Tossicologia forense nell’overdose

Nei casi di morte per sospetta overdose da sostanze stupefacenti ciò che al Pubblico Ministero interessa accertare, e che pone come quesiti, è rappresentato sostanzialmente da “ … epoca, causa e mezzi del decesso … se la morte sia riconducibile a cause di natura tossica, individuando la sostanza … quant’altro utile ai fini di giustizia” .

Dell’epoca della morte se ne occupa in maniera specifica il medico legale sulla base dei dati tanatologici rilevati sul cadavere.

Tutto il resto è un problema del tossicologo forense.

Infatti, nel caso di morte per overdose la causa è rappresentata dalla sostanza stupefacente che – ovviamente – deve essere stata assunta in dose sufficiente a risultare letale. Il mezzo è rappresentato, invece, dalla via di somministrazione.

Questo costituisce, in buona sostanza, la c.d. “diagnosi medico-legale di avvelenamento”. Questo accertamento è richiesto non soltanto nei casi ad esito letale, ma in generale in tutte le occorrenze di intossicazione acuta anche non letale. Il comune denominatore è  rappresentato dalla sussistenza di risvolti giuridici.

In questa sede parleremo in maniera specifica della diagnosi medico-legale di avvelenamento relativa ai casi di sospetta overdose da stupefacenti. Vi è subito da dire che in questo ambito gli approcci sono molto diversi a seconda del laboratorio.

Presso il laboratorio di tossicologia forense di Catania le analisi vengono condotte su visceri e liquidi biologici che vengono campionati in corso di autopsia. Più dettagliatamente, vengono prelevati:

  • sangue: circa 20 ml prelevati dalla vena femorale, nonché un’aliquota di 10 ml in flacone contenente NaF per la determinazione dell’alcolemia;
  • urine: circa 20 ml;
  • bile: circa 10 ml;
  • umor vitreo;
  • contenuto gastrico;
  • encefalo, polmoni, fegato e reni: circa 20 grammi;
  • capelli: solo i 3-4 cm prossimali prelevati dalla zona nucale (circa 200 mg) o in assenza di questi peli pubici.

Per quanto riguarda le indagini chimico-tossicologiche, viene eseguito uno specifico protocollo che   prevede un’analisi preliminare qualitativa (immunochimica) su campione di urine finalizzata alla ricerca delle sostanze stupefacenti unitamente ad una ricerca tossicologica su campioni di sangue, urine e contenuto gastrico volta ad individuare l’eventuale presenza di sostanze stupefacenti o psicotrope, nonché di sostanze organiche azotate a carattere alcaloideo di interesse tossicologico. In questa fase vengono ricercate, oltre alle sostanze già indicate, le benzodiazepine e altre sostanze organiche alogenate, gli oppioidi, la cocaina e la benzoilecgonina, l’alcol etilico e i solventi organici volatili, gli antipsicotici e gli antidepressivi.

Nei casi di overdose è ovviamente risolutiva la determinazione quantitativa della sostanza stupefacente identificata in tutti i liquidi biologici (sangue, umor vitreo, urine, bile, contenuto gastrico), nei principali organi (encefalo, polmoni, fegato, reni) e nelle matrici pilifere (preferibilmente capelli). Vi è da dire che le analisi di tutti i visceri e liquidi biologici, nonché dei capelli consente di avere un quadro molto più chiaro della situazione.

In ambito medico-legale infatti, non è sufficiente individuare una causa della morte, ma si rende indispensabile individuare la causa. Ritrovare una sostanza stupefacente non significa necessariamente che il soggetto sia morto per overdose, perché “la causa” può anche essere diversa, e il riscontro di quella sostanza stupefacente essere solo un reperto occasionale del tutto ininfluente per ciò che attiene la causa mortis.

Nei casi di overdose è necessario accertare che la sostanza stupefacente sia stata assunta poco prima della morte tanto da poter essere posto in stretto nesso di causalità con l’evento letale. Deve essere inoltre verificato se quella concentrazione, in quel determinato soggetto era idonea a determinarne il decesso. Si tratta in altri termini di appurare se ci si trova di fronte ad un caso di overdose assoluta o relativa. In ambito medico-legale la definizione di overdose assoluta indica l’assunzione di una quantità di stupefacente, da parte di un soggetto tossicodipendente, superiore in senso assoluto a qualsiasi grado di tolleranza raggiunto. Con la definizione di overdose relativa si indica, invece, l’assunzione di una quantità di stupefacente da parte di un soggetto tossicodipendente, superiore al suo grado di tolleranza; questa evenienza può verificarsi nel consumatore occasionale o saltuario, non propriamente tossicodipendente e con scarso grado di tolleranza; ovvero può accadere al soggetto tossicodipendente, parzialmente o totalmente disintossicato, il cui grado di tolleranza è diminuito o scomparso. Per poter discriminare quindi se quel soggetto aveva perso la tolleranza allo stupefacente serve valutare non solo le concentrazioni presenti nelle sedi c.d. accumulo quali ad esempio bile, reni, fegato o urine, ma è anche indispensabile verificare la presenza dello stupefacente e la sua concentrazione nelle matrici pilifere. I soggetti che per un periodo di tempo hanno seguito terapie di divezzamento risulteranno negativi all’esame delle matrici pilifere o comunque si troveranno solo tracce di stupefacenti, del tutto insignificanti. Per la stessa ragione in questi soggetti le concentrazioni di stupefacente nelle sedi di accumulo saranno basse.

Accertato quindi, se si è trattato di overdose assoluta o overdose relativa sarà importante verificare se il decesso è riconducibile alla sola sostanza stupefacente ovvero ancora a fenomeni di interazione tra più sostanze. È ampiamente nota – e non si sta qui ad approfondire – la consuetudine dei tossicodipendenti alla poliassunzione.

Altro dato di particolare interesse è la questione relativa a come è stata assunta la sostanza – i cosiddetti mezzi. È possibile raccogliere dati indicativi di assunzione avvenuta per via orale, per via endonasale o per via endovenosa già al tavolo settorio. Il riscontro di segni di agopuntura recenti alla piega del gomito sono già suggestivi di una somministrazione per via endovenosa. Sempre durante l’autopsia si procederà anche ad effettuare dei tamponi endonasali per verificare se il soggetto ha assunto per tale via. Nelle assunzioni per via orale, le concentrazioni presenti nel contenuto gastrico saranno ovviamente sempre molto elevate.

Altro punto da accertare è l’intervallo intercorso tra l’assunzione e il decesso. Questo dato può assumere particolare importanza nei casi in cui il soggetto non era da solo al momento dell’evento letale ed è quindi importante capire se un intervento tempestivo da parte di chi era presente avrebbe potuto scongiurare la morte. Come ampliamente noto le morti fulminanti, istantanee, che si verificano immediatamente dopo l’assunzione, sono evenienze estremamente rare. Il ritrovamento di un soggetto con la siringa ancora in vena e un laccio stretto attorno al braccio non deve mai portare a conclusioni affrettate. E’ invece molto più probabile che subito dopo l’assunzione il soggetto sia entrato in coma per poi morire – se non soccorso tempestivamente – anche dopo qualche ora. Questo è ciò che viene riscontrato nella quasi totalità  dei casi. E questo si può osservare già macroscopicamente in corso di autopsia. Il reperto più frequente è infatti la congestione poliviscerale che indica un periodo agonico abbastanza lungo dovuto ad una grave insufficienza  cardiaca congestizia e respiratoria – evolute in coma e morte.

A seconda del tipo di sostanza si procede anche alla valutazione del rapporto di concentrazione tra sangue e visceri, ovvero ancora tra sostanza e suo metabolita/i. Anche da questi è possibile trarre ulteriori valutazioni circa l’abitualità dell’uso o il tempo intercorso tra l’assunzione e la morte.

Altre analisi che vengono effettuate, infine, sono quelle su ciò che viene ritrovato accanto al cadavere o in generale nel corso del sopralluogo dove è avvenuto il fatto. Verranno quindi sottoposti ad analisi siringhe, oggetti utilizzati per solubilizzare la droga, filtrini, involucri che la hanno contenuta, etc.

Vediamo, per concludere, qual è l’interesse giuridico che riveste l’overdose da sostanze stupefacenti. In base a quanto previsto dal nostro ordinamento, le morti direttamente riconducibili ad intossicazione acuta da sostanze stupefacenti rientrano nella fattispecie di reato prevista dal combinato disposto degli artt.586 Codice Penale e 73 D.P.R. 309/90. Nel caso di morte per “overdose”, infatti, l’assunzione della sostanza stupefacente gioca un ruolo causale di necessità nel determinismo del decesso, e il reato configurabile è pertanto quello di cui all’art.586 c.p. – e cioè “morte o lesioni come conseguenza di altro delitto” – in quanto la sostanza che ha direttamente causato la morte è stata necessariamente ceduta alla vittima da “terzi”, anche se spesso ignoti; la cessione, a sua volta, rappresenta l’elemento costitutivo dell’altro delitto ai sensi dell’art.73 del citato T.U. e cioè  “Produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti”. Da notare che tale disposto di legge contempla la punibilità anche nel caso di lesioni e non solo di morte. Nel caso specifico è configurabile come lesione personale, ad esempio, un eventuale stato di coma, anche se di breve durata e a remissione spontanea o in seguito a terapia.

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