Ricerca preclinica e sostanze d’abuso: è iniziato il Countdown
Già nel 2014 una delle più prestigiose riviste del mondo Nature Neuroscience pubblicò un editoriale sull’allora proposta di legge poi purtroppo, divenuta legge (D.L. 26 G.U. Serie Generale n.61 del 14-3-2014). L’editoriale riportava: “Una legge miope proposta nel parlamento italiano potrebbe azzoppare la ricerca scientifica nel paese. ……….. la nuova legislazione renderebbe quasi impossibile la ricerca in campo di tossicità, o anche quella sulle terapie a base di cellule staminali. E così i ricercatori italiani sarebbero costretti a cambiare ricerca, o addirittura emigrare». Senza contare le ripercussioni sui finanziamenti a livello internazionale: «Una legge di questo genere di fatto impedisce i protocolli in vivo e così rende difficile, se non impossibile, attirare fondi europei, spingendo – di nuovo – i ricercatori italiani ad andare all’estero a fare ricerca. Una situazione sicuramente disastrosa per la ricerca biomedica del paese.
All’epoca la biologa e Senatrice a vita Prof. Elena Cattaneo, nel corso di una Lectio Magistralis a Milano, auspicò la creazione, in Senato, di un laboratorio sui generis: un gruppo di persone che insieme lavorino per creare «un ponte tra la politica e la scienza». La stessa ricercatrice spiegò: «La politica disprezza la scienza. Anzi, non sa nemmeno cosa sia. Tanto che noi scienziati non siamo mai consultati in modo costruttivo. Ecco, sarebbe bello poter creare questo ponte, per proporre quesiti, accendere un faro».
La legge è passata, la sperimentazione preclinica è stata ingessata ulteriormente e potrebbe essere abolita la ricerca preclinica sulle sostanze d’abuso. Vorrei solo ricordare che il nostro paese ha il fior fiore di scienziati che da anni lavorano nel settore. Le nostre ricerche nel campo sono accreditate in tutto il mondo, il National Institute of Drug Abuse (NIDA), ha come punto di riferimento le scoperte dei scienziati italiani. Il Prof. Di Chiara, per le Sue ricerche sull’argomento vanta per i Suoi articoli, numeri di citazioni che non hanno eguali nel mondo, per esempio arriva fino a 25.550 (dato del momento in cui scrivo).
Grazie agli studi italiani le conoscenze scientifiche sulla tossicodipendenza (TD) e sul suo trattamento sono notevolmente aumentate nel corso degli ultimi due decenni. Oggi, abbiamo una migliore comprensione degli effetti delle droghe sul cervello, maggiori trattamenti innovativi e più efficaci rispetto al passato. Un cambiamento del panorama dell’Addiction sta fornendo opportunità per migliorare ulteriormente la qualità della prevenzione e del trattamento. La dipendenza rimane un problema di Salute Pubblica, e questa sfida si propone di accelerare i progressi nel campo dell’Addiction tramite la ricerca e quindi a maggior ragione dovrebbe essere incentivata e non affossata. Tutti dovrebbero capire, e non solo coloro che sono formalmente coinvolti nella patologia di favorire nuove idee e innovazioni che attingono a concetti o tecnologie, provenienti da altre discipline per far crescere gli investimenti e l’interesse per la ricerca. Che il campo della ricerca preclinica a livello mondiale, deve essere sempre più controllato e meglio normato per evitare eventuali abusi, e minimizzare le sofferenze e il disagio degli animali (ma già da tempo è così) è sempre cosa buona. La salvaguardia degli scopi della Salute Pubblica è, e rimane di primaria importanza. Questa non è una cosa di poco conto, in quanto gli scienziati non sono una banda di sadici e di torturatori, ma solo delle persone che lavorano più di 15 h/die per il bene di tutti, e infine, la rivista Nature che non è italiana, non ha nessun interesse, oltre il progredire della Scienza, per quanto affermato nell’editoriale soprariportato. Ma la cosa che non capiamo è perché solo l’Italia, nega la sperimentazione preclinica per le sostanze d’abuso. Ci sono delle motivazioni scientifiche, e allora che ci vengano spiegate, perché altrimenti siamo alle solite, è il pregiudizio morale che orienta le scelte politiche. Forse chi ha scelto di drogarsi non merita che si trovi una cura adeguata per riprendersi una vita negata?
Sarei davvero deluso se si pensasse ancora al “Tossicodipendente” come un vizioso che non sa cosa fare della Sua vita. E’ mai possibile che esistono ancora convinzioni di comportamenti da registrare nella sfera della devianza, dell’immoralità, della criminalità, e per esse si reclamano consapevolmente o meno, esplicitamente o meno soluzioni sotto forma di trattamenti contenutivi, punitivi rieducativi. L’aspetto sanitario del problema (medico, psicologico, assistenziale), è ancora spesso visto nell’ottica delle patologie correlate, e soprattutto ancora viene sottovalutata la dimensione neurobiologica di tutti i fenomeni più tipici dell’Addiction, dalla tolleranza al craving. La mia grande preoccupazione è che le opinioni sono tutt’ora su un piano ideologico, valoriale, saldamente legate agli “a priori” piuttosto che trasferite nell’ambito della ricerca. Non solo, ma spesso “che cosa è la tossicodipendenza” è un implicito nel discorso stesso; la discussione si accende sulle soluzioni, sugli interventi necessari, più che nella ricerca di chiarire quale sia il problema su cui si vuole intervenire; molte volte solo con un processo a ritroso, a partire dai rimedi proposti, si può ricavare la concezione di “TD” sottesa (implicita, magari inconsapevole). Da questo consegue che la ricerca debba essere negata e arrivare alla “negazione delle possibili nuove cure” dettate dalla ricerca, nonostante da più parti è stato detto che negare il progresso, la ricerca e l’accesso alle migliori cure rappresenta un crimine contro l’umanità. Oggi, dovrebbe essere noto a tutti che la “TD” è fondamentalmente una patologia cerebrale, ciò è definitivamente suggerito dalla numerosissime ricerche scientifiche. La vecchia concezione che la “TD” sia un disturbo puramente comportamentale, caratterizzato “internamente” dal bisogno impellente di assumere la sostanza, ed esternamente da un comportamento compulsivo di ricerca della sostanza stessa. La principale manifestazione fisiopatologia del quadro tossicomanico era considerata la sindrome di astinenza. Da un punto di vista neurobiologico, tuttavia, è oggi noto, grazie soprattutto alle ricerche precliniche e cliniche, che il cervello di un soggetto “Tossicodipendente” è qualitativamente diverso da un cervello di un soggetto sano, come si evidenzia ad esempio per quanto riguarda la riduzione complessiva del metabolismo glucidico, oppure modificazioni intraneuronali dell’espressione genica. Anche le scienze comportamentali hanno peraltro presentato significativi avanzamenti delle conoscenze sulla “TD”. Entrambe queste linee di ricerca (cerebrale e comportamentale), hanno potenzialmente delle evidenti implicazioni dal punto di vista terapeutico. I progressi in campo neurobiologico rappresentano dei passi iniziali nell’identificazioni delle modificazioni indotte dall’abuso cronico di droghe, e fanno intravedere la possibilità di affrontare le basi fisiologiche dell’impellente bisogno di assumere sostanze stupefacenti. A maggior ragione, quindi, convinto come sono che l’approccio alle dipendenze e all’Addiction, sia da perseguire in un’ottica multimodale integrata tra ricerca preclinica e ricerca clinica, auspico che ciò sia governato e pilotato dal sapere scientifico che sempre più alimenta il nostro campo di azione entrando, finalmente a pieno titolo nel settore dell’Addiction. Che vengano in ultimo superate dimensioni parziali e monche, che hanno finora impedito che tale processo, espressivo del progresso della scienza e delle tecnologie mediche, avesse luogo. Spero che non si pensi che è un orrore la ricerca preclinica per chi ha deciso di assumere sostanze stupefacenti e in un certo modo se le cercata. Altrimenti perché tale contraddizione con il punto c) della Legge 26/2014 che consente la ricerca finalizzata alla cura e l’art. 13, al punto f), vieta l’utilizzo degli animali per lo studio dei xenotrapianti e delle sostanze d’abuso. Purtroppo i dati (2012), ci dicono che le tossicodipendenze riguardano oltre 2.000.000 di italiani e pertanto, la conoscenza dei meccanismi della dipendenza è essenziale per lo sviluppo di terapie adeguate.
Chi è molto attento sulle innovazioni sono gli stessi scienziati, è notizia di queste ore che uno studio nell’ambito dell’ambizioso progetto Toxicology in the 21st Century (Tox21) è stato pubblicato su Nature Communication. Lo studio condotto da Ruili Huang, dell’Istituto Nazionale per la Salute USA (NIH), suggerisce che la tossicità dei farmaci, finalmente si potrà testare su colture cellulari. Solo che i tempi non sono certi e gli stessi autori spiegano che i risultati dovranno essere ulteriormente analizzati. Ma qui si tratta solo di saggiare la tossicità e non di indagare sulle malattie e studiare i meccanismi patologici, quindi in questo caso allo stato attuale è improbabile poter trovare uno strumento alternativo per il progresso della scienza medica. Nel caso della tossicodipendenza dove sono necessari studi comportamentali come si potrà fare ricerca sulle colture cellulari. Qualcuno crede che le cellule in questi modelli sperimentali si autosomministrerebbero le sostanze d’abuso o queste cellule potrebbero espletare compiti cognitivi multiformi. E’ chiaro che gli animali s’impiegano solo quando non se ne può fare a meno e comunque è necessario sempre il parere di un Comitato Etico e l’autorizzazione del Ministero della Salute» per poter effettuare la sperimentazione. Infatti, è paradossale che proprio nel nostro paese che è uno dei più avanzati da questo punto di vista si voglia bloccare la ricerca. La legislazione italiana è tra le più severe del mondo, prevede che debbano essere adottate tutte le precauzioni affinché sia evitata qualsiasi sofferenza agli animali che entrano nella sperimentazione. Tutti i ricercatori sanno che l’organismo di un animale che soffre non produce dati attendibili. È’ lapalissiano che lo stesso ricercatore ha a cuore di mettere in atto tutte le precauzioni per avere condizioni ottimali. Saremmo i primi a gioire se un metodo alternativo fosse veramente in grado di sostituire l’attuale.
L’ultima parola o la penultima (Corte di Giustizia Europea utilizzando il dispositivo del comma 2 della direttiva UE) spetta a quanto stabilito nella legge. Infatti, il Ministero individua nel Laboratorio del reparto substrati cellulari ed immunologia cellulare dell’Istituto Zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna, nell’ambito delle risorse umane disponibili a legislazione vigente, il punto di contatto unico incaricato di fornire consulenza sulla pertinenza normativa e sull’idoneità degli approcci alternativi proposti per gli studi di convalida. Ciò è previsto entro il 30 giugno 2016 e infine con esito negativo la legge entrerà in vigore il 1 gennaio 2017.
Un ultima parola la voglio spendere per riportare nei canoni della scienza la questione e non dover assistere ancora una volta a ciò che è successo proprio in questi giorni: l’ennesima strumentalizzazione dell’argomento, sono fermamente convinto che ciò in un altro paese sicuramente non sarebbe possibile. Invece qui avviene che testate nazionali diano spazio a mistificazioni e a notizie che niente hanno a che vedere con la scienza che persegue sempre e in ogni caso il bene dell’umanità. Si improvvisano sedicenti esperti che hanno la presunzione di trattare argomenti delicati e molto specialistici, presumendo e senza tener contro che le evidenze a livello mondiale in questo particolare campo, vanno tutte in un’unica direzione.
In conclusione, chiedo a Tutti Voi di iniziare i una mobilitazione fattiva e costruttiva per eliminare questa scellerata scelta che la politica del nostro paese ha intrapreso. Noi della SITD riteniamo che questa sia una priorità della nostra Società Scientifica e che quindi siamo determinati a dare battaglia fino all’ultimo, confidando nella Vs collaborazione per tutte le iniziative che intraprenderemo o che verranno intraprese.
2 pensieri riguardo “Ricerca preclinica e sostanze d’abuso: è iniziato il Countdown”
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Io credo che una possibile mobilitazione efficace sia di replicare per le rime – nei social network come Facebook o Twitter – a coloro che vorrebbero azzerare la ricerca preclinica.
Spiegando con convinzione e fermezza le ragioni per cui è necessaria, si possono raggiungere in questo modo tantissime persone, ed esercitare un’azione di convincimento che alla lunga può riflettersi sul legislatore.