L’epidemia da eroina negli USA (10): la crisi degli oppioidi e la cannabis medica
Nel 2015, i sequestri di marijuana messicana al confine sudoccidentale degli Stati Uniti (il luogo storico di ingresso della cannabis di produzione messicana nel territorio americano) hanno raggiunto il minimo storico del decennio in corso. La polizia di frontiera, infatti, nel corso del 2015 ha intercettato circa un milione e mezzo di libbre (circa 680 tonnellate) di infiorescenze di cannabis pressate a fronte dei quasi 4 milioni di libbre (1800 tonnellate) del 2009 1. Una riduzione di oltre il 60% in soli 6 anni.
La marijuana messicana, pressata e spesso di qualità mediocre, è sempre meno concorrenziale sul mercato americano a causa della sempre maggiore presenza di cannabis prodotta localmente in modo legale e di ottima qualità. Questo ha ridotto il prezzo della marijuana messicana sul mercato illegale e, con esso, anche quello pagato ai contadini che la coltivavano. Più che di riduzione si dovrebbe parlare di crollo dei prezzi, visto che i ricavi dei contadini per un chilo di marijuana si sono ridotti in media del 70% 2.
Secondo il direttore dell’Office of National Drug Control Policy, se si considerano assieme la riduzione dell’importazione di marijuana dal Messico e l’aumento del consumo di cannabis negli USA, se ne ricava che ormai la maggior parte della cannabis consumata negli USA è di produzione locale 3.
La crescente domanda di derivati dell’oppio da parte del mercato americano e la sempre maggiore disponibilità di marijuana di buona qualità prodotta localmente, sia essa legale che illegale, hanno orientato le scelte dei narcos e dei contadini messicani, che hanno in parte abbandonato la cannabis e puntato sull’eroina, il fentanyl e la metamfetamina. Questi, però, non sono affatto rassegnati a perdere il più grande mercato mondiale della cannabis. Nel National Drug Assessment del 2015 la DEA scrive: “La qualità della marijuana prodotta in Messico e nei Caraibi è ormai inferiore a quella della marijuana prodotta localmente negli Stati Uniti ed in Canada. Secondo le nostre indagini, i cartelli messicani starebbero organizzandosi per la produzione di marijuana di alta qualità, in modo da restare concorrenziali sul mercato illegale americano” 4.
Negli Stati Uniti, la produzione di cannabis si concentra soprattutto in California, dove la cannabis medica esiste ormai da 20 anni, le norme per la prescrizione sono tutt’altro che rigide, il numero di pazienti elevato. In California viene prodotta la maggior parte della cannabis legale degli Stati Uniti, ancor più che in Colorado, dove è disponibile la cannabis ricreativa. Anche la produzione di marijuana illegale statunitense si concentra soprattutto in California: secondo la DEA iil 60% delle piante di cannabis illegali sequestrate nel 2014 negli Stati Uniti sono state eradicate in California5.
La California ha una lunga tradizione in fatto di coltivazione e selezione di cannabis, che dura da circa mezzo secolo. La maggior parte dei ceppi di cannabis più famosi, venduti oggi nei coffeshop di Amsterdam (come ad esempio la skunk), sono stati ibridati negli anni ’60 e ’70 in California e trasferiti in Olanda all’inizio della war on drugs. Anche la cannabis di produzione illegale coltivata in California ha una qualità di gran lunga superiore di quella messicana, al punto che sono stati registrati casi di reverse smuggling, ovvero di esportazione di cannabis di produzione californiana da parte dei cartelli verso il Messico6.
Se la presenza della cannabis medica e di quella ricreativa in molti stati americani ha orientato le scelte dei narcos, questa sembra aver avuto un effetto protettivo sull’epidemia da oppioidi in quegli Stati che l’hanno adottata, soprattutto in quelli che l’hanno fatto da più tempo.
- Secondo uno studio pubblicato su JAMA, la mortalità attesa per overdose da oppioidi nel periodo 1999-2010 è stata significativamente inferiore (di almeno il 25%) negli stati in cui era presente la cannabis medica. Secondo gli autori dello studio, la riduzione della mortalità per overdose da oppioidi sarebbe dovuta soprattutto al loro minore utilizzo nella terapia del dolore e del maggior ricorso alla cannabis come analgesico7.
- Uno studio realizzato dalla Columbia University’s Mailman School of Public Health ha analizzato gli incidenti stradali dal 1999 al 2013 in 18 stati americani. Dallo studio, pubblicato sull’American Journal of Public Health, è emerso che, negli stati in cui era presente la cannabis medica, il numero di incidenti stradali in cui gli autisti risultavano positivi agli analgesici oppioidi era stato significativamente inferiore, in particolar modo nella fascia di età fra i 21 ed i 40 anni8.
- Secondo alcuni ricercatori, che hanno pubblicato i loro risultati sul British Medical Journal, il District of Columbia ed altri 17 stati in cui era presente la cannabis medica hanno risparmiato complessivamente nel 2013 circa 165 milioni di dollari di spese sanitarie9.
- Il numero delle prescrizioni di analgesici oppioidi, di antidepressivi, di ansiolitici e di antiemetici è significativamente inferiore nei 18 stati in cui è presente la cannabis medica10.
Questi ed altri studi, nonchè i risultati preliminari di altri in corso, sembrano indicare una riduzione significativa delle conseguenze dell’epidemia da oppioidi in corso negli stati dell’Unione che, in qualche modo, hanno regolamentato il consumo di marijuana, a fini medici e/o ricreativi.
Sulla scorta di queste ed altre osservazioni, in alcuni stati si inizia a discutere anche di utilizzo della cannabis nel trattamento della dipendenza da oppioidi. Un movimento simile è nato nel Maine ed è capitanato da un medico osteopata che utilizza la cannabis invece degli oppioidi, che sostiene di averne verificato personalmente gli effetti in suoi pazienti precedentemente intossicati da questi farmaci. La sua richiesta per il momento è stata respinta, soprattutto per mancanza di sufficienti evidenze scientifiche11.
Per quanto venga contestato ancora da molti, l’effetto analgesico della cannabis è ormai largamente documentato. Nel 2015 è stata pubblicata su JAMA un’analisi effettuata su 79 studi, secondo la quale la cannabis produrrebbe una riduzione del dolore di almeno il 30% rispetto al placebo12. Secondo altri studi, all’effetto analgesico della cannabis contribuirebbero, oltre che un’azione diretta sulle vie del dolore, anche le sue proprietà antiinfiammatorie13, 14. Secondo molti medici, infine, l’utilizzo contemporaneo di cannabis nei pazienti in trattamento con oppioidi per dolore severo, riduce significativamente il dosaggio di oppioide necessario e con esso il rischio di abuso.
In base a queste evidenze, il senatore del Massachussets Elisabeth Warren ha scritto una lettera al Direttore dei CDC chiedendogli espressamente di investigare “l’efficacia della marijuana medica come alternativa agli oppioidi nel trattamento del dolore”15. Secondo il Boston Herald, inoltre, alcuni medici del Massachussets stanno già prescrivendo cannabis ai loro pazienti dipendenti da oppioidi, malgrado le autorità sanitarie dello stato non abbiano espresso alcuna posizione circa la possibilità di prescriverla con questo tipo di indicazione 16.
Sempre più medici americani sono convinti dell’efficacia della cannabis medica nella terapia del dolore e la considerano un’utile alternativa agli oppioidi ed ai FANS, con effetti collaterali e conseguenze sulla salute pubblica molto più modesti. Le evidenze disponibili sono state giudicate già sufficienti dallo stato del Minnesota, che nel 2015 ha aggiunto il dolore cronico alle indicazioni per cui è possibile prescrivere la marijuana17.
Oggi la cannabis medica è disponibile in 25 stati americani mentre quella ricreativa in 4 e nel District of Columbia. Il prossimo novembre gli elettori di Arizona, California, Maine, Massachusetts e Nevada saranno chiamati a decidere e la cannabis ricreativa potrebbe diventare legale in dieci stati. Nell’intricato e drammatico quadro dell’epidemia da oppioidi in atto, la marijuana allarma sempre meno gli americani e viene sempre più vista come una possibile alternativa, quasi una speranza.
La sola, bisogna ammetterlo, che finora sia stata capace di ridurre in modo sensibile la portata del dramma da oppioidi in alcuni stati.
- https://www.cbp.gov/sites/default/files/documents/USBP%20Stats%20FY2015%20sector%20profile.pdf ↩
- http://www.latimes.com/world/mexico-americas/la-fg-mexico-marijuana-20151230-story.html ↩
- https://www.whitehouse.gov/sites/default/files/ondcp/OLA/ondcp_statement_for_nov_17_senate_drug_caucus_mexico_hearing_–_final.pdf ↩
- https://www.scribd.com/document/290193769/2015-National-Drug-Threat-Assessment-Summary ↩
- https://www.dea.gov/ops/cannabis_2014.pdf ↩
- http://www.usnews.com/news/articles/2014/12/02/dea-cartels-now-smuggle-us-pot-into-mexico ↩
- Marcus A. Bachhuber, Brendan Saloner, Chinazo O. Cunningham et al Medical Cannabis Laws and Opioid Analgesic Overdose Mortality in the United States, 1999-2010. JAMA Intern Med. 2014; 174(10):1668-1673 ↩
- http://ajph.aphapublications.org/doi/pdf/10.2105/AJPH.2016.303426 ↩
- http://www.bmj.com/content/354/bmj.i3942.full ↩
- http://content.healthaffairs.org/content/35/7/1230 ↩
- http://www.pressherald.com/2016/04/19/advocates-ask-state-regulators-to-consider-medical-marijuana-as-treatment-for-opiate-addiction/ ↩
- Penny F. Whiting, Robert F. Wolff, Sohan Deshpande, et al. Cannabinoids for Medical UseA Systematic Review and Meta-analysis. JAMA. 2015; 313(24):2456-2473 ↩
- Zurier RB, Burstein SH. Cannabinoids, inflammation, and fibrosis. FASEB J. 2016 Jul 19. Epub ahead of print ↩
- Rajan TS, Giacoppo S, Iori R, De Nicola GR, Grassi G, Pollastro F, Bramanti P, Mazzon E. Anti-inflammatory and antioxidant effects of a combination of cannabidiol and moringin in LPS-stimulated macrophages. Fitoterapia. 2016; 112:104-15 ↩
- http://www.warren.senate.gov/files/documents/2016-2-8_Letter_to_CDC_re_opioid_epidemic%20research.pdf ↩
- http://www.bostonherald.com/news_opinion/local_coverage/2015/10/doctors_pioneer_pot_as_an_opioid_substitute ↩
- http://www.startribune.com/minnesota-to-allow-pain-patients-into-pot-program/360035981/ ↩