Adolescenti, guai, e riflessioni

Vengo stimolato a riportare qualche contributo su adolescenti e dedizioni che mi pare interessante da un’email di Stefano Canali, di cui abbiamo presentato la settimana scorsa il blog “Psicoattivo”. Stefano mi propone di dare spazio a considerazioni in tema che riporterà in una relazione richiestagli da un’importante istituzione privata, e che ha riassunto in un post del suo blog. Non sono riuscito subito a dare corso a quanto mi ha chiesto, perché assorbito dal lavoro ordinario dell’ambulatorio, che guarda caso includeva quasi subito dopo un intervento scolastico di prevenzione rivolto agli adolescenti. Ho trovato ragazzi e ragazze di 15 anni, bellissimi e spudorati nella loro tranquillità nel parlare con gli operatori del SerT presenti; tutti o quasi si dichiarano fumatori, di tabacco e non; tutti già consumatori di alcolici nelle feste, qualcuno con esperienza di ubriachezza, e qualcuno già finito al Pronto Soccorso.

Non ho saggezza mia personale da elargire sull’argomento, anche se mi piacerebbe essere più bravo, conoscerli e saperci comunicare meglio; metto qui di fila, allora, contributi altrui letti negli ultimi tempi e che ho trovato interessanti, che magari potrebbero essere utili ad altri, oltre che a me, per fare meglio.

Partiamo dal post di Stefano, dal titolo “Adolescenza, maturazione del cervello e vulnerabilità all’uso di sostanze psicoattive”. Qui si discute un dato evidente eppure difficile da spiegare: come mai nell’età in cui i giovani si avviano verso un apice di prontezza e abilità, sia fisica che mentale, la mortalità e la propensione a farsi male paradossalmente aumentano (e di molto) anziché diminuire? Queste conseguenze indesiderabili provengono dalla tendenza degli adolescenti all’impulsività ed all’eccesso, ivi compreso l’uso di sostanze psicoattive.

Stefano trova delle ragioni legate al vantaggio evolutivo ed ai ritmi di maturazione del cervello, differenti tra le sue varie parti, con una temporanea prevalenza delle aree emotive rispetto a quelle più razionali e inibitorie, che vanno a maturazione in anni successivi.

Le spiegazioni di Stefano possono essere integrate, per lo studioso, da una recente review che – pur con contenuti simili – aggiunge, perché rivolta all’ambito accademico, la dovuta bibliografia ed un approfondimento relativamente maggiore: “Neurobiology of Adolescent Substance Use Disorders” . Purtroppo non è disponibile liberamente su internet; ma mi sto convincendo a pubblicare su Dedizioni un articolo che riassume i metodi, sia legali che – ehm – un po’ meno legali, per poter leggere direttamente la Letteratura scientifica, quindi chi è interessato magari controlli più avanti, e avrà modo di trovare pane per i suoi denti.

Stefano nelle conclusioni cerca di delineare, sia sulla base della neurobiologia che del senso comune, una strategia di prevenzione per le conseguenze dannose di questo paradosso.

E la sua strategia, per quanto riferisce, può passare attraverso lo sport (anche se forse non così efficacemente come spereremmo). Sport che potremmo concettualmente ampliare alle attività giocose, quelle che mescolano agonismo, gratificazione, soddisfacimento del bisogno di simulare i nostri comportamenti archetipi di caccia, fuga, guerra e corteggiamento.

Qui viene spontaneo collegarsi alle notizie apparse nella stampa un paio di mesi fa e riportate online da molti siti, sui buoni risultati di un programma di prevenzione per adolescenti adottato dall’Islanda. Tra le tante versioni, voglio riportare qui quelle della rivista Il Post,  “Gli adolescenti impegnati fumano e bevono meno” e dell’agenzia giornalistica AGI, “Così l’Islanda ha sconfitto droga e alcol tra i giovani. Ma nessuno vuole imitarla” . L’Islanda pare che abbia ridotto di molto, nel corso degli anni, il coinvolgimento dei suoi adolescenti in attività a rischio ed in specie nell’uso di sostanze legali e illegali. La ricetta per conseguire questo successo è stata di “offrire ai ragazzi un gran numero di attività extra scolastiche e fare in modo che i genitori passino più tempo con i loro figli, così da renderli molto impegnati e sempre sottoposti al controllo degli adulti”. I numeri sono molto lusinghieri: “un calo dal 42 al 5 per cento nel consumo di alcol, dal 17 al 7 per cento nel consumo della cannabis e dal 23 al 3 per cento nel consumo abituale di sigarette”.

Questa, che sembrerebbe la ricetta migliore per la prevenzione, purtroppo è difficilmente esportabile, per la sproporzione tra la popolazione islandese e quella di qualunque stato o anche di ogni regione italiana (l’Islanda tutta intera ha una popolazione di circa 323mila abitanti, quanto una città di provincia), e per una certa deprecabile tendenza delle nazioni a non investire nelle politiche sociali se non in maniera marginale.

Così purtroppo noi ci troviamo a dedicare più energie sul limitare danni già avvenuti e sulla terapia, in servizi sanitari concepiti per l’emergenza eroina degli anni ’90, e da allora gradualmente deprivati di risorse umane pur previste in pianta organica, fondi per le attività di prevenzione e cura, e spesso anche della dignità di locali a norma di legge. Ci troviamo quindi a salutare come casi eccezionali e meritevoli di menzione iniziative che – avendo a disposizione professionisti fondi e locali come previsto dalle leggi vigenti – dovrebbero invece essere la norma, e far parte dell’ordinario adattamento del sistema di prevenzione e cura al mutamento dei comportamenti reali. Per esempio, come scrive Redattore Sociale, “Droghe, a Trieste il primo Sert per adolescenti. Utenti raddoppiati”, ci mette davanti ad una notizia dove l’eccezionalità dipende soltanto dal contrasto con la generalizzata impotenza a migliorare (che quasi sempre non dipende da mancanza di capacità ed entusiasmo dei professionisti). L’articolo riporta le informazioni della Direttrice di Dipartimento sulle peculiarità della struttura:  “C’è lo spazio per mangiare, il giardino per stare tranquilli – è un luogo informale. Abbiamo voluto creare un’atmosfera accogliente, non ci sono barriere burocratiche e amministrative che vengono prima della persona e la squadra è esperta nel lavoro con gli adolescenti […] il raddoppio avuto tra i giovanissimi non è dovuto necessariamente all’aumento dell’uso, quanto alla maggiore capacità del nuovo servizio di intercettare un bisogno non ancora emerso”.

Non tutti i servizi sono in grado di dedicare personale dedicato e formato e locali specifici e idonei a questa fascia di età. Nella maggior parte dei casi cerchiamo di fare il possibile con le risorse disponibili, pur consapevoli di quanto di più c’è da fare e delle occasioni che si perdono.

Una degli interventi più promettenti, però, per consenso di buona parte degli addetti ai lavori (e pure dei destinatari) è quello che passa attraverso la “peer education”, l’educazione (nel nostro caso promozione della salute e dei corretti stili di vita) tra pari.

Non mi dilungo per il momento sull’argomento, che merita una trattazione più approfondita da parte di esperti, ma mi fa piacere anticipare che, se una serie di contatti già iniziati andrà in porto, la SITD annuncerà un’iniziativa di respiro nazionale che potrà dare una notevole spinta motivazionale alle iniziative di peer education che le equipe stanno progettando o mettendo in campo nelle scuole e nei centri di aggregazione.

Incrociamo le dita; se funzionerà, saremo felici di dare l’annuncio qui su Dedizioni.

 

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