Tre adolescenti morti per overdose che potevano essere salvati
Negli ultimi mesi vi sono stati almeno tre decessi per overdose a carico di persone molto giovani, che si sarebbero potuti evitare, se solo queste persone fossero state soccorse in tempo.
I FATTI
- Nel luglio scorso, a Genova, una ragazza di 17 anni è morta per aver assunto una dose eccessiva di ecstasy (associata a bevande alcoliche) assieme al suo fidanzatino di poco maggiorenne e ad un’altra coppia, anche questa composta da un maggiorenne ed una minorenne. La ragazza non è morta subito, ma vi sono state ore drammatiche e concitate, durante le quali i presenti hanno esitato a chiamare, soprattutto per il terrore delle conseguenze e delle indagini. A farlo alla fine è stato un operatore ecologico, che ha visto la ragazzina riversa a terra. I suoi amici non volevano ancora. Avevano paura, ma lei era stesa per terra e tremava e chi ha chiamato non ha esitato. L’audio drammatico della telefonata (ormai purtroppo tardiva) è stato reso pubblico.
- Meno di un mese fa, in un paese in provincia di Avellino, un ragazzo di 17 anni che era ospite di un amico più grande, ha assunto metadone (ceduto da quest’ultimo) a scopo “ricreativo”. Il metadone è un farmaco sicuro quando viene utilizzato nei tossicodipendenti, ma se viene assunto da una persona priva di tolleranza agli oppioidi può causare facilmente una brutta overdose. Qualche ora dopo il minorenne è entrato in coma e contemporaneamente il suo amico nel panico. Ha iniziato a fotografare e fare video al ragazzino in coma per mandarli agli amici per avere una consulenza, chiedere se stava abbastanza male da dover chiamare l’ambulanza, cosa che non voleva fare. Anche in questo caso per paura delle conseguenze. Quando si finalmente è deciso, la vittima è stata trasportata in ospedale in codice di massima gravità, ma era ormai troppo tardi. Non si è più risvegliato ed è morto qualche giorno dopo all’ospedale di Avellino.
- Dopo poche settimane dal decesso di Avellino, il caso di P. occorso a Macerata, che ha scosso l’intero Paese. Le indagini sono ancora in corso, ma è sempre più chiaro che la diciottenne è morta per overdose da eroina e che la persona accusata, anche in questo caso, è andata ‘nel pallone’ (probabilmente perché clandestino e con precedenti penali) e non ha chiamato i soccorsi, forse fuggendo via. La persona accusata, infatti, è trattenuta solo con l’accusa di occultamento e vilipendio di cadavere, non di omicidio. Non è chiaro se sia stato lui a smembrare il corpo, quello che veramente importa è che è stata l’eroina ad uccidere P. e che poteva essere salvata.
Tre persone sono morte. Due ancora adolescenti ed una appena maggiorenne. In tutti e tre i casi queste persone potevano essere salvate ed in tutti e tre i casi i soccorsi non sono stati allertati o sono stati allertati troppo tardi, per timore delle conseguenze.
GLI ANTEFATTI
Che vi fosse un clima di questo tipo e che la tendenza a non chiamare si stesse sempre più diffondendo fra gli eroinomani, fra gli altri consumatori di droghe ed in qualche caso anche fra i comuni cittadini, era già chiaramente emerso nelle notizie di stampa riguardanti le overdose non fatali, come si evince da alcuni esempi recenti.
- A settembre scorso, in provincia di Caserta, un quarantenne incosciente, in overdose da eroina, è stato scaricato da un’automobile, che si è poi allontanata, davanti all’ingresso del Pronto Soccorso dell’ospedale. Una scena cui non si assisteva da decenni e che riporta indietro l’orologio della storia del nostro Paese.
- Un mese dopo, a Civitanova Marche, un gruppo di ragazzi stava facendo uso collettivo di eroina nei bagni pubblici, quando una di loro ha perso conoscenza. Tutti i presenti si sono dileguati, abbandonando la ragazza incosciente, la quale è stata fortunatamente salvata perché notata da alcuni utilizzatori del bagno, i quali hanno allertato l’ambulanza.
PERCHE’ NON CHIAMANO
Non prestare soccorso ad una persona in pericolo di vita ed incosciente configura un reato molto grave (omissione di soccorso), perseguito dal Codice Penale. Occorre però prendere atto che la tendenza a non chiamare in tempo utile i soccorsi (non è sufficiente chiamare, occorre farlo subito, non appena la persona perde coscienza) non è dovuta ad una particolare indolenza o, peggio ancora, alla disumanità dei “drogati”, ma è soprattutto un comportamento di difesa. Un comportamento sicuramente censurabile, che però riconosce motivi precisi, che discendono soprattutto dall’atteggiamento che hanno sempre più spesso le Forze di Polizia e La Magistratura in occasione di overdose, in quelle fatali ma anche nelle non fatali, ovvero quelle risolte nel migliore dei modi, con lo scampato pericolo della vittima. Riporto due esempi recenti, ma molto emblematici.
- A luglio scorso, nella città di Potenza, un ragazzo di 24 anni viene soccorso in casa per un’overdose da eroina. Subito dopo il risveglio, la sua abitazione viene perquisita dalla polizia e vengono trovati 87,3 grammi di hashish, 1,4 grammi di marijuana e 0,6 grammi di eroina. La persona, appena rianimata, viene subito tradotta in carcere con l’accusa di spaccio di stupefacenti.
- A settembre scorso, in un paesino del Friuli, due cameriere straniere assumono eroina dopo il lavoro a casa di una di loro. Una delle due (l’ospite) si sente male, non perde coscienza ma tende a riaddormentarsi, a non reagire agli stimoli. L’altra, preoccupata e benché sotto effetto della sostanza, allerta subito i soccorsi, senza esitare. L’ambulanza giunge sul posto, pratica la terapia e trasporta la vittima in ospedale. A casa della persona che ha chiamato i soccorsi arrivano anche i carabinieri, i quali effettuano una perquisizione domiciliare rinvenendo circa 15 grammi di derivati della canapa (fra hashish e marijuana) ed un quarto di grammo di cocaina. Così, la persona che aveva chiamato i soccorsi, viene tradotta in carcere con l’accusa di spaccio di stupefacenti (da dimostrare) per il possesso di sostanze illecite per un valore commerciale al dettaglio inferiore ai 200 euro.
LE CONSIDERAZIONI E L’APPELLO
Si tratta di due casi recenti scelti a caso, ma se ne possono trovare tanti altri simili in rete, utilizzando i motori di ricerca. A ciò si aggiunga il fatto che le fotografie di repertorio utilizzate dai giornali per commentare la notizia di un’overdose, sia essa fatale o non fatale, ritraggono sempre più spesso una volante della polizia e quasi mai un’ambulanza. Non si può quindi essere accusati di esagerare se si afferma che oggi, per l’opinione pubblica, l’immaginario del Paese e per la stampa, l’overdose (fatale o non fatale che sia) sia soprattutto un fatto di polizia e non, come dovrebbe essere, un’emergenza sanitaria.
Il fine di qualsiasi Legge è anche quello di divulgare culture positive e di favorire comportamenti virtuosi nei cittadini. Fra questi, vi è sicuramente il soccorso, specie quello operato nei confronti di persone incoscienti, incapaci di badare a se stesse ed in imminente pericolo di vita. L’applicazione della normativa sugli stupefacenti non può e non deve prevalere sul principio inalienabile che la priorità è sempre e comunque quella di salvare una vita. Per questo sempre più paesi (compresi gli Stati Uniti e più recentemente il Canada) si dotano di normative specifiche, che privilegiano soprattutto la tutela dell’incolumità delle persone, prioritaria rispetto a qualsiasi altro principio. L’esistenza di queste Leggi, che proteggono dall’azione penale per piccoli reati di droga sia le vittime che coloro che allertano prontamente i soccorsi (e si trattengono fino all’arrivo dell’ambulanza, prestando assistenza secondo la loro capacità) viene pubblicizzata, per tranquillizzare sulle conseguenze ed invitare le persone a chiamare. Nella nostra normativa, invece, manca questa chiarezza e questo genera procedure (ed una cultura) che non favoriscono certamente il soccorso.
Con molta onestà intellettuale occorre anche affermare che non vi è nessuna evidenza che l’esistenza di queste leggi sia veramente efficace e non ho la pretesa di affermare che se ci fossero state anche in Italia i tre adolescenti sarebbero ancora vivi. Ho però il buon senso di pensare che l’esistenza di queste norme possa ridurre il rischio, favorire la diffusione di una cultura utile e positiva e perfino definire in modo ancora più netto le responsabilità di chi non dovesse chiamare, seppure protetto da una Legge specifica.
Per questo rilancio il mio appello, non senza dolore. Un appello al buon senso, ai cittadini, ai legislatori, alle associazioni, alle società scientifiche. E’ urgente che le nostre norme e le nostre procedure prevedano in modo chiaro e senza possibilità di interpretazioni diverse che, in caso di overdose da droghe o alcol, la priorità assoluta è sempre e soltanto quella di salvare la persona in pericolo, specie in caso di overdose non fatale e che non comporti il decesso di alcuno. Per fare ciò, è necessario privilegiare questo principio rispetto a quello della persecuzione di trasgressioni di secondo piano della normativa sugli stupefacenti. Non ho idea di come ciò si possa fare, ma personalmente reputo questo urgente. Per evitare (o quantomeno per tentare) che altri ragazzini possano ancora morire.