Roland Griffiths e la rinascita degli psichedelici – di Paolo Nencini
Roland Griffiths, uno dei più creativi psicofarmacologi della sua generazione, è deceduto lunedì 16 ottobre all’età di 77 anni dopo una lunga malattia.
Già la sua imponente produzione scientifica sulle proprietà di stimolo di un amplissimo ventaglio di sostanze di potenziale abuso giustificherebbe un suo ricordo in questa sede e ancor più lo giustificherebbero i suoi studi sulle proprietà di rinforzo positivo della caffeina e sulla sua capacità di indurre dipendenza fisica. Sono tuttavia i suoi studi sulla psilocibina, a cui ha dedicato gli ultimi venti anni della sua attività di ricercatore e della sua stessa vita, che fanno di Roland Griffiths un punto di riferimento imprescindibile per tutti coloro che vogliano occuparsi di sostanze psichedeliche.
Incuriosito e forse anche affascinato dal movimento enteogeno che cercava negli psichedelici uno strumento di rinnovata spiritualità e che aveva attratto esponenti della psicofarmacologia americana, Griffiths ebbe il merito di replicare con ben maggiori garanzie metodologiche il famoso esperimento del Venerdì santo.
Come forse si ricorderà, questo esperimento, supervisionato da Timothy Leary e condotto Walter Pahnke, figura eclettica di psichiatra con un master in teologia e dottorando in storia e filosofia delle religioni, consisté nel somministrare in cieco psilocibina o acido nicotinico (come placebo) a due gruppi di studenti di teologia e di loro docenti che si accingevano ad ascoltare il sermone del Venerdì santo presso la cappella dell’Università di Harvard. Utilizzando un questionario ad hoc elaborato dallo stesso Pahnke, ne risultò che coloro che avevano ricevuto psilocibina avevano avuto una più intensa esperienza spirituale con tre dei soggetti che addirittura avevano raggiunto una esperienza mistica. A distanza di quarant’anni lo studio di Griffiths confermava questi risultati (Griffiths et al. Psilocybin can occasion mystical-type experiences having substantial and sustained personal meaning and spiritual significance. Psychopharmacology (Berl). 2006). Lo studio ottenne una tale risonanza che un neuroscienziato del prestigio di Salomon Snyder arrivò addirittura a scrivere sulle autorevolissime pagine del New England Journal of Medicine che a questo punto si poteva andare nientemeno che alla ricerca del “brain locus of religion”, individuabile probabilmente nei centri d’origine del sistema serotoninergico cerebrale (Snyder 2008).
Griffiths seppe tuttavia tenersi alla larga sia dalle tentazioni più ingenuamente riduzioniste della neuroteologia sia da quelle che considerano le sostanze psichedeliche strumenti in grado di strappare il velo di opacità che limita le nostre capacità percettive secondo il troppo spesso citato verso di William Blake: “If the doors of perception were cleansed every thing would appear to man as it is: Infinite”. Infatti presto seppe sostituire la locuzione “mystical experience” con la più neutra “quantum change experiences”, intesa come l’insieme di “esperienze improvvise, peculiari, benevoli e spesso profondamente significative che si ritiene causino trasformazioni personali che riguardano un ampio ventaglio di emozioni, conoscenze e comportamenti […]”. Che queste esperienze fossero profondamente significative lo dimostrò uno studio nel quale il farmaco era somministrato in un contesto caratterizzato da un programma di meditazione e di altre pratiche atte a promuovere l’integrazione di valori spirituali nella vita di tutti i giorni (“prosocial values, self-knowledge through examining the nature of mind, and cultivaing a sense of wonder”). Ebbene a distanza di sei mesi i punteggi nel gruppo di domande concernenti proprio quei valori spirituali si mantenevano elevati, a testimonianza di una duratura trasformazione (Griffiths et al. 2018). La robustezza di questo effetto a lungo termine della psilocibina sembra confermata dai risultati, appena pubblicati, di uno studio in cui il farmaco veniva assunto in un contesto naturalistico: “Naturalistic psilocybin use is associated with persisting improvements in mental health and wellbeing: results from a prospective, longitudinal survey”, titola lo studio (Nayak et al, 2023).
Naturalmente Griffiths non poteva restare estraneo alla ricerca di più immediate applicazioni terapeutiche della psilocibina, riprendendo i pionieristici studi di Walter Pahnke che mostravano la capacità degli psichedelici di ridurre l’ansia e migliorare la qualità della vita nei soggetti con cancro terminale e mostrando la capacità della sostanza di ridurre il fumo di tabacco e l’assunzione di alcolici (Johnson et al, 2017). Attivo fino all’ultimo, è stato coautore dello studio multicentrico pubblicato poche settimane fa, che mostra un sostanziale abbattimento dei sintomi della depressione maggiore in seguito ad una singola somministrazione di psilocibina (Raison et al., 2023).
Griffiths ha avuto il coraggio di restituire al regno della ricerca scientifica le esperienze umane ottenute con gli psichedelici sottraendole al diffuso pregiudizio che “la religione, la psicologia, la filosofia, la fenomenologia, l’arte” ne fossero gli unici autentici interpreti. Per questa sua straordinaria impresa di razionalizzazione dell’irrazionale, Roland Griffiths può essere considerato l’anticipatore della rinascita degli psichedelici.
Paolo Nencini
(paolo.nencini @ unitelma.it)