La terapia domiciliare con metadone (“affido”)

Come si vede dallo screenshot e come si può leggere online, c’è chi reagisce ai casi di avvelenamento da metadone rivenduto da pazienti in terapia pensando di abolirne la disponibilità come terapia domiciliare (“affido”) e somministrandolo ogni giorno con la vigilanza di personale sanitario.

Questo articolo è scritto pensando al giornalista, al pubblico amministratore e al legislatore che vogliono capire di più sulla questione

LA DIMENSIONE DEL TRATTAMENTO

Secondo gli ultimi dati disponibili, risultano in Italia più di 86mila soggetti in cura per dipendenza da oppioidi (Relazione al Parlamento 2019, dati 2018, http://www.politicheantidroga.gov.it/it/dpa-in-sintesi/attivita-e-progetti/relazioni-annuali-al-parlamento/relazione-annuale-al-parlamento-sul-fenomeno-delle-tossicodipendenze-in-italia-anno-2019-dati-2018/ ), con più di 64mila trattati con metadone (European Monitoring Centre for Drugs and Drugs Addiction, Bollettino 2020, dati 2018, https://www.emcdda.europa.eu/data/stats2020/hsr), corrispondenti a circa il 74% del totale.

Le morti associate al consumo di metadone fuori prescrizione in libertà, riportate dai media e catalogate dal sito GeOverdose (progetto SITD gruppo di interesse “riduzione del danno”, http://www.geoverdose.it ), risultano 11 nel 2018 e 6 nel 2019.

Questo dato è pari a circa 0.2-0.3 eventi per milione di abitanti nella fascia di età ritenuta a rischio, 15-64 anni, e corrisponde per il 2018, di cui si hanno i dati completi, allo 0,017% del totale dei soggetti trattati con metadone.

Nell’anno in corso, 2020, GeOverdose ha contato 7 eventi in libertà (2 a Terni, 2 a Colico, 2 in Emilia Romagna e 1 in Campania), questo escludendo dal conteggio gli eventi avvenuti nel corso delle rivolte nelle carceri all’inizio del lockdown, che riconoscono una meccanica diversa.

I dati del Ministero dell’Interno (Direzione Centrale per i Servizi Antidroga, https://antidroga.interno.gov.it/temi/report/relazioni-annuali-dcsa/) riportano 16 eventi per il 2018 e 16 per il 2019, annoverando verosimilmente anche eventi non comparsi sui media ed eventi associati ad errori terapeutici. In base a questo dato, per il 2018 le morti da metadone corrispondono allo 0.025% dei soggetti in trattamento con questo farmaco.

L’utilizzo del metadone e dei farmaci ad azione simile è stato uno (certamente non il solo) tra i fattori che ha consentito una drastica riduzione del numero di morti per droga in Italia, che da un picco di 1566 decessi nel 1996 è gradualmente disceso a 268 nel 2016 per risalire a 373 nel 2019.

Decessi per overdose in Italia: 1987 - 2018

Per questo motivo, l’Italia è tra i paesi europei a contare meno morti per overdose, con un tasso standardizzato rispetto alla popolazione di meno di un terzo in confronto alla media europea (Geoverdose: rapporto 2019, https://blog.sitd.it/2020/03/01/geoverdose-rapporto-2019/). Meno overdose dell’Italia contano, in Europa, solo alcuni paesi balcanici, mentre UK, USA, Canada, Australia e Russia hanno una frequenza di overdose molto più elevata, e quindi è lecito dire che in atto l’Italia è il paese con minore mortalità acuta da droghe tra tutti i paesi occidentali e fra quelli industrializzati ed economicamente progrediti e ciò anche grazie al buon lavoro fatto dai servizi pubblici per le dipendenze patologiche e dal privato sociale che con essi collabora.

IL METADONE

Il metadone è un farmaco che agisce sui recettori oppioidi, che sono gli stessi su cui agisce l’eroina. È utilizzato sin dal 1965 nella terapia della dipendenza da eroina e altri oppioidi perché è in grado di stabilizzare il paziente riducendo e in molti casi interrompendo il comportamento di ricerca e consumo di eroina. Può essere utilizzato per lunghi periodi di tempo senza effetti indesiderati significativi. Per il suo assorbimento lento e protratto non induce l’intenso e transitorio effetto gratificante di sostanze come l’eroina.

La persona che risponde bene al trattamento con metadone ha un comportamento controllato e non avverte il desiderio di procurarsi e consumare eroina o simili, e ciò favorisce la sua riabilitazione ad una vita affettiva, familiare, relazionale e produttiva normale.

Dopo un discreto periodo in cui il paziente è stabilizzato, per favorire ulteriormente il ritorno ad una vita normale l’équipe dell’ambulatorio del servizio pubblico ne valuta l’affidabilità, informandolo delle modalità di uso corretto, dei rischi dell’uso improprio e della normativa in merito, e la terapia viene consegnata per uso domiciliare, mantenendo il rapporto con i curanti ad intervalli appropriati. Nel lessico condiviso tra professionisti e utenti dei servizi specialistici, la consegna della terapia domiciliare viene definita “affido” mentre la somministrazione sorvegliata in persona viene chiamata “a vista”.

A tal proposito, la normativa di riferimento stabilisce che il programma terapeutico per i pazienti dei servizi pubblici per le dipendenze “viene formulato nel rispetto della dignità della persona, tenendo conto in ogni caso delle esigenze di lavoro e di studio e delle condizioni di vita familiare e sociale dell’assuntore” (Art.122, D.P.R. 309/90). La consegna della terapia domiciliare è regolata dal Decreto del Ministero della Salute del 16 novembre 2017 (Gazzetta Ufficiale del 29 novembre 2017, http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2007/11/29/07A10067/sg) che consente la consegna della terapia domiciliare per un massimo di trenta giorni, con obbligo di firma congiunta da parte di medici e paziente di un piano terapeutico con dichiarazione di avvenuta informazione sulle caratteristiche del farmaco, sulle corrette modalità di terapia, e sulla normativa vigente.

Gli studi disponibili ad oggi indicano una sostanziale equivalenza, in merito agli esiti sul paziente, tra la terapia domiciliare e la terapia somministrata sotto sorveglianza (Saulle et al,. Supervised dosing with a long acting opioid medication in the management of opioid dependence. Cochrane Database of Systematic Reviews 2017, https://www.cochranelibrary.com/cdsr/doi/10.1002/14651858.CD011983.pub2/abstract ).

Inoltre, la disponibilità di terapia domiciliare incoraggia il desiderio di normalità delle persone affette da dipendenza da oppioidi, ostacolato dalle procedure più restrittive, con migliori tassi di ritenzione in trattamento, registrando anche una riduzione delle attività illecite.

LE INTOSSICAZIONI DA FARMACI E ALTRE SOSTANZE

Nonostante il recente, e periodico interesse mediatico, il metadone non è una significativa causa di intossicazioni da sostanze chimiche in generale, né da farmaci in particolare.

Gli ultimi dati ufficiali in merito, pubblicati nel 2019 riflettono l’attività dei centri antiveleni di Milano e Bergamo e sono relativi all’anno 2015 (ISTISAN. Sistema informativo nazionale per la sorveglianza delle esposizioni pericolose e delle intossicazioni: casi rilevati nel 2015. Decimo rapporto annuale. http://old.iss.it/publ/?lang=1&id=3211&tipo=5 ). I centri antiveleni citati raccolgono segnalazioni da tutta Italia e quindi forniscono un quadro qualitativamente attendibile. Quasi il 60% degli eventi non è dovuto a farmaci, e la causa maggiore sono i prodotti per la pulizia domestica (21%). Tra i farmaci i più coinvolti sono sedativi, ipnotici e antipsicotici (9.2%). Complessivamente gli oppioidi, classe a cui appartiene il metadone, influiscono per il 6.4% pari a 271 casi, e più della metà è dovuto al “blando” antidolorifico tramadolo prescrivibile senza particolari formalità da qualunque medico. Gli oppioidi vengono sopravanzati da altre classi di farmaci che sollevano meno allarme sociale, come il comune paracetamolo (es. Tachipirina), con 1279 casi, epatotossico e potenzialmente letale nel sovradosaggio; dai comuni tranquillanti minori come le benzodiazepine, es. lorazepam (es. Tavor) 680 casi, alprazolam (es. Xanax) 673 casi, delorazepam (es. En) 503 casi; da antinfiammatori come ibuprofene (531 casi), antipsicotici come quetiapina (451 casi), antidepressivi e antibiotici.

COMMENTO

Come chiaro dai numeri, i casi di intossicazione letale da metadone sono sporadici e notevolmente meno frequenti rispetto agli eventi provocati da altri farmaci e sostanze di comune uso domiciliare.

La restrizione delle possibilità di terapia domiciliare con metadone imposta a diverse decine di migliaia di persone, da una parte non avrebbe un effetto sensibile su un evento sporadico e quindi in tutta verosimiglianza non proporzionale al numero di prescrizioni, e dall’altra danneggerebbe in maniera significativa soprattutto coloro che beneficiano dell’aspetto riabilitativo dalla terapia farmacologica, agendo contro lo spirito della legge vigente e favorendo il ricorso a sostanze illegali. Rendere meno disponibile la terapia domiciliare ne innalzerebbe, inoltre, il valore economico sul mercato illegale, stimolando la propensione a rivenderne una parte, ed ottenendo l’effetto opposto a quello desiderato.

Ogni giorno, nell’attività degli ambulatori dei servizi pubblici per le dipendenze, i medici, in collaborazione con gli altri professionisti dell’équipe, decidono sui dati a loro disposizione di iniziare modificare o interrompere le terapie domiciliari con il metadone e gli altri farmaci analoghi.

Identificare un anticipo i soggetti non affidabili, a rischio di usare in maniera impropria il metadone e di rivenderlo a minorenni o altre persone non assuefatte e quindi a rischio di avvelenamento, è possibile e lo si fa tutto i giorni, ma non si tratta ovviamente di una scienza esatta, e c’è un margine di errore. Lo stesso margine di errore che affronta un magistrato nel decidere di concedere la semilibertà ad un carcerato basandosi sulle relazioni della Custodia e dei professionisti che ne valutano il comportamento: nella maggioranza dei casi va tutto bene, ma sporadicamente si sbaglia e la persona in semilibertà commette altri reati. Un rischio calcolato, controbilanciato dai benefici per la riabilitazione della persona che si riflettono sull’intera società.

È importante capire che tra i fattori che condizionano la decisione non vi è necessariamente la persistenza di un consumo di sostanze illecite: per quel che riguarda l’eroina, un esito positivo è già l’acquisizione di autocontrollo e il passaggio da un consumo compulsivo, obbligato, in circostanze pericolose per sé e per gli altri, ad un consumo controllabile, infrequente, con modalità non a rischio, che è nella più parte dei casi l’anticamera della sospensione duratura della sostanza.

Anche il consumo di altre sostanze psicoattive, specie quelle leggere come la cannabis naturale, ma anche gli psicostimolanti con modalità non compulsive, non pregiudica necessariamente la capacità di fare un uso corretto della terapia domiciliare con metadone e simili consegnata dall’ambulatorio.

Viceversa, nel giudizio sono importanti altri fattori come la qualità del rapporto tra paziente e curanti, la consapevolezza della patologia da dipendenza di cui si è affetti e del funzionamento del farmaco che viene consegnato e del rischio che costituisce per bambini o persone non dipendenti da eroina e quindi non abituate all’effetto; lo stile di vita e quindi la disponibilità di una fissa dimora dove tenere il farmaco, di una famiglia a supporto, di possibilità di sussistenza materiale; e il grado di lontananza dallo spaccio e da giri di criminalità.

In ogni caso, si tratta di una valutazione probabilistica, dove l’errore può essere minimizzato con l’esperienza, il metodo e la collaborazione in équipe, ma non azzerato.

Per cercare di ridurre al massimo i casi sporadici di avvelenamento da metadone (e farmaci simili) nei minorenni e nei soggetti non assuefatti, ritengo quindi che sia più proficuo agire sulla domanda e non sull’offerta. Se adolescenti e altri soggetti a rischio sono correttamente informati che metadone e farmaci simili (ma anche codeina degli sciroppi per la tosse, antidolorifici potenti e rischiosi etc etc) non danno luogo luogo uno sballo piacevole per un divertimento in compagnia, ma solo a sonnolenza e perdita dei sensi, con il rischio concreto di morire, saranno probabilmente meno tentati di provarli. Magari, visto che è difficile comprimere la spinta all’esplorazione ed alla trasgressione in questa fascia di età, si rivolgeranno ad altre sostanze illegali leggere, meno rischiose, e questo da un punto di vista concreto e non ideologico dovrebbe essere visto come un buon risultato, fermo restando che evitare il consumo di qualunque sostanza psicoattiva sarebbe l’ideale.

La sede più adatta sarebbe la scuola, a partire dalla secondaria, che dovrebbe incorporare nei propri programmi un intervento educativo rivolto al corretto uso dei farmaci, e in particolare tra questi le categorie più esposte a uso improprio e voluttuario o a spaccio, con una particolare attenzione a tutti gli antidolorifici oppioidi, e quindi oltre il metadone anche altri farmaci che possono provocare overdose, come ossicodone e fentanil, responsabili della epidemia da overdose negli USA, in Canada e in alcuni stati europei, e sedativi potenti come Xanax e altre benzodiazepine.

Potrebbero essere il Ministero della Salute e il Ministero dell’Istruzione a disporre in questo senso un aggiornamento dei programmi scolastici, che includesse il corretto uso dei farmaci, anche tramite specifici ausili audiovisivi e informatici a disposizione degli Insegnanti. Questo sarebbe a mio parere molto più utile e produttivo di punire chi si sta curando obbligandolo a frequentare tutti i giorni un ambulatorio, rinunciando al proprio tempo e rimanendo sempre attaccato all’identità di tossicodipendente.

5 pensieri riguardo “La terapia domiciliare con metadone (“affido”)

  1. Mariagrazia Fasoli ha detto:

    Per inciso non compete alle regioni ma allo stato legiferare sui farmaci. Non è grave che un consigliere regionale non sappia nulla di farmacologia e di salute pubblica (visto che, di solito, dietro ogni “trovata” di questo genere c’è qualche medico d’area a suggerire). E’ grave che non sappia niente delle competenze regionali.

  2. Sestio ha detto:

    Come sempre, si parla molto di sostanze e poco delle questioni personali, relazionali, sociali che giocano un ruolo importante nelle dipendenze. A mio avviso di queste si dovrebbe parlare a scuola, molto prima che dei farmaci.

    Diciamo che forse, di fronte a tragedie di questa portata, più che polemiche giuridiche sarebbe opportuno riflettere sulla la relazione fra utenti dei SerD e personale addetto. Relazione che dovrebbe avere caratteristiche che evidentemente in casi come quello di cui si tratta, non ha.

    Una piccola nota sul titolo dell’articolo: “terapia domiciliare”, che in questo caso mi sembra abbastanza forzato. Si parla di terapia a domicilio quando un operatore socio-sanitario si reca al domicilio altrui, cosa che non mi risulta succeda nel caso dei tossicodipendenti da parte degli operatori SerD.

    (E magari potrebbe utile come assistenza, sostegno e protezione nella fase di astinenza).

    D’altronde, la consegna dei pannoloni agli anziani non viene mai descritta come terapia domiciliare dell’incontinenza.

    Buonasera.

  3. Sestio ha detto:

    Poi vorrei aggiungere una nota di cordoglio, per i due ragazzini morti e per i loro familiari.

    Non mi è capitato di leggerne, cordoglio, fra operatori e utenti SerD e non vorrei che le sostanze anestetizzassero anche chi le somministra, oltre che chi le assume.

    Al di là delle polemiche e delle vicende giudiziarie che ne seguiranno, rimane il fatto che sono morti due minorenni.

    La giustizia farà il suo corso e verosimilmente qualche altro sprovveduto incosciente sarà chiamato a pagare il conto.

    Chi ha affidato la sostanza mortale si preoccuperà di scagionarsi e difendersi coi mezzi sostanziosi di cui può disporre.

    Alla fine pagano sempre i poveracci.

    Che spesso fanno di tutto per rimanere tali.

  4. Gentile Sestio,
    mi addolora la sua ultima considerazione, e sinceramente mi indispone. Lei parla dei sanitari del SerT come di cinici che pensano solo a difendersi (con mezzi sostanziosi, addirittura) e non hanno considerazione delle disgrazie altrui. Credo che non abbia idea degli investimenti di tempo personale, emozioni, e a volte pure soldi, che si riversano in questo mestiere.

    Se i soci SITD esprimono il loro parere e criticano gli scritti dell’amministrazione umbra, non è per una difesa individuale o corporativa o per difendere vantaggi di posizione o economici.

    Mi creda, sarebbe comodissimo non prendersi responsabilità, prescrivere tutte le terapie “a vista”, e ancora più comodo smettere di prescrivere farmaci efficaci e rifugiarsi negli studi privati dove i livelli essenziali di assistenza, gratuiti, diventano pagamenti in moneta.

    Sarebbe comodissimo prescrivere farmaci che non siano generici a basso costo a carico dell’erario, ma scatolette griffate a pagamento diretto, ottenendo così le occhiate benevole e l’amore sicuramente platonico dei produttori.

    Sarebbe comodissimo annuire ad ogni capriccio dell’amministrazione di turno, guadagnandosi meriti politici che si possono spendere su tanti mercati.

    E sarebbe comodissimo scegliere chi trattare e chi no, “lei non è pronto, ritorni fra due mesi”, “ritorni quando hai smesso da solo”, “mi spiace c’è una lista d’attesa, la contattiamo noi”.

    Purtroppo lei invece cerca il cordoglio espresso. Io quando perdo un paziente o so di una overdose, sto da schifo. Non faccio dichiarazioni perché il meglio che posso fare è agire. Penso che così facciano la maggioranza dei colleghi. E infatti stiamo agendo. Mi spiace che non siamo stati bravi a sufficienza da far sì che a lei sia chiaro.

    Se vorrà rileggere i nostri interventi senza preconcetti forse potrà riconoscerci l’onestà intellettuale, l’impegno personale, e finanche gli interventi non immediatamente farmacologici, che lei ritiene carenti da parte nostra.

  5. Sestio ha detto:

    Capisco la sua difesa personale e di categoria. Forse al posto suo anche io mi indisporrei.
    Ma non sono al suo posto, né al posto dei suoi colleghi. Sono al mio posto, dal quale tendo a immedesimarmi nei genitori dei ragazzi che abbiamo perso.
    Non entro nel merito delle questioni tecniche, farmacologiche e giuridiche, affido o “a vista” non mi riguarda.
    Non è mia responsabilità, né giuridica, né morale, né proferssionale e ritengo sia meglio che ciascuno mantenga le proprie, di responsabilità.
    La mia opinione di cittadino è che fatti del genere – relativi a decisioni umane – non dovrebbero verificarsi MAI.
    E ritengo ozioso e a mia volta indisponente che ci si appelli a statistiche più o meno accettabili.
    Io sì, mi attendo il cordoglio espresso.
    Non se l’abbia a male, ma nella mia educazione è forte il richiamo alla condivisione del dolore e del lutto.
    Penso che ciò abbia funzioni e significati ben diversi rispetto alle emozioni solipsistiche e di negazione.
    Ma capisco che lavorare in un certo ambito può facilmente comportare una certa china emotiva.

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