Eroina ed immigrazione. Seconda parte: il reclutamento.

Reclutamento

IL RECLUTAMENTO

I primi eroinomani immigrati (o extracomunitari, come usava chiamarli allora) li ho visti dopo pochi mesi dall’inizio del lavoro in carcere, nel 1991 credo, ma i miei colleghi mi riferirono che ne erano capitati altri in passato. All’inizio si trattava di presenze episodiche, ma velocemente hanno iniziato ad aumentare. Per questi detenuti il motivo dell’arresto era sempre uno soltanto, ovvero spaccio ed in particolare spaccio di eroina. A queste presenze in carcere corrispondevano le prime notizie sulla stampa locale, che segnalavano l’arresto di uno ‘spacciatore tunisino’.

piazza verdi

A Bologna, fino a tutti gli anni Ottanta lo spaccio di eroina in strada era sempre stato effettuato dai ‘cavalli’, ovvero da eroinomani che si prestavano a distribuire le dosi in cambio di quella per loro. Oppure da quelli che mantenevano la propria dipendenza comperando qualche grammo di eroina e rivendendone una parte in piazza (se prima non se la facevano tutta). Piccoli spacciatori di strada, italiani ed eroinomani essi stessi. I cavalli avevano un modo molto particolare ed efficace di lavorare, che minimizzava il rischio: non restavano fermi in un posto ad aspettare i clienti, ma erano i clienti che aspettavano loro. Erano le scene che vedevo da universitario, tipicamente in Piazza Verdi (piazza di spaccio ormai da oltre quarant’anni), quando uscivo da mensa. Gli eroinomani iniziavano a radunarsi, tipicamente attorno agli obelischi di Pomodoro, al Piccolo Bar oppure al Caffè del Teatro. Prima ne arrivava uno poi due, poi il gruppo man mano cresceva. Restavano lì, aspettavano, cercando di passare inosservati. Magari leggevano un fumetto o si fingevano clienti di un bar oppure giocavano ai primi video game: una generazione intera di tossici ha giocato a Space Invaders aspettando il pusher. Potevano passare anche delle ore, ma ad un certo punto arrivava uno fra i tanti (spesso in bici o in motorino), si faceva vedere ed andava subito via. Ed il gruppo si dissolveva. La piazza di colpo quasi si svuotava. La distribuzione avveniva in modo quasi invisibile, per chi non sapeva cogliere i dettagli. Le dosi venivano confezionate in ‘buste’, ottenute da quadratini di carta  sapientemente ripiegati, piatti e poco ingombranti. Delle sorta di origami che si poteva occultare nel portafogli. Questo, a grandi linee, era il modello di spaccio di eroina in strada a Bologna negli anni Ottanta, senza però dimenticare che lo spaccio di strada ha sempre rappresentato solo una minima parte del mercato dell’eroina e che la stragrande maggioranza degli eroinomani acquista le sue dosi in posti ben più sicuri. Come per la prostituzione, lo spaccio di strada è lo spaccio degli ultimi, siano essi pusher oppure clienti.

Migranti lungo la ferrovia

Agli inizi degli anni Novanta non era tanto diverso: la distribuzione in strada era tutta in mano ai cavalli ed agli eroinomani piccoli spacciatori e le prime notizie sul giornale dell’arresto di un tunisino per spaccio suonavano alquanto insolite. Erano gli stessi arrestati che iniziavo a vedere in carcere. Confesso che l’impatto non è stato dei migliori: il classico caso in cui le apparenze portano istintivamente a ritirarsi ed a non guardare oltre. I primi che ci sono arrivati erano soprattutto dei disperati, quasi sempre vestiti con tute da ginnastica e sneaker, quasi sempre logore e di tipo assai economico e senza altro bagaglio. Spesso vivevano in casolari abbandonati, che scoprivano seguendo la linea ferroviaria (le stazioni e le linee ferroviarie sono il primo punto di riferimento dei migranti in difficoltà), senza corrente elettrica e senza acqua corrente. Non cambiarsi e non lavarsi per settimane, indossando un abbigliamento economico e sintetico, ha una conseguenza inevitabile, specie in estate e questo portava istintivamente a ritirarsi. Pian piano si sono iniziate a profilare anche le caratteristiche comuni:

  1. tutti maschi
  2. età media 30 anni circa
  3. nazionalità incerta
  4. generalità false
  5. provenienti in massima parte dall’area del Maghreb

 

La maggior parte degli “spacciatori tunisini” segnalati nelle notizie di stampa corrispondevano ad un profilo di questo tipo. C’era una cosa che però la stampa non riportava e che invece i medici del carcere vedevano subito: gli spacciatori tunisini, dopo l’ingresso in carcere, sviluppavano tutti una sindrome da astinenza, in qualche caso molto grave. Quindi erano sì spacciatori, ma anche tossicodipendenti. Questo i giornali non l’hanno mai scritto e non è neanche mai stata consapevolezza nell’opinione pubblica. Gli spacciatori tunisini non erano poi tanto diversi dai cavalli italiani. C’era una sola differenza: i cavalli italiani iniziavano prima ad usare eroina e poi prendevano a spacciare, negli altri il percorso era opposto, prima spacciavano poi si intossicavano. Invertendo l’ordine dei fattori, però, il prodotto non cambiava. Il risultato finale era sempre ed in ogni caso un tossicodipendente piccolo spacciatore. C’era un’altra differenza importante, una novità assoluta per il nostro Paese. Queste persone sviluppavano un’astinenza, ma nessuna di loro aveva le braccia massacrate dagli aghi e nemmeno le ‘piste’, i segni cronici di centinaia di iniezioni endovenose. La maggior parte di questi eroinomani non usava la siringa per assumere eroina, ma la fumava con il metodo della stagnola. Un metdo noto all’estero come chasing the dragon. Una pratica finora mai osservata: gli eroinomani italiani, fino a quel momento, erano tutti iniettori o al limite ‘sniffavano’, soprattutto in fase iniziale. Prima o poi però bucavano.

Scena di spaccio

Confesso che impiegherò anni a comprendere quanto era accaduto. Era il primo effetto collaterale della legge 309 e di questo non c’è da stupirsi: tutte le norme possono avere effetti secondari e non previsti, così come avviene per tutte le terapie ed i trattamenti. La facilità con cui veniva attribuito il reato di spaccio (a fronte di quanto previsto dalla precedente legge 685, che lasciava ampi margini di interpretazione), la severità delle pene, la nuova pressione della polizia (che poteva arrestare molto più facilmente grazie ad una dose giornaliera molto bassa), stavano provocando il progressivo ritiro degli eroinomani italiani dallo spaccio di eroina in strada, a favore di forme più discrete e sicure, in giri ristretti. L’istituzione dei SerT e la diffusione dei trattamenti con metadone, poi, rendevano meno urgente e pressante l’esigenza di procurarsi l’eroina per la giornata e quindi una parte di cavalli non aveva più bisogno di spacciare. Per continuare questa forma di distribuzione, occorreva gente che non aveva nulla da perdere. Disposta a fare un lavoro divenuto ancora più sporco e rischioso. Per lo spaccio di eroina stava avvenendo la stessa cosa che per altri lavori sporchi, come la prostituzione da strada. E lo spaccio di eroina era il più sporco di tutti, occorreva gente veramente disperata e disposta a tutto. Che non aveva più nulla da perdere. Roba da immigrati. In questo modo, probabilmente, è avvenuto il cambio della guardia fra italiani ed immigrati nello spaccio al dettaglio dell’eroina in strada. La richiesta continuava a continuerà sempre: è una sorta di nicchia ecologica. Una nicchia rimasta vuota e disponibile. Tutto ciò, inizierò a comprenderlo molti anni più tardi ma non ancora capito chi assoldasse e rifornisse queste persone. Cercando di andare oltre le apparenze, iniziavo però già a chiedermi chi fossero.

Questo è stato l’inizio. Il reclutamento.

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