Le limitazioni all’affidamento del metadone nella Regione Umbria
Mi è stato chiesto di esprimere un giudizio scientifico sul provvedimento della Regione Umbria circa il trattamento domiciliare degli stati di dipendenza da con farmaci oppioidi: questa richiesta mi ha messo in difficoltà, perché è difficile confutare scientificamente un provvedimento di tipo politico-demagogico, che di scientifico ha molto poco, che interferisce gravemente con i processi della cura e della riabilitazione e che lede i diritti delle persone in cura, perpetrando lo stigma della tossicodipendenza e limitando le prerogative dei curanti. Un provvedimento ingiustificato e per di più inopportuno. Una reazione ‘di pancia’ ad un fatto di cronaca, che rischia di creare molti più danni di quelli che vorrebbe prevenire e per di più in gran parte inapplicabile.
Il primo concetto su cui è opportuno richiamare l’attenzione è che la diversione, ovvero il fatto che i farmaci vengano utilizzati da persone diverse da quelle cui sono stati prescritti, non è una prerogativa dei farmaci oppioidi, anzi. La diversione è un fenomeno, ahimè, diffusissimo. Milioni di persone ogni anno si improvvisano medici e consigliano e cedono ad altri farmaci antinfiammatori, antibiotici, tranquillanti, antidepressivi etc, che vengono ceduti a figli, vicini di casa, amici e parenti e regolarmente assunti in mancanza di una prescrizione e di una valutazione medica, provocando disastri. Basta consultare le statistiche sugli avvelenamenti, riportate altrove su questo blog, ma ciò non fa notizia e non genera né indignazione né reazione alcuna. La diversione dei farmaci oppioidi rappresenta solo una piccolissima quota nel fenomeno più generale della diversione dei farmaci e questo grazie alla rete diffusa di servizi pubblici, prerogativa del nostro Paese, che esercita un monitoraggio clinico ravvicinato delle terapie con farmaci oppioidi negli stati di tossicodipendenza. La prova di ciò sta nel fatto che gli episodi mortali da avvelenamento da farmaci oppioidi (e da metadone in particolare) sono una decina ogni anno, ovvero 500 volte di meno, ad esempio, di quanto accade negli Stati Uniti e molti di meno di quanti se ne registrino ogni anno negli altri Paesi europei. La terapia con metadone espone ad un rischio clinico, ma la gestione di questo rischio nel nostro Paese può essere considerata eccellente, visti i numeri esigui ed è anche grazie alla terapia con metadone se oggi in Italia le morti per overdose si sono ridotte di cinque volte rispetto agli anni Novanta e se l’infezione da HIV negli eroinomani iniettori è pressoché scomparsa. Per tutti questi motivi il provvedimento in oggetto è ingiustificato, nonché offensivo ed irriguardoso del grande lavoro svolto negli ultimi decenni dai servizi pubblici per le dipendenze. Le decisioni prese in conseguenza di singoli episodi e non di un andamento generale rischiano di provocare danni molto seri.
La Take Home Methadone Therapy (affido domiciliare)
La Take Home Therapy del metadone consiste nell’affidare al paziente stabilizzato i dosaggi di farmaco (in genere una settimana) per l’assunzione domiciliare della terapia. Questa soluzione si rende necessaria ogni qualvolta, per motivi oggettivi, il paziente non riesca a raggiungere quotidianamente l’ambulatorio ma non solo. La scelta di affidare il farmaco, infatti, ha di per sé un valore clinico e terapeutico, per svariate ragioni: riduce le occasioni di contatto con altri pazienti tossicodipendenti, consente di mantenere un lavoro (i pazienti in trattamento con metadone hanno una capacità lavorativa assolutamente normale), consente di frequentare la Scuola e l’Università. In altri termini l’affidamento del farmaco favorisce il reinserimento e la compatibilità sociale. Non ultimo, l’affidamento del farmaco consente di limitare gli inopportuni e problematici assembramenti nelle vicinanze degli ambulatori, favorendo la loro compatibilità ambientale e si rende sempre più necessario a causa dei tagli che hanno colpito i servizi in tutto il Paese. Dulcis in fundo, l’affidamento del farmaco in epoca di pandemia costituisce altresì una strategia irrinunciabile di contenimento della stessa.
La soluzione individuata per ridurre il rischio di diversione nel provvedimento della Regione Umbria è quella di affidare il farmaco solo ai pazienti che risultino negativi a tutte le sostanze d’abuso. Questa parte del provvedimento è molto più che discutibile, nonché inefficace ai fini del risultato che si proporrebbe di ottenere e clinicamente assai inopportuna e dannosa. Subordinare l’affidamento del farmaco al risultato della terapia porta con se molte possibili conseguenze negative e può essere clinicamente di intralcio nel percorso terapeutico. Del resto, non mi risulta neppure che l’insulina venga affidata a domicilio solo ai pazienti diabetici che effettuino ferramente la dieta e neppure che i farmaci cardiovascolari vengano affidati solo a coloro che abbiano smesso di fumare. Soprattutto, però, non è assolutamente vero che la condizione di assoluta astinenza dalle droghe metta al riparo dal fenomeno della diversione, anzi, nella mia esperienza clinica i più grandi venditori di metadone erano assolutamente ‘puliti’. Vi sono poi numerosi casi in cui l’astinenza si riesce ad ottenere proprio attraverso l’affidamento del farmaco, riducendo le possibilità di contatto del paziente con il mondo della tossicodipendenza. La cosa peggiore di questo tipo di approccio, però, è il vulnus grave alla relazione terapeutica: per non perdere l’affido i pazienti inizieranno a nascondere, a mentire, a manipolare le urine. Un orribile film già visto e che appartiene ad un passato che non vorremmo più rivedere. E’ assolutamente corretto affidare il farmaco solo agli ‘affidabili’, ma ciò che il medico deve valutare è la capacità del paziente di gestire e custodire correttamente il farmaco. Questa capacità prescinde dallo stato di astinenza.
Si tratta quindi di un provvedimento irragionevole ed inefficace rispetto al fine stesso che si propone, che non trova motivazioni nella dimensione del fenomeno e che è potenzialmente dannoso sul piano clinico. Un provvedimento emanato sulla scorta di un singolo episodio, benché molto brutto, che rischia di peggiorare notevolmente le cose, ostacolando il lavoro e gli studi di quanti faticosamente stanno cercando di curare la loro dipendenza, sforzandosi di funzionare come persone normali. Un provvedimento che vorrebbe ricacciarli indietro in ambulatori-ghetti sovraffollati, in fila per ritirare quotidianamente la loro dose, come barboni alla mensa dei poveri. Nulla a che fare né con la riabilitazione e neppure con il reinserimento sociale.
Le limitazioni sull’affidamento del farmaco non sono l’unico strafalcione di questo provvedimento e dei documenti ad esso collegati, ve ne sono di altrettanto gravi, tanto da meritare di essere affrontati a breve in una trattazione a parte.
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