Documento regione Umbria: l’opinione di Luigi Stella

Dato il momento potrebbe essere surreale imbarcarci in una discussione sul tema, ma riflettendoci attentamente è giusto che sia così, perché è nei momenti come l’attuale che non bisogna perdere di vista l’insieme delle cose e inoltre, dopo aver letto i diversi articoli pubblicati, tutti attenti ed esaustivi e non lo dico per pura cortesia, ma perché li ho letti e riletti più volte, devo dirmi molto tentato, per cui alla fine ho deciso di partecipare alla discussione.

Per essere sincero la prima cosa che dico è che provo una certa sensazione di sconcerto e di amarezza: ci risiamo, appena un fatto di cronaca accade, immediatamente arriva l’interferenza della politica. Lo sciacallaggio politico quando si tratta delle Dipendenza non trova eguali, e dire come riportato da un nostro articolo sul blog (https://blog.sitd.it/2020/10/25/la-terapia-domiciliare-metadone-affido/), che sono migliaia ogni anno le persone che perdono la vita a causa di intossicazione da farmaci, ma a nessuno viene in mente di proporre una legge che obblighi ad assumere farmaci in farmacia, come invece si legge in una proposta di legge, contenente un solo articolo, ad opera della scienziata di turno, che prevede che i pazienti in carico ai Ser. D. tutti i giorni devono recarsi nei propri Servizi, per assumere la terapia. Non voglio approfittare del momento, ma immaginiamo in una emergenza simile, far spostare circa 90.000 pazienti ogni giorno, proposte di pura follia che si fanno senza nessun criterio basato sulla realtà, che tristezza.

Nessuno si cura delle dipendenze, vedi la mancanza del personale, gli scellerati accorpamenti con la psichiatria, che stanno mettendo a serio rischio la disciplina con tutte i disservizi e la sofferta assistenza ai pazienti, per non parlare della ridottissima prevenzione universale e indicata che produce i danni che poi appunto si traducono in fatti di cronaca. E cosa si propone, si persevera solo con proposte assurde ed esecrabili.

Per il dato di cronaca, mi riferisco ai due giovanissimi ragazzi naïve (cioè non assuefatti agli oppioidi), che hanno perso la vita in seguito ad assunzione di metadone. Sembra che questo sia stato ceduto da un paziente con dipendenza da oppioidi in terapia ambulatoriale presso un Servizio Pubblico (Ser. D.).

Ho l’obbligo di precisare, stando alle ultime notizie recentissime proprie di questi giorni, riportate da alcuni giornali tra cui La Repubblica e Terni in Rete, che sembrerebbe che la perizia giunta a conclusione dopo diversi mesi, eseguita dal medico legale Massimo Lancia e dalla tossicologa forense Paola Melai, abbia stabilito la presenza di due sostanze: Alcool e Metadone. Se tale notizia è vera, cambierebbe completamente la dinamica del tragico avvenimento, perché è notorio che il mix di sostanze, entrambi deprimenti il sistema nervoso centrale, hanno agito sinergicamente con potenziamento degli effetti deprimenti nel determinare il decesso e molto probabilmente la sola assunzione di una sola delle sostanze implicate non avrebbe causato l’evento fatale.

Se ciò verrà confermato dalla pubblicazione della perizia, la cosa ancora più grave è che si vuole incolpare un Servizio per una tragica fatalità che poteva accadere dovunque e a chiunque. Ho molto a cuore dire che in particolare quel Servizio è diretto con professionalità e responsabilità e si lavora in modo ottimale. Spero che tutti coloro che sono entrati a vari livelli, nel drammatico accaduto, dicessero due parole sull’alcool e sulla vendita ai minori, che nonostante una legge dello Stato lo vieti, avviene sistematicamente.

In relazione a questo fatto di cronaca, tragico, alcuni esponenti della società civile hanno sollevato dubbi sulla modalità di affido dei farmaci agonisti e hanno dichiarato di voler ridurre la possibilità di effettuare la terapia domiciliare con il metadone cloridrato, e non da ultimo arriva il documento della Regione Umbria, dove viene palesemente prevaricata la competenza dei professionisti dei Ser. D. e in particolare dei medici con una sorta di Linee Guida. Addirittura c’è un paragrafo “Raccomandazioni per la gestione di farmaci oppiodi da parte dei Ser. D.”

Faccio notare che la parola raccomandazioni è usata a sproposito, in medicina ha tutt’altro significato, infatti:

“Raccomandazioni di comportamento clinico [vengono] elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni di esperti, con lo scopo di aiutare i medici e i pazienti a decidere le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche”.

Nel caso specifico non sembra che tale procedura sia stata seguita.

Per capirci meglio, è noto che per la Cochrane Collaboration il grado di credibilità della valutazione finale sull’efficacia di un certo intervento viene classificato secondo il cosiddetto livello di evidenze, che si riferisce alla qualità delle evidenze scientifiche disponibili, e secondo la forza delle “raccomandazioni”, che integra il giudizio sul livello di evidenze con considerazioni relative all’applicabilità della raccomandazione (somiglianza dei pazienti reali rispetto a quelli studiati, dei costi dell’intervento, accettabilità culturale e sociale), oltre che dell’entità del suo probabile impatto sulla salute dei destinatari e del fatto che per alcune condizioni può essere più difficile effettuare studi randomizzati ed è quindi più facile accettare evidenze prodotte da studi di rigore metodologico inferiore.

Pertanto, per la forza delle raccomandazioni, ripeto, (temine usato per il paragrafo del documento B), è che dati i criteri adottati, si ha inevitabilmente un certo grado di soggettività nella valutazione, che però è sempre soggettività di gruppi multiprofessionali e multidisciplinari, non di singoli.
Il Programma Nazionale Linee Guida adotta la seguente classificazione:

  • A) l’esecuzione dell’intervento è fortemente raccomandata. L’intento è potenzialmente molto utile, rilevante per pazienti reali e le prove scientifiche a sostegno sono di buona qualità o accettabili;
  • B) vi sono dubbi sul fatto che la raccomandazione debba essere applicata sempre, ma si ritiene che la sua applicazione debba essere considerata sempre con attenzione;
  • C) vi è una sostanziale incertezza a favore o contro;
  • D) l’esecuzione dell’intervento non è raccomandata;
  • E) l’esecuzione dell’intervento è fortemente sconsigliata.

Dal documento della regione Umbria si evince che la raccomandazione è di usare l’agonista parziale. Il lettore vorrebbe trovare revisioni sistematiche, o evidenze dello stesso rango che suggeriscano le conclusioni del documento. Ma paradossalmente se ci rivolgiamo alle revisioni sistematiche le conclusione sono l’esatto opposto. (Mattick RP, Breen C, Kimber J, Davoli M. Buprenorphine maintenance versus placebo or methadone maintenance for opioid dependence. Cochrane Database of Systematic Reviews 2014, Issue 2. Art. No.: CD002207. DOI: 10.1002/14651858.CD002207.pub4 ).

Ancora sui cosiddetti suggerimenti della regione Umbria devo dirmi basito da come è stato preparato il documento. Il collega Lugoboni, in un precedente articolo sul blog, fa un’attenta precisazione, puntualizzando una cosa essenziale: il documento fa una disamina della diversione e del misuso in modo improprio e presta il fianco a coloro che affossano la Evidence Based Medicine (EBM) (http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=88572), perché il tentativo del documento è in questa direzione in quanto si è voluto fare una specie di revisione che non ha niente a che fare con la EBM. Non è che si possono citare riviste di parrocchia per affermare verità scientifiche, come sottolineava Lugoboni, gli articoli che fanno letteratura devono passare la valutazione dei referee, così non è possibile, si esce fuori dalla scienza e ci si allontana dalla medicina. Inoltre, si citano alcuni lavori in forma incompleta e fuorviante per dimostrare la propria tesi, e per giunta con riferimenti bibliografici incompleti, quindi, difficilmente identificabili.

Alla fine si fa il gioco dei politici che speculano in cerca del favore politico. Possiamo contrappore due farmaci? Io dico che sono due ottimi farmaci che in questi anni hanno restituito una vita normale a migliaia di pazienti. In aggiunta mi chiedo, è possibile che tutti facciamo malapratica? Perché i dati sono sotto gli occhi di tutti: in Italia abbiamo circa l’80% di pazienti che assumono metadone e circa il 20% che assumono buprenorfina in monoprodotto o in associazione con il naloxone e ciò si può desumere dal DDD (Defined Daily Dose). Ci dovremmo chiedere perché a 21 anni dall’introduzione della buprenorfina in Italia per il trattamento del Disturbo da Uso di Oppiacei (DUO), c’è una quota molto esigua di trattamenti con buprenorfina. Con questo non voglio dire della superiorità del metadone rispetto alla buprenorfina, perché ho già detto che sono due ottimi farmaci. Purtroppo nell’Addiction, non sempre un farmaco ottimo, trova il favore del paziente. Non possiamo somministrare un farmaco ad un paziente che magari in una fase specifica della malattia non è opportuno. Sappiamo benissimo che bisogna valutare il grado di gravità della malattia e la varie fasi del processo terapeutico. Inoltre, per la buprenorfina, risulta più problematica la fase di induzione e questo potrebbe essere un ostacolo. Allora, sono tanti gli elementi che entrano il gioco e per questo non dobbiamo cascare nella trappola di quale farmaco risulta migliore: questo necessita di un processo diagnostico accurato, con tutti i risvolti che ne conseguono, e non bisogna tralasciare la fase di follow-up che è parte integrante del processo terapeutico. Pertanto, magari è auspicabile che con setting più specifici che tengano conto dell’insieme dell’intervento la buprenorfina possa recuperare e avere sul campo la posizione che le spetta.

Non entro nel merito dell’affido della terapia per coloro che risultano negativi per tutte le sostanze, perché già ampliamente dibattuto e chiarito e trova la mia completa adesione.

Gli altri punti, seppur necessitando di considerazione, credo siano stati sviscerati in modo ottimale nella loro interezza dagli intervenuti, ma rimane un piccolo punto strettamente farmacologico che voglio evidenziare, Nel paragrafo raccomandazioni punto 2, a proposito dei recettori NOP (recettori della nocicettina), si fa capire che la stimolazione di detti recettori con dosi 16-24 mg rappresenta una fattore positivo. La buoprenorfina è nella farmacopea italiana da più di 30 anni, cito il nome commerciale perché era unico: Temgesic, disponibile sia in cpr da 0.2 mg e fiale da 0.3 mg come antalgico. Tralasciando i fenomeni di tolleranza, capiamo che sono dosi lontanissime dai dosaggi che utilizziamo nei Servizi. Ebbene come mai detto farmaco è in dosi così basse come antalgico, c’è un razionale per tali dosaggi?

Nell’ambito degli studi sugli effetti dei farmaci d’abuso è ampiamente documentata l’esistenza di numerose interazioni tra differenti sistemi neurotrasmettitoriali classici e specifici sistemi peptidergici. In questo contesto si inserisce il sistema recettoriale nocicettina/NOP che dal punto di vista strutturale è correlato al sistema oppioide ma dal punto di vista funzionale svolge un ruolo antioppiode. La nocicettina esercita a livello sopraspinale un effetto iperalgesico, antagonizza l’analgesia indotta da morfina, è anche in grado di diminuire la liberazione di dopamina nel nucleo accumbens sempre indotta da morfina e diversi studi documentano variazioni nel SNC di ratto dei livelli della biosintesi del precursore della nocicettina in seguito a trattamento acuto e cronico con morfina. In base a ciò è importante, conoscere sufficientemente la farmacodinamica della buprenorfina e di conseguenze le dosi da utilizzare devono essere dettate dall’esperienza del clinico che deve porre particolare attenzione al grado di tolleranza del specifico paziente. Quindi, solo un quadro di insieme ci mette nella condizione di rispettare il dettato “Primum non nocere”.

Luigi Stella, MD, PhD

 

3 pensieri riguardo “Documento regione Umbria: l’opinione di Luigi Stella

  1. Sestio ha detto:

    Con tutto il rispetto, mi permetto di suggerire che diluire le responsabilità farmacologiche nell’alcol assunto da minorenni e nello stesso tempo peospettare uno scaricabarile con le mescite, potrebbe non consolidare un’immagine professionale rassicurante.
    In generale constato ancora l’adozione di un modello biochimicamente centrato (salvo concessioni ancillari), che a mio avviso non si adegua a un fenomeno complesso e articolato come le TD, tantomeno in un’epoca in cui Sars-CoV-2 mette in discussione l’intero impianto della sanità pubblica.
    Grazie e buona giornata!

  2. Salve Sestio, e grazie per seguirci.
    Le è sicuramente chiaro che le responsabilità non si discutono su un blog ma in altra sede.
    Si possono viceversa esprimere pareri e considerazioni.
    La considerazione qui era che l’urgenza della politica di limitare l’uso domiciliare della terapia farmacologica non sembra estendersi alla consegna di alcolici ai minorenni.
    E dire che l’una avviene per come disposto dalla legge, e l’altra è reato.

  3. Sestio ha detto:

    Grazie a voi. Trovo molti spunti. Per esempio riguardo al fatto che di responsabilità ne esistono tanti tipi. Quelle giuridicamente disciplinate si discutono nei Tribunali. Per le altre, penso che le sedi possano essere varie, a meno di preclusioni di cui non sono a conoscenza.
    Sul fatto che la vigilanza legale sulla consegna di alcolici ai minori dovrebbe essere maggiore, ho pochi dubbi. Come ho pochi dubbi riguardo al fatto che da sempre le norme cambiano nel tempo, in base a molte variabili, non solo relative a particolari capitoli scientifici.

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