Il cannabidiolo arriva all’Organizzazione Mondiale della Sanità
L’Organizzazione Mondiale della Sanità di Ginevra, da domani 6 novembre fino al 10 novembre, si riunirà per il suo 39esimo meeting sulle dipendenze, e sarà preso per la prima volta in considerazione il cannabidiolo. È disponibile in anteprima il rapporto sulle sue proprietà farmacologiche, tossicologiche e il potenziale di abuso e dipendenza, e di seguito ne riporto una breve sintesi in italiano.
Il cannabidiolo (d’ora in avanti CBD) è uno dei cannabinoidi naturali contenuti nella pianta di cannabis, e chimicamente è un terpenofenolo, derivato dall’acido cannabidiolico, a sua volta proveniente da un precursore, l’acido cannabigerolico, che è anche precursore del tetraidrocannabinolo (THC). In altre parole CBD e THC sono cugini, e la loro struttura è simile, essendo la differenza un anello, aperto nel CBD e chiuso nel THC.
(immagine tratta da Devinsky et al, Epilepsia, 55(6):791–802, 2014)
Nonostante in laboratorio il CBD possa essere convertito in THC, sembra da esperimenti in vitro che questo potrebbe pure avvenire in maniera limitata nell’ambiente acido dello stomaco, per quanto comunque le prove in vivo abbiano dato esito negativo.
Vari ceppi di cannabis possono produrre proporzioni molto diverse di THC e CBD, e nell’ambito dello stesso ceppo anche le condizioni di coltivazione possono influenzare il contenuto relativo di principi attivi; in particolare il CBD aumenterebbe col caldo, e diminuirebbe con la pioggia.
Negli esperimenti sull’animale in cui si cerca di stabilire se una sostanza sia in grado di dare fenomeni di abuso o dipendenza il CBD è praticamente inattivo; inoltre non viene riconosciuto come analogo al THC negli esperimenti di discriminazione, e non provoca liberazione di dopamina nel nucleus accumbens. Addirittura, alle dosi più alte nell’animale sembra che riduca l’attività dei centri della gratificazione. Se ne deduce che il rischio di generare una dedizione sia minimo. Ed in effetti, ad oggi non vi sono prove di uso voluttuario del CBD, problemi sanitari da esso indotti, o interferenze con la guida di veicoli. Si sono riscontrate soltanto, come descritto più avanti, possibili interazioni con altri farmaci.
Per quanto vi sia oramai una gran quantità di preparati di libera vendita a base di CBD, nessuno di questi ha ricevuto ancora un’autorizzazione da parte delle autorità regulatorie del mercato farmaceutico. Sono spesso venduti online o in negozi specializzati, come trattamento non ufficiale per epilessia, tumori, AIDS, ansia, disturbo post-traumatico da stress, artrite, o genericamente per il dolore. Inoltre, il CBD rientra tra gli ingredienti di cosmetici come ad esempio creme per la pelle e shampoo.
Sono viceversa in fase di sviluppo due specialità farmaceutiche a base di CBD, Epidiolex® e Arvisol®.
Gli studi clinici sul CBD sono stati effettuati finora con formulazioni in capsule orali o in soluzione oleosa da assumere per via sublinguale o intranasale; nella maggior parte dei casi in dosi tra i 100 e gli 800 mg al dì.
L’assorbimento per via orale è basso e variabile, essendo esposto all’effetto di primo passaggio epatico, mentre più consistente e ripetibile è l’assorbimento polmonare (es. vaporizzazione, aerosol). Il CBD, sostanza oleosa, si distribuisce in tutto il corpo e soprattutto nei tessuti grassi, ed ha un elevato volume di distribuzione (come il THC). Viene metabolizzato dai citocromi epatici, principalmente CYP 3A4 e 2C19, ed i metaboliti idrosolubili vengono escreti nelle feci e nell’urina.
Non è attivo sui recettori degli endocannabinoidi CB1 e CB2, se non debolmente e ad alte concentrazioni. Sperimentalmente gli effetti sono diversi e generalmente opposti rispetto a quelli del THC, risultando una sorta di limitatore naturale dell’azione del THC, associato ad esso nelle infiorescenze della cannabis.
Il meccanismo d’azione non è chiaro, anche se è stato suggerito che potrebbe essere un modulatore negativo dei recettori CB1 di tipo allosterico (quindi non direttamente attivo sul sito di legame del THC e degli endocannabinoidi), nonché un inibitore della ricaptazione e della degradazione del cannabinoide endogeno anandamide.
Sembra inoltre che il CBD possa avere altri bersagli farmacologici indipendenti dal sistema endocannabinoide, tra cui l’inibizione della ricaptazione dell’adenosina (e quindi un’attività agonista indiretta sul sistema adenosinergico, che è un altro importante sistema neuromodulatore parallelo a quello endocannabinoide – in pratica un effetto opposto a quello della caffeina), ed attività sui recettori serotoninergici 5HT1A, sui recettori della glicina, e blocco di un recettore “orfano” (non è chiaro cosa faccia) associato a proteine G, chiamato GPR55. Non si conosce ad oggi l’importanza di questi meccanismi sugli effetti del CBD.
Dal punto di vista tossicologico non sono note ad oggi attività rilevanti.
Nell’ambito terapeutico, il CBD è stato provato in particolare in alcune forme di epilessia, con discreti risultati in una parte dei pazienti in confronto con il placebo, per quanto non uniformemente in tutti gli studi.
Tra i farmaci in attesa di approvazione, in particolare, l’Epidiolex ® ha dato risultati positivi in fase III in epilessie farmacoresistenti come la sindrome di Dravet e quella di Lennox-Gastaut, e quindi probabilmente è vicina alla commercializzazione. L’altra specialità, Arvisol ®, è ancora in fase I, e dovrebbe essere studiato oltre che per l’epilessia, anche per la schizofrenia.
I principali effetti avversi osservati nei vari studi sull’epilessia sono sonnolenza, inappetenza, diarrea, affaticamento, vomito, febbre, e innalzamento delle transaminasi., anche se in una rilevante percentuale di pazienti si sono riscontrati anche effetti indesiderati gravi, compreso il peggioramento delle convulsioni fino allo status epilepticus
È stato suggerito che alcuni degli effetti indesiderati potrebbero essere dovuti ad interferenza con gli altri farmaci antiepilettici assunti dai pazienti.
Il CBD è stato provato anche in altre patologie, ma i dati disponibili sono ancora insufficienti. Viene citata dal rapporto a questo proposito una recente rassegna italiana pubblicata da ricercatori dell’Università di Salerno, del CNR di Napoli e della fondazione IDIS di Napoli (Pisanti et al, 2017, http://doi.org/10.1016/j.pharmthera.2017.02.041 ).
Vengono annoverati studi nell’Alzheimer, nel Parkinson, nella sclerosi multipla, nella corea di Huntington, nell’ipossia-ischemia e nell’infarto del miocardio, nel dolore neuropatico resistente ad altri trattamenti, nelle psicosi, nell’ansia, nella depressione, nei tumori, nella nausea, nelle malattie infiammatorie compresa l’artrite reumatoide, le infiammazioni intestinali e il Crohn, nelle infezioni da Stafilococco aureo meticillina-resistente e nel diabete. Alcuni studi sono solo sull’animale, altri sull’uomo, e a tutt’oggi non vi sono certezze sufficienti sugli effetti del CBD; la rassegna riporta approfondimenti a cui gli interessati potranno fare riferimento.
(da Substance Abuse: Research and Treatment 2015:9 33–38
http://doi.org/10.4137/SaRt.S25081)
È stato inoltre ipotizzato da sperimentazioni precliniche che il CBD possa avere un ruolo nella terapia delle dipendenze da oppioidi e psicostimolanti, e sono disponibili studi preliminari sull’uomo nella dipendenza da tabacco e da cannabis.
Infine, le autorità regulatorie europea (EMA) e statunitense (FDA) hanno dato il via libera per l’uso del CBD per via endovenosa in rare condizioni neonatali pericolose per salute e sopravvivenza, e cioè rispettivamente l’asfissia perinatale (EMA) e l’encefalopatia neonatale ipossico-ischemica (FDA). La decisione è legata agli effetti positivi del CBD nei modelli animali, e la mancanza di altre possibilità terapeutiche efficaci.