Le psicosi associate al consumo di cannabis. Parte settima: lo studio sulla skunk

Cannabis e psicosi: parte settima

 

Nel 2015 vengono pubblicati i risultati di uno studio[1] del gruppo della ricercatrice italiana in Inghilterra Marta Di Forti  e del prof. Robin Murray, suo marito, del gruppo di ricerca del King’s College di Londra. Si tratta di un articolo dal titolo: “Proporzione di pazienti nell’area sud di Londra con primo episodio psicotico attribuibile all’uso di cannabis ad alta potenza: uno studio caso-controllo”. Il titolo è molto forte, perché contiene un chiaro riferimento ad un nesso causale, testimoniato dall’aggettivo ‘attribuibile’. Inoltre lo studio interrompe una lunga serie di ricerche, che avevano valorizzato soprattutto l’età di inizio precoce e la durata dell’abuso e chiama in causa invece la potenza della cannabis, per di più un particolare ceppo, molto famoso.

L’articolo (disponibile in versione integrale a questo link) ha avuto un grande seguito mediatico, tanto da travalicare quello scientifico, generando titoli giornalistici altrettanto forti, sia nel Regno Unito (The Guardian: “Secondo una ricerca, fumare la cannabis di tipo skunk triplica il rischio di psicosi”; Daily Mail “La maggior parte degli adolescenti intelligenti sono a rischio di psicosi da skunk”, BBC “La cannabis di tipo skunk aumenta il rischio di psicosi”), nel resto d’Europa ed anche in Italia (La Stampa “Skunk, la super cannabis che scatena la psicosi“, La Repubblica “Super-cannabis causa psicosi in 1 consumatore su 4“, Adnkronos “Una psicosi su 4 è causata dalla super-cannabis, allarme da Londra“, Panorama “La super cannabis triplica il rischio di psicosi“, Corriere della Sera “Studio inglese: la «super-cannabis» causa un caso di psicosi su quattro“).  Questi articoli, riprodotti sui siti web delle testate giornalistiche hanno fatto decine di migliaia di condivisioni, generando un certo allarme e le tanto inevitabili, quanto inopportune, speculazioni politiche.

 

Titoli skunk

 

I titoli in realtà sono assai preoccupanti e se quanto riportato fosse fondato la “skunk” costituirebbe un serio rischio per la salute pubblica. Per questo pensiamo che sia doveroso, a questo punto di questo percorso, approfondire la lettura di questo studio.

 

SINSEMILLA, SKUNK, SKUNK-LIKE ED HIGH POTENCY

Prima di prendere in esame nel dettaglio l’articolo (e la polemica scientifica che ne è seguita, cui vogliamo dare anche il nostro contributo) pensiamo sia opportuno precisare il reale significato di alcuni termini contenuti nello studio. Nel corso di tutto l’articolo, infatti, gli autori citano in più riprese, la cannabis di tipo sinsemilla, oppure di tipo skunk o ancora simil-skunk, lasciando intendere si tratti dello stesso tipo di cannabis e di averle considerate assieme nell’analisi dei dati. Inoltre, come vedremo, questi tre termini starebbero tutti ad indicare una cannabis caratterizzata da un’alta concentrazione di THC e bassa di CBD. Ma cosa indicano effettivamente questi tre termini?

 

Colas di sinsemilla

 

Sinsemilla: con il termine sinsemilla si indicano, molto semplicemente, le infiorescenze femminili non impollinate della pianta di cannabis, ivi comprese quella della canapa tessile industriale. Si tratta di una tecnica di coltivazione in realtà antichissima, adottata più di un secolo fa dai coltivatori messicani, perché presenta alcuni vantaggi. Il termine sinsemilla viene dallo spagnolo senza semi (sin semillas) e sta ad indicare una qualità innanzitutto più semplice e pratica da fumare  e più produttiva per il coltivatore. Qualora la pianta femmina di cannabis venga impollinata dal maschio, infatti, smette di produrre nuove infiorescenze e concentra la sua energia nella produzione di semi. Ne derivano cime (colas) più piccole e soprattutto meno rigonfie e compatte (e quindi anche un peso complessivo inferiore), con elevato contenuto di semi. Se invece si rimuovono i maschi dalla piantagione prima che essi diffondano il polline, la fioritura delle femmine continua, vengono prodotte nuove infiorescenze e le cime diventano dure e compatte, aumentando significativamente  di peso. Il processo continua fino a quando, esaurite tutte le sue energie, la pianta femmina di cannabis inizia a mostrare segni di declino: questo è il momento in cui viene effettuato il raccolto a fini commerciali. La sinsemilla è molto gradita ai consumatori, perché la pulizia dai semi è lunga e laboriosa e rende la marijuana poco pratica da fumare. Inoltre la sinsemilla è leggermente più potente della corrispondente femmina impollinata, che può essere comunque anche essa molto potente. Quello che però a noi preme sottolineare è che sinsemilla può essere qualsiasi infiorescenza di qualunque tipo di cannabis e sinsemilla sono anche le infiorescenze di Easy Joint, la cosiddetta marijuana light compatibile con la legislazione italiana perchè priva di THC ma ricca di CBD. Quindi il termine sinsemilla non sta ad indicare, così come utilizzato dagli autori dell’articolo, una marijuana ricca in THC e povera in CBD, ma può indicare anche il contrario o addirittura una cannabis priva di THC. Ad ogni modo, ormai questa tecnica di coltivazione è diffusa in tutto il mondo e la marijuana con semi ha un valore commerciale inferiore, quindi possiamo affermare che qualsiasi infiorescenza di marijuana è ormai sinsemilla. A meno che il coltivatore non abbia trascurato di estirpare un  maschio, che può impollinare centinaia di femmine, anche a grande distanza.

Skunk #1

 

Skunk: la Skunk è il più famoso (e forse anche il primo) ceppo di cannabis messo a punto dagli ibridatori californiani ed ha ormai quasi cinquanta anni, in quanto la sua storia inizia alla fine degli anni sessanta. La Skunk è un incrocio a tre via ed origina primitivamente da un ibrido di Columbiana Gold incrociata con un ceppo instabile di cannabis afghana. La primissima Skunk era quindi un ibrido al 50%, un incrocio fra una pianta proveniente da una regione in cui si produceva marijuana ed una in cui si produceva hashish. Tutto ciò avveniva intorno al 1969.[2] Questo primo incrocio venne adottato dagli hippy dalla Baia di San Francisco, che diffusero le talee delle femmine più riuscite e che presentavano caratteri più stabili. Pochissimi anni dopo sarà David Watson, conosciuto nell’ambiente underground come Sam the Skunkman, ad incrociare una di queste talee con un pregiato ceppo di cannabis messicana, l’Acapulco Gold, ottenendo così la Skunk #1, progenitrice di una lunga serie di Skunk. La Skunk #1, quindi, è un incrocio indica/sativa a tre vie, ottenuto da ceppi pregiati landrace (locali) per il 75% sudamericana e per il 25% asiatica.

Skunk in gergo significa puzzola e la Skunk #1 deve il suo nome proprio al caratteristico odore terpenico assai intenso, unico e quindi non paragonabile ad altri, che si può apprezzare in vere e proprie folate passeggiando per le stradine del centro storico di Amsterdam. La Skunk è apprezzata dai coltivatori per una serie di ragioni: si tratta di un ceppo robusto, poco sensibile ai parassiti ed assai produttivo, a causa di un rapporto calici/foglie molto favorevole. La Skunk #1 è caratterizzata anche dalla presenza di calici di notevoli dimensioni, più grandi rispetto a qualsiasi altro ceppo di cannabis. Per questi motivi la Skunk #1 ha costituito, a sua volta, la base di partenza per la messa a punto di altri ceppi ed oggi si contano ormai forse centinaia di tipi di cannabis che hanno la Skunk #1 nel proprio DNA.[3] Negli anni ottanta, infatti, Watson vendette le talee del ceppo originale di Skunk #1 agli olandesi e così iniziò la produzione ibridi derivati dalla Skunk.

Ma quale è il profilo terpenico dei principali cannabinoidi nella Skunk #1? Nei migliori siti dei venditori di semi olandesi, quelli che sottopongono ad analisi i loro ceppi, la Skunk #1 viene accreditata di un contenuto in THC elevato (15-20%, massimo mai misurato 22%), ma comunque meno elevato di quello di altri ceppi più potenti ed un contenuto in CBD basso (1%), comunque significativamente superiore a quello delle sative di tipo tropicale tipo le thailandesi.[4] Quello che però a noi interessa notare è che dalla Skunk #1 derivano anche ceppi a contenuto di THC basso e di CBD elevato, come ad esempio La Skunk Haze, che può arrivare al 10% di CBD e che non supera l’8% di THC.[5]

Alla luce di ciò, è assai imprudente affermare che tutto ciò che è ‘skunk’ è ad alto contenuto di THC e basso contenuto di CBD. La Skunk #1 stessa ha comunque un contenuto di CBD significativo se rapportato a quello delle sative ‘pure’, ma esistono ormai decine di ceppi di marijuana che contengono la parola Skunk nel nome del ceppo, caratterizzate da un’elevata concentrazione di CBD. Nell’area di Londra, poi, il tipo di Skunk più diffuso è quello denominato Cheese, ottenuto reincrociando la Skunk #1 con una pianta afghana da hashish e quindi più ricco in CBD, Infatti la Cheese è nota per il suo effetto rilassante e per il suo elevato contenuto in CBD.[6]

 

Skunk-like (high potency): se le categorie di sinsemila e skunk, così come esse sono state utilizzate, sono difficilmente definibili, quella di skunk-like (o simil skunk), seguita da high potency fra parentesi, lo è sicuramente di meno. A cosa ci si riferisce esattamente con il termine ‘simil skunk’ dato che, per come è stato utilizzato, già il termine skunk può comprendere teoricamente qualsiasi infiorescenza e soprattutto come mai il termine skunk-like viene assimilato a quello di cannabis ad alta potenza? In base all’aspetto o ad un effetto soggettivo? Se in base all’aspetto poteva essere di tutto, se in base all’effetto soggettivo, occorre ricordare che negli studi effettuati (e precedentemente citati) i consumatori non riescono quasi mai a determinare la potenza di un ceppo di cannabis in base all’intensità dell’effetto.[7]

 

Se si tiene presente il significato di skunk nello slang londinese, si comprende l’equivoco in cui sono caduti Di Forti e collaboratori: nell’area di Londra (dove lo studio è stato effettuato), con il termine skunk viene indicata semplicemente qualsiasi marijuana di buona qualità. Considerando tutto ciò, non è possibile in alcun modo affermare che, utilizzando il termine ‘skunk’, gli intervistati abbiano indicato una marijuana ad alto contenuto di THC e basso di CBD. Se intervistati nell’area di Londra hanno semplicemente indicato, al massimo, una marijuana di buona qualità.

Se si tiene presente che i termini sinsemilla, skunk e skunk-like sono considerati assieme e ciò che questi termini stanno a loro volta indicare, in particolar modo nello slang londinese, all’interno di essi è possibile comprendere praticamente tutta la marijuana di buona qualità disponibile sul mercato illegale di Londra, indipendentemente dal rapporto THC/CBD.[8]

 

LO STUDIO

Il gruppo di lavoro della Di Forti ha reclutato 410 pazienti al primo episodio di psicosi affettiva o non affettiva (secondo ICD 10) nel territorio Sud di Londra fra il 2005 e il 2011. Nella stessa area geografica, è stato reclutato anche un gruppo di controllo di 370 soggetti sani.  E’ importante rilevare che i due gruppi non presentano caratteristiche sovrapponibili: i pazienti sono significativamente  più giovani, sono più spesso maschi, caraibici o di colore, hanno un livello di istruzione significativamente più basso e sono più frequentemente disoccupati o non hanno mai lavorato (vedi tabella).

Studio skunk: casi e controlli

I dati sul consumo di cannabis sono stati ottenuti da una versione semplificata (non validata) del Cannabis  Experiences  Questionnaire. Particolare attenzione è stata posta al tipo di cannabis assunta (classificata solo simil-hashish o simil-skunk) ed alla frequenza del consumo.

 

LA RILEVAZIONE DEL CONSUMO di CANNABIS

Il consumo di cannabis da parte di pazienti e controlli è stato esplorato attraverso un questionario (non pubblicato). In particolar modo sono stati valorizzati:

  • Frequenza dell’uso di cannabis
  • Tipo di cannabis utilizzata

Per quanto riguarda la frequenza, le opzioni possibili erano: mai, meno di una volta a settimana, durante il weekend, ogni giorno.

Per quanto attiene invece il tipo di cannabis, erano possibili solo due scelte (a parte nessuno), ovvero hash like (tipo hashish) e skunk-like (di tipo skunk). Gli autori precisano che la cannabis hash-like sarebbe a basso contenuto di THC ed elevato di CBD, mentre quella skunk-like avrebbe un elevato contenuto il THC e basso di CBD. Queste scelte e questa visione dicotomica sarebbero coerenti con i risultati di uno studio dei tossicologi forensi sui campioni di cannabis sequestrati in Inghilterra nel 2004-2005[9] e su un rapporto dell’Home Office del 2008.[10]

Da ciò che possibile intendere dall’articolo, gli intervistati potevano fornire le seguenti riposte, a cui venivano assegnati dei punteggi, indicati fra parentesi:

 

Frequenza Mai: 0 Meno di una volta a settimana: 1 Durante il week-end: 2 Ogni giorno: 3
Tipo di cannabis Nessuno: 0 Bassa potenza (hashish): 1 Alta potenza (skunk): 2

 

Incrociando i dati sul consumo, gli autori hanno utilizzato una misurazione a sette item dell’esposizione alla cannabis, secondo le seguenti categorie:

 

0 = mai assunto cannabis di alcun tipo

1= solo hashish meno di una volta a settimana

2= solo hashish ai weekend

3= solo hashish quotidianamente

4= skunk meno di una volta a settimana

5= skunk al week end

6= skunk quotidianamente

 

Skunk o hashish?

 

OSSERVAZIONI SULLA METODOLOGIA UTILIZZATA

La prima osservazione è che la rilevazione del consumo di cannabis, così come è stata effettuata, risulta alquanto schematica e dicotomica e lascia perplessi. Per Di Forti e collaboratori esistono solo due possibilità: o si tratta di hash-like (povero in THC e ricco in CBD) o skunk-like (ricco in THC e povero in CBD). Skunk-like, così come utilizzato, sta però ad indicare semplicemente infiorescenze femminili senza semi. Gli autori affermano di avere effettuato questa scelta in base ai dati dei sequestri e citano due articoli in cui questi dati vengono analizzati, secondo i quali il mercato illegale della cannabis a Londra avrebbe queste caratteristiche. Ma è veramente così? Uno degli articoli è quello del 2008 di Potter e collaboratori (già citato), che valuta 452 campioni di cannabis, provenienti dai sequestri effettuati nel 2005 dalle polizie di cinque contee (Derbyshire, Kent, area metropolitana di Londra, Mersey-side e Sussex). Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta, come specificato nell’articolo,  di sequestri effettuati in strada a spacciatori al dettaglio. Nell’articolo, però, vengono classificati 4 tipi di cannabis, ovvero hashish, sinsemilla, herbal cannabis e powder (quest’ultimo con riferimento al prodotto della battitura delle cime attraverso appositi filtri). Il termine herbal cannabis viene utilizzato per la marijuana di importazione e nell’area di Londra questo tipo di marijuana peserebbe addirittura per il 19% dei sequestri. Per di più l’herbal cannabis ha una percentuale di THC significativamente inferiore a quella della sinsemilla (mediana 2,14% vs 13,98%) e quindi non assimilabile a questa. Una quota significativa di campioni di herbal cannabis di importazione a basso contenuto di THC sono presenti anche nel rapporto dell’Home Office (anche esso già citato e consultabile online). La cannabis powder, poi, dovrebbe essere ancora più interessante nell’eventuale supporto alla tesi della ricerca, visto che ha dimostrato un contenuto medio del 40,63% di THC. Né herbal cannabis né cannabis powder sono però opzioni del questionario.

La domanda è: visto che una quota consistente di pazienti è di provenienza caraibica (verosimilmente giamaicani) e dato che è molto probabile che questi fumassero cannabis di importazione, cosa hanno scelto questi fra hash-like e skunk like?

La seconda osservazione riguarda il modo in cui è stata valutata l’esposizione. A coloro che assumevano skunk una sola volta a settimana è stato assegnato un punteggio superiore a quello assegnato chi assumeva hashish quotidianamente. In termini tossicologici, questo significa che la relazione tossica dose-effetto della cannabis sarebbe di tipo non lineare, ovvero che esisterebbe una soglia minima al di sotto della quale gli effetti tossici non si manifestano e questo è in contraddizione con tutta la letteratura precedente sul rapporto fra cannabis e psicosi, per il quale invece è stato ipotizzato un effetto di tipo lineare. Inoltre le misurazioni del rischio, così come effettuate nello studio, sono proprie e tipiche dell’esposizione di tipo lineare. In termini poveri, non si comprende per quale motivo l’esposizione saltuaria alla skunk dovrebbe avere un effetto tossico superiore di quella prolungata e di lunga durata, se non assumendo che il meccanismo tossico sia di tipo subacuto e non cronico ed intervenga dopo una soglia minima. Questo però rende più difficilmente applicabile l’analisi del rischio.

La terza osservazione è la seguente: possiamo considerare i campioni sequestrati analizzati nei due studi riportati come rappresentativi di tutta la cannabis che circola sul mercato illegale della più grande metropoli europea? Lo studio di Potter e collaboratori è stato pubblicato nel 2008 e si riferisce ai sequestri effettuati nel 2005 in cinque contee, fra le quali Londra. Si tratta in tutto di 452 campioni di cui 158 provenienti dall’intera metropoli (e non solo dall’area sud dove è stato effettuato lo studio). Nel report dell’Home Office, invece, è fotografata la situazione del 2007 ed i campioni provenienti dall’intera area metropolitana di Londra sono 310. Si tratta quindi di due fotografie parziali, effettuate solo sul materiale sequestrato, effettuate in due periodi di tempo limitati ad un anno, mentre lo studio si è protratto continuativamente per 7 anni. Gli autori, quindi, presuppongono un mercato della cannabis stabilizzato, quando esperienza insegna che il mercato illegale è soggetto a mutazioni ripetute e frequenti che si succedono rapidamente. Possono essere 450 campioni raccolti in due anni nell’intera metropoli rappresentativi del mercato illegale lungo sette anni di tempo nella sola sua parte meridionale?

La quarta osservazione è che, al di là dei dati provenienti dai sequestri, che rendono conto solo di una minuscola frazione di un mercato illegale enorme, il gruppo di lavoro applica ripetutamente l’assioma secondo cui il contenuto in THC e CBD della cannabis dipenderebbe dal tipo di derivato e così non è. Il profilo terpenico non dipende dal derivato ma dal ceppo che viene coltivato e se è certamente vero che la coltivazione di cannabis indoor in Inghilterra è esplosa, è altrettanto incontestabile che i semi venduti e coltivati non corrispondono solo a piante con il profilo della sativa pura (elevato THC e basso CBD).

 

I RISULTATI

I risultati dell’elaborazione statistica dei dati sono sintetizzati nella tabella.

 

 

Combinando i dati sulla frequenza dell’uso di of cannabis ed il tipo di cannabis usata in un’unica variabile (vedi prima) i controlli erano più spesso utilizzatori occasionali di cannabis a bassa potenza (hashish) e i pazienti con esordio psicotico erano più spesso utilizzatori quotidiani di cannabis ad alta potenza (skunk-like), p<0.0001.

Da questi dati si ricava che il rischio di sviluppare un disturbo psicotico nelle persone che hanno utilizato la skunk-like sarebbe 3 volte superiore rispetto a quello di chi non ha mai utilizzato cannabis (odds ratio [OR] 2.92, 95% CI 1.52-3.45, p=0.001). L’uso quotidiano di skunk eleverebbe il rischio a  6 volte (OR  5.94 , 95% CI 2.81-11.31, p=0.002). La frazione di popolazione con un primo episodio psicotico attribuibile alla skunk nell’area meridionale di Londra, se si assume un ruolo causale, sarebbe del 24% (95% CI 17-31), verosimilmente dovuta all’utilizzo di cannabis ad alta potenza (53% dei 410 pazienti).

E’ comunque da rilevare che nella discussione gli autori dello studio sono molto più cauti che nel titolo rispetto al possibile ruolo causale della cannabis.

 

LE CONCLUSIONI DELL’ARTICOLO

Le conclusioni dell’articolo, in sintesi, sono che la pronta disponibilità di cannabis ad alta potenza nell’area meridionale di Londra potrebbe aver causato una quota assai rilevante di esordii psicotico attribuibile alla cannabis rispetto agli studi precedenti. In particolare sarebbe l’elevata concentrazione in THC, non sufficientemente controbilanciata dal CBD, ad aumentare il rischio di psicosi in questo tipo di cannabis (vedi prossimi articoli per approfondimenti). Per questo motivo, secondo Di Forti e collaboratori, l’hashish sarebbe un derivato più sicuro.

La Di Forti scarta a priori l’ipotesi che i soggetti con iniziali sintomi psicotici cerchino di automedicarsi utilizzando derivati della cannabis più potenti, affermando che essa è poco verosimile perché ciò peggiorerebbe i sintomi. Questa osservazione, però, non concorda con le innumerevoli osservazioni cliniche (anche di chi scrive) di pazienti con sintomi latenti che in modo deliberato ‘coltivano’ ed esacerbano la propria sintomatologia.

 

Marta Di Forti

 

 

POLEMICA SCIENTIFICA

Alla pubblicazione della Di Forti seguirà una vivace polemica scientifica.

Fra i primi a scrivere a Lancet Psichiatry dopo la pubblicazione della ricerca, un gruppo di ricercatori dell’Università di Bristol, fra i quali Hickman, che si era ripetutamente occupato dell’associazione fra cannabis e psicosi.[11] Gli autori fanno numerosi rilievi. Innanzitutto, secondo gli autori della lettera, i dati della Di Forti non concordano con gli studi nei quali l’associazione fra cannabis e psicosi è più evidente, che sono stati effettuati soprattutto su consumatori di hashish e di marijuana poco potente. Per di più, gli studi più recenti ed autorevoli confermerebbero l’associazione fra cannabis e psicosi solo nei cosiddetti ‘utilizzatori pesanti’ e non fra chi ne farebbe un uso occasionale e moderato. Fatte salve queste premesse, per chi firma la lettera, le significatività riportate nel lavoro della Di Forti potrebbero non riconoscere la motivazione di un effetto biologico, ma potrebbe essere dovuta al fatto che gli individui con una condizione premorbosa per psicosi tendono a selezionare e preferire droghe più potenti. Gli autori concludono che, quantunque sia plausibile che l’uso di marijuana ad alta potenza sia stato riscontrato come associato alla psicosi, andrebbero ricercate anche le altre motivazioni che possono spiegare questa associazione. Per di più, il messaggio per cui l’hashish sarebbe più sicuro non è esente da possibili conseguenze sulla salute.

 

La lettera di Kames Coyne (Università di Groningen) è sullo stesso numero della rivista[12] ed è molto più dura: contesta ‘l’attribuibile alla skunk’ contenuto nel titolo, che pare rivolto ai politici ed ai giornalisti, che non sono in grado di valutare le innumerevoli interferenze contenute nello studio. Innanzitutto Coyne fa notare che i pazienti selezionati provengono dalla parte sud di Londra, un territorio molto particolare e che sono pertanto difficilmente applicabili alla restante popolazione britannica o mondiale. Per di più, secondo Coyne, casi e controlli non presentano le stesse caratteristiche di popolazione: i pazienti sono per 2/3 di colore mentre la percentuale si inverte fra i controlli ed inoltre, oltre che per colore della pelle, casi e controlli presentano differenze significative per sesso, livello di istruzione e condizione occupazionale. Inoltre Coyne fa notare che le informazioni sull’uso di cannabis erano state raccolte attraverso un questionario retrospettivo auto-riportato e che gli intervistati avevano a disposizione solo le opzioni ‘hash’ e ‘skunk’. Secondo Coyne, i risultati potrebbero essere spiegati dal fatto che i pazienti con sintomi psicotici utilizzano tipi di cannabis più potenti per medicare i loro sintomi e comunque se già può essere spericolato tentare di dimostrare un meccanismo causale con uno studio caso-controllo, se i due gruppi non sono ben selezionati questo diventa impossibile.

 

Anche per Timothy Crow, psichiatra ricercatore dell’Università di Oxford le conclusioni della Di Forti sono azzardate e comunque non plausibili.[13] Crow fa notare che la segnalazione dell’associazione fra cannabis e schizofrenia risale agli anni settanta quando la cannabis ad alta potenza non era ancora disponibile in Europa (vedi prima) e che era stata riscontrata con l’hashish, ovvero il derivato della cannabis che la ricerca indica invece come sicuro. Crow poi fa notare che se si sommano nei due gruppi (casi e controlli) le percentuali dell’uso di hashish e quelle di ‘skunk’, si ottiene la medesima percentuale, ovvero il 67%. Per cui sia casi e controlli sarebbero stati parimenti esposti alla cannabis.

 

CONCLUSIONI

La prima osservazione è che la Skunk #1, tirata in ballo da tanti titoli su testate giornalistiche importanti come cannabis in grado di provocare psicosi, non è soggetto in causa e può essere assolta con formula piena. Allo stesso tempo, però,  non è molto chiaro chi sia l’imputato: cercando di districarci fra i tanti termini utilizzati dalla Di Forti, possiamo concludere che sia la marijuana ad alto contenuto di THC e basso di CBD. Un’ipotesi certamente suggestiva, se si tiene presente che il THC è il responsabile delle reazioni psicoticomimetiche, anche nei soggetti sani ed il CBD ha proprietà antipsicotiche. All’inizio del nostro percorso sul rapporto fra cannabis e psicosi, però, ci siamo imbattuti in uno studio, effettuato fra i militari americani stanziati in Thailandia.[14] In quella parte del mondo la cannabis ha concentrazioni di THC assai elevate (intorno al 20%) e praticamente non presenta CBD.  Nello studio, effettuato nel 1975, gli autori fanno notare che dal 40 al 60% dei 45.000 militari dell’aeronautica americana dislocati in Thailandia, utilizzava regolarmente cannabis. Malgrado ciò, in un anno erano stati osservati solo cinque casi di reazioni avverse di tipo psichico associate alla cannabis, peraltro in soggetti con una personalità precedente che viene definita schizoide o borderline.

Anche questo studio, quindi, dimostra una semplice associazione (peraltro abbastanza confusa) e non un meccanismo causale e ciò spalanca le porte alla riflessione sul ruolo dell’informazione nella divulgazione scientifica.

Questo lavoro, però, ad oggi ha raccolto circa 150 citazioni. Viene da chiedersi: quanti di questi hanno dato per buona l’esistenza di un nesso causale?

 

Divider

 

[1] Di Forti M, Marconi A, Carra E, Fraietta S, Trotta A, Bonomo M, Bianconi F, Gardner-Sood P, O’Connor J, Russo M, Stilo SA, Marques TR, Mondelli V, Dazzan P, Pariante C, David AS, Gaughran F, Atakan Z, Iyegbe C, Powell J, Morgan C, Lynskey M, Murray RM. Proportion of patients in south London with first-episode psychosis attributable to use of high potency cannabis: a case-control study. Lancet Psychiatry. 2015; 2(3):233-8

[2] http://www.rollitup.org/t/skunk-1-story.48884/

[3] http://en.seedfinder.eu/strain-info/Skunk_Nr1/Sensi_Seeds/genealogy/

[4] https://www.allbud.com/marijuana-strains/indica-dominant-hybrid/skunk-1

[5] https://www.dutch-passion.com/it/semi-di-cannabis/product/cbd-skunkhaze/

[6] http://ganjanauta.com/semi-di-marijuana-cannabis/cheese-weed/

[7] van der Pol P, Liebregts N, de Graaf R, Korf DJ, van den Brink W, van Laar M. Validation of self-reported cannabis dose and potency: an ecological study. Addiction. 2013; 108(10):1801-8

[8] http://www.slang-dictionary.org/London-Slang/Skunk

[9] Potter DJ, Clark P, Brown MB. Potency of delta 9-THC and other cannabinoids in cannabis in England in 2005: implications for psychoactivity and pharmacology. J Forensic Sci. 2008; 53(1):90-4

[10] http://www.dldocs.stir.ac.uk/documents/potency.pdf

[11] Gage SH, Munafò MR, MacLeod J, Hickman M, Smith GD. Cannabis and psychosis. Lancet Psychiatry. 2015; 2(5):380

[12] Coyne J. Cannabis and psychosis. Lancet Psychiatry. 2015; 2(5):380-1

[13] Crow T. Cannabis and psychosis. Lancet Psychiatry. 2015; 2(5):381-2

[14] Kroll P. Psychoses associated with marijuana use in Thailand. J Nerv Ment Dis. 1975; 161(3):149-56

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