Gian Luigi Gessa sui vaccini

(Da “L’Unione Sarda”)

Scrivere questo articolo mi fa tornare indietro nel tempo quando militavo con Bernardo Loddo, il grande virologo, alla ricerca di un vaccino contro la poliomielite. Bernardo aveva costruito in laboratorio il primo virus al mondo, “tossicodipendente”, un virus che aveva bisogno di guanidina per moltiplicarsi. Decidemmo di utilizzare il virus “guanidinodipendente” per vaccinare delle scimmie (allora non era proibito e non esistevano gli animalisti). La rilettura di quel lavoro, pubblicato su Science, mi riempie di una struggente nostalgia: riporta i nomi dei nostri maestri: Ferrari, il mio, Brotzu, quello di Bernardo.

Allora quel lavoro aveva solo interesse scientifico poiché il vaccino di Sabin aveva sradicato la poliomielite dalla faccia della terra. Il virus della poliomielite assieme a quello del carbonchio sono oggi custoditi, come il sangue di un santo in un’ampolla, in un congelatore per futuri esperimenti scientifici o bellici. Allora, non c’era la fretta angosciosa per la scoperta di un vaccino contro il coronavirus. La vaccinazione tradizionale contro un virus consiste nell’inoculare nel soggetto da vaccinare, il virus morto, quello attenuato o le proteine del virus senza l’acido nucleico (RNA). Questi antigeni (le proteine del virus) suscitano nel sistema immunitario del vaccinando, una risposta anticorpale contro tutte le proteine del virus selvaggio. Questa strategia che ha una storia gloriosa contro i virus conosciuti e stabili, ma è costosa, lenta e imprevedibile nei risultati, è stata rivoluzionata dalle conoscenze attuali di biologia molecolare. Anziché inoculare tutte le proteine del virus preparate in laboratorio, si somministra quel segmento di RNA del virus che codifica selettivamente la proteina che il virus utilizza, come chiave di ingresso, per penetrare nella cellula ospite. La proteina prodotta dall’ RNA virale, non è tossica per la cellula ma, rilasciata nel sangue, suscita da parte del sistema immunitario la produzione di anticorpi contro di essa. Questi anticorpi riconosceranno la stessa proteina presente nel virus maligno e la inattiveranno, togliendo al virus la chiave per entrare nella cellula e distruggerla. Il virus, senza dimora, sarà divorato dai macrociti e il paziente sarà vaccinato con il vaccino che egli stesso ha costruito. Se questa strategia avrà successo sarà la guida per costruire nel futuro vaccini “a la carte”, per quei virus, come l’influenza, che cambiano vestito (le proteine capsidiche) ad ogni stagione e quei virus terribili che irrompono come uno tsunami in una comunità non vaccinata. Il vaccino servirà anche per quei virus che continueranno a circolare dopo l’epidemia. Infine, la strategia potrà essere una guida per costruire altri vaccini.
Con buona pace dei movimenti No Vax, è iniziata, in Cina, negli Stati Uniti e in Europa, la gara a chi arriverà prima di un anno alla scoperta del vaccino contro il coronavirus. I cinesi ne hanno per primi decodificato la sequenza genetica e l’hanno condivisa con altri scienziati nel mondo. Diverse industrie e università americane, sovvenzionate dal governo con milioni di dollari, sono impegnate in questa impresa. Ci sono segnali che il traguardo non sia lontano: le grandi industrie che lavorano con i soldi dello Stato americano, chiedono di essere protette da cause civili di risarcimento per eventuali incidenti nella sperimentazione, inoltre chiedono l’esclusiva ed un prezzo adeguato del vaccino prodotto, per il bene dell’umanità.

Come in guerra, nella corsa per il vaccino, i ricercatori disattendono il principio etico di non sperimentare sull’uomo prima di averlo fatto sugli animali. I difensori dell’etica hanno ottenuto un compromesso: la sperimentazione sarà fatta in parallelo su topi transgenici e uomini volontari. La volontaria Jennifer Haller è comparsa su tutti i giornali, proclamando: “testo il vaccino per il bene di tutti”.
Nella storia dei vaccini ai volontari umani, i carcerati, si prometteva la libertà se fossero sopravvissuti all’esperimento. Nel maggio del 1796 Jenner iniettò il materiale purulento del “vaiolo della vacca” ad un bambino di otto anni che rimase immune al vaiolo umano per la vaccinazione sperimentata.

A Cagliari, Giuseppe Brotzu, non esitò a somministrare la sua muffa contenente la cefalosporina ad un bambino malato di tifo, che altrimenti sarebbe morto.
Robert Gallo è scettico sulla ricerca del vaccino RNA, “il mio punto di vista è che bisogna parlare di vaccino e fare previsioni su quanto potrà essere utilizzato su larga scala solo una volta che se n’è dimostrata l’efficacia almeno sulle scimmie. Le ipotesi si potranno fare quando si avrà un candidato che si dimostra promettente. Il resto sono solo parole perché abbiamo molti esempi di vaccini che passando ai test sull’uomo, hanno fallito”.
Poiché anche i Nobel possono fallire mi auguro che anche il fallito Premio Nobel Robert Gallo possa avere torto!

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