocaina-eroina dà vita ad un cocktail micidiale, chiamato speed-ball, di grande intensità e minima durata. In questi casi, troppa cocaina può potenziare gli effetti depressivi dell’eroina sulla respirazione e aumentare il rischio di arresto respiratorio e quindi decesso. I forti consumatori che assumono il farmaco per via endonasale possono consumare la sostanza in singoli episodi (bouts) di consumo o in una serie di episodi (binges), spesso consumandolo finché la quantità disponibile non si è esaurita. Nel caso della somministrazione per via endovenosa (o endonasale), la cocaina può venire assunta anche ogni 10-15 minuti. Una serie di episodi di consumo di cocaina dura di solito 12 ore, ma può proseguire per diversi giorni.

La cocaina genera un comportamento compulsivo; se si è stati dipendenti, anche a distanza di anni, la vista di cose o oggetti che ricordino la coca può far scattare un improvviso desiderio incontrollabile (craving).

Il vero problema per l’Addiction da cocaina è che attualmente, le nostre capacità di intervenire farmacologicamente nelle dipendenze da sostanze d’abuso, sono migliori per quanto riguarda gli oppiacei. L’overdose da oppiacei può infatti essere trattata con l’antagonista dei recettori per gli oppiacei naloxone, mentre la sindrome da astinenza può essere trattata con farmaci agonisti come metadone e buprenorfina; quest’ultimi vengono utilizzati soprattutto nella terapia di mantenimento. Per tale dipendenza, in effetti, non sono oggi ancora disponibili interventi farmacologici specifici, né per l’overdose, nè per la dipendenza. La Food and Drug administration (FDA), non riconosce trattamenti farmacologici specifici per la dipendenza da cocaina.

Recentemente un gruppo italiano in collaborazione con gli USA ha pubblicato un lavoro molto interessante. Precisiamo che trattasi di uno studio pilota, come confermato dagli stessi autori, con un numero di pazienti limitato, quindi saranno necessari studi con numeri più consistenti per poter confermare queste preliminari osservazioni. Questo per scongiurare facili speranze sia per i pazienti che per le famiglie che vivono il dramma della dipendenza da cocaina.

Uno degli autori dello studio è il Prof. Luigi Gallimberti, ricercatore presso l’IRCCS San Camillo di Venezia che ha affermato: “Alcuni studi mostrano che circa il 2% de giovani adulti in Europa hanno usato cocaina nell’ultimo anno. Si stima anche che più di 20 milioni di persone nel mondo soffrono a causa dell’uso di cocaina. I trattamenti per questo disturbo sono limitati, e non vi sono trattamenti disponibili”.

Lo studio, svolto in collaborazione con il team americano diretto dal Prof. Antonello Bonci, Direttore Scientifico del National Institute of Drug Abuse (NIDA), è stato realizzato presso il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Padova, in collaborazione con l’IRCCS San Camillo di Venezia.

Studio: 16 pazienti sono stati trattati con la stimolazione Magnetica Transcranica (rTMS), mentre altri 16 pazienti hanno ricevuto dei farmaci mirati ad alleviare i sintomi astinenziali. La TMS consiste nell’applicare impulsi magnetici ad un’area del cervello ben localizzata. Si tratta di una metodica ampiamente utilizzata in psichiatria, e si è mostrata utile nel trattamento di condizioni psichiatriche quali ad esempio la depressione.

Il gruppo sperimentale si è sottoposto ad una seduta di stimolazione quotidiana con TMS per cinque giorni consecutivi, e successivamente una volta alla settimana per le tre settimane seguenti, per un totale di 8 stimolazioni in 29 giorni. I pazienti del gruppo di controllo hanno ricevuto un trattamento farmacologico per i sintomi astinenziali associati con la dipendenza da cocaina (depressione, ansia, insonnia, etc.). Al termine di questa prima fase della ricerca, i pazienti del gruppo sperimentale hanno continuato a sottoporsi settimanalmente al trattamento con TMS, mentre ai pazienti del gruppo di controllo che continuavano ad assumere cocaina sono passati al gruppo trattato con TMS: questa seconda fase dell’esperimento è durata 63 giorni.

Tutti i partecipanti sono stati sottoposti a monitoraggio delle urine due volte alla settimana per verificare il reale consumo di cocaina. Nella prima fase dell’esperimento, il 69% (11 pazienti) del gruppo trattato con TMS non ha avuto ricadute nell’uso di cocaina, mentre solo il 19% (3 pazienti) dei soggetti del primo gruppo controllo, trattati con soli farmaci non ha avuto lo stesso risultato positivo.

Il Dott. Alberto Terraneo, primo nome del lavoro, pubblicato su European Neuropsichopharmacology [26(1): 37-44, 2016], anch’egli ricercatore all’IRCCS di Venezia, ha commentato: “Crediamo che questo studio sia il primo che dimostra che la TMS puo’ essere utile nel trattamento del disturbo da cocaina, e infatti l’utilizzo della TMS è di interesse anche per il trattamento di altre dipendenze patologiche. La TMS è già utilizzata nella pratica clinica, per esempio per il trattamento della depressione e di alcune forme di dolore cronico, e in tali condizioni la TMS si è anche rilevata un trattamento sicuro. Per chi fa uso cronico di cocaina, non esistono trattamenti efficaci, infatti non è stato semplice stabilire un gruppo di controllo per l’esperimento. Questo è uno dei motivi per cui consideriamo i risultati di questo studio promettenti, ma preliminari. Dobbiamo replicare il lavoro in un gruppo più ampio di pazienti. A parte ciò, questo lavoro rappresenta la prima indicazione clinica che il trattamento con TMS sia in grado di ridurre significativamente l’uso di cocaina.

Conclude il Prof. Antonello Bonci: “Abbiamo deciso di stimolare la Corteccia Dorsolaterale Prefrontale (DLPFC), che è un’area coinvolta nei processi decisionali, perché i nostri studi precedenti sui roditori hanno mostrato che la ricerca compulsiva di cocaina era causalmente associata con la corteccia prelimbica, che condivide funzioni con questa area cerebrale umana. Abbiamo continuato a seguire i pazienti dello studio, fino ad oltre un anno, e i miglioramenti sembrano mantenersi nel tempo, sebbene al momento non abbiamo dati certi su questo aspetto. È importante che questo studio prosegua con studi clinici più ampi.

Ciò dimostra anche e soprattutto che l’approccio all’Addiction, sia da perseguire in un’ottica multimodale integrata tra ricerca preclinica e ricerca clinica e che il tutto sia governato e pilotato dal sapere scientifico che sempre più alimenta la nostra disciplina.

 

2 pensieri riguardo “Come la “neve” non faceva rumore ……….. Ormai è vera emergenza!

  1. debernardis ha detto:

    La pubblicazione originale è in: http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0924977X15003612

    Un problema di questo studio è che nel gruppo di controllo è stata usata un’associazione di farmaci non validata, della quale nulla possiamo dire, né che abbia una qualsiasi efficacia, né che eventualmente non possa pure peggiorare l’uso di cocaina.
    Invece, come controllo a mio parere si sarebbe dovuto usare uno sham, cioè una finta procedura di stimolazione magnetica, senza erogare nessun campo elettromagnetico, ma sottoponendo i pazienti alla stessa preparazione e “scena”. Se possibile in cieco pure per i sanitari. In tal modo si sarebbe ridotto al minimo l’entità dell’effetto placebo.
    Per questi motivi, nulla può essere ad oggi inferito sulla validità clinica della procedura.

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