Disastri naturali e dedizioni patologiche: cosa occorre sapere?

Il 16 maggio 1976 nella piccola tendopoli di S. Rocco di F., provincia di Udine, frazione di un bellissimo paese poi decorato di medaglia d’oro al valor civile per l’esemplare reazione al terremoto di 10 giorni prima, mancavano ancora parecchie cose. Non la grappa e il salame. Provvedevano spontaneamente ai rifornimenti (tra l’educato sconcerto dei Bersaglieri della Divisione Ariete, in maggioranza provenienti dalle regioni meridionali, ma non delle crocerossine bresciane che si erano a loro volta trovate in roulotte due bottiglie di Barolo tra i generi di prima necessità) le varie équipes di artigiani specializzati che, tra una scossa e l’altra, sfidando il rischio di frane, si alternavano su quei monti a sinistra del Tagliamento per scavare latrine, puntellare massi, collegare generatori elettrici, piantare roulottes. L’inclusione delle bevande alcoliche tra i generi di conforto “indispensabili” nelle situazioni di estremo pericolo ha una lunga storia che va dalla (forse mitica) botticella di acquavite in dotazione ai cani San Bernardo alla distribuzione generalizzata di distillati su tutti fronti della prima guerra mondiale.  Ma cosa sappiamo veramente del rapporto, a breve e a lungo termine, tra eventi catastrofici e consumo di alcol, droghe e altre sostanze psicotrope? Le ricerche di buona qualità in materia sono piuttosto difficili per motivi facilmente intuibili, primo fra tutti la giustificata idea delle persone coinvolte di aver cose più importanti a cui pensare. Se però l’esposizione a questi terribili eventi comportasse il rischio di sviluppare o riattivare dedizioni patologiche condizionanti negativamente il resto della vita, forse, l’attenzione specifica anche a questi aspetti sarebbe giustificata per migliorare sia la prevenzione sia il trattamento. Dai risultati di una prima ricerca su Scholar Google e Pub Med emergono differenze tra reazioni a disastri voluti dall’uomo (terrorismo, guerre) e disastri naturali. Limitandoci a queste ultimi ci siamo chiesti se esistessero evidenze utili a rispondere a queste tre domande: c’è una relazione tra coinvolgimento in catastrofi naturali e consumo di sostanze psicotrope? Qual è l’effetto sullo sviluppo o l’evoluzione di dedizioni patologiche? Qualora ci sia un effetto negativo, quali sono i fattori protettivi che potrebbero essere sviluppati per ridurre il danno? Per rispondere alla prima domanda, rispetto al consumo di alcol, Keyes et al. 1 hanno condotto una revisione sistematica di quanto pubblicato fino al 2010 concludendo che i dati disponibili (peraltro contraddittori) suggeriscono, anche in individui senza storia di abuso, un aumento del consumo di alcol a breve termine. Non sarebbero però dimostrate conseguenze a lungo termine se non in ex alcolisti che presenterebbero un aumento del rischio di recidiva. Questi risultati sono però contraddetti da singoli studi come quello condotto da Shimizu et al. 2  sul terremoto di Hanshin (Giappone) del 1994 che rilevò una riduzione (e non un aumento) del consumo di alcol immediatamente dopo il sisma che persisteva due anni dopo. Ci si è chiesti, a questo proposito, se fosse possibile separare l’effetto del coinvolgimento nel disastro in sè da quello delle conseguenze personali a medio termine (perdita della casa, del lavoro, ecc). Due studi norvegesi 34 condotti su concittadini sopravvissuti al grande tsunami asiatico del 2004, e subito rimpatriati, dimostrano una maggior frequenza nel cambiamento auto-percepito del consumo di alcol tra le persone più gravemente esposte con una polarizzazione nei due sensi (aumento e diminuzione dell’assunzione). A 6 e a 24 mesi dal disastro l’aumento del consumo non era correlato né alla gravità dell’esposizione, né alla presenza di disturbo post traumatico da stress o al livello di funzionamento psicologico. La riduzione era invece associata solo all’età più giovane e al ritiro sociale. Dato che nei paesi scandinavi gli alcolici vengono consumati soprattutto in situazioni sociali, gli autori ipotizzano l’influenza di fattori culturali e ambientali per spiegare questi risultati. A complicare l’interpretazione dei dati sono i risultati di uno studio giapponese  5 condotto su 56543 evacuati dopo il terremoto di Fukushima del 2011 (che causò più di 16.000 vittime). Gli autori dividono i partecipanti in bevitori e non bevitori pre-terremoto e rilevano una incidenza di disturbi mentali dopo il terremoto significativamente maggiore negli “astemi in partenza” di entrambi i sessi. Tuttavia, tra costoro, i disturbi più gravi riguardano chi inizia a bere dopo il terremoto. Specularmente tra i bevitori pre-terremoto il maggior rischio di gravi disturbi mentali riguardava chi aveva smesso di bere dopo il sisma. La conclusione degli autori è che non l’entità del consumo di alcol ma il cambiamento delle abitudini potatorie dopo un disastro dovrebbe essere considerato un possibile indicatore di rischio per la salute mentale. Per quanto riguarda i (pochi) studi che considerano anche il consumo di droghe il più interessante riguarda una coorte, seguita per 35 anni, di 1265 nati nel 1977, 952 dei quali esposti ai quattro catastrofici terremoti verificatisi in Nuova Zelanda tra il 2010 e il 2011 6 Rispetto ai non esposti le persone di entrambi i sessi coinvolte nei sismi dimostravano un modesto aumento (stimato tra il 10,8 e il 13,3%) dell’incidenza di disturbi mentali ma non di disturbi da assunzione di sostanze, se si eccettua un lieve aumento del consumo di nicotina. Per quanto riguarda l’Italia vari studi sono stati condotti dopo il terremoto dell’Aquila, sebbene spesso senza gruppo di controllo. Rossi et al 7  registrarono un aumento del 37% delle prescrizioni di antidepressivi e del 129% di quelle di antipsicotici nei 6 mesi successivi al sisma. Dell’Osso et al.  8 rilevarono nei sopravvissuti una associazione diretta tra uso di alcol, droghe o farmaci “calmanti” da banco solo con la diagnosi di disturbo post traumatico da stress e esposizione diretta al trauma. In un altro studio 9 degli stessi autori questa associazione risultò attribuibile principalmente ai maschi. A questo proposito un interessante studio giapponese 10 condotto su un preesistente “panel” (cioè un gruppo di persone che accettano di essere periodicamente intervistate) dimostrò solo nei maschi esposti al terremoto del 2011 un aumento della propensione al rischio direttamente correlata all’intensità dell’esposizione e un concomitate aumento, negli stessi soggetti, del gioco d’azzardo e del consumo di alcol. Per quanto riguarda gli effetti delle catastrofi naturali sull’andamento delle dedizioni già diagnosticate, i dati sembrano ancora più ridotti. Studi qualitativi sono stati svolti nella città di Bam (Iran) dopo il disastroso terremoto del 2003 che costò la vita a 35000 persone in un’area dove è molto diffusa la dedizione all’oppio 11 12 . Gli oppiomani intervistati nelle prime due settimane dopo il sisma presentarono sindrome d’astinenza in circa la metà dei casi e quasi tutti ottennero oppio gratuitamente da abitati di altri distretti. Circa la metà si rivolsero a strutture sanitarie per prescrizioni di narcotici, ottenute però solo in un quarto dei casi. Dopo il disastro la disponibilità e la qualità delle droghe d’abuso diminuì. I partecipanti citarono tra i mezzi per procurarsi droghe lo spaccio o attività correlate, le estorsioni, la prostituzione.  Tra le categorie più coinvolte nel problema vennero citati gli anziani, gli immigrati, gli atleti, gli studenti e le persone con lesioni spinali.  Tutto ciò considerato, un possibile effetto negativo sull’andamento delle dedizioni patologiche dopo una catastrofe, pur non dimostrato per carenza di dati, non può nemmeno essere escluso. Ma quali potrebbero essere allora i fattori protettivi e gli interventi utili per prevenire o trattare un eventuale danno potenzialmente correlato all’insorgenza o all’aggravamento anche di disturbi da uso di sostanze? Strata et al. 13 , in uno studio con gruppo di controllo condotto su adolescenti, rileva, a due anni dal terremoto dell’Aquila, punteggi più alti ad un questionario specifico per la misura della resilienza tra i maschi esposti rispetto ai non esposti ed un effetto contrario tra le femmine. Anche un questionario per la valutazione delle capacità di fronteggiamento (coping) dimostrava un aumento dei punteggi tra i maschi esposti rispetto ai non esposti, non rilevabile nelle femmine (che mantenevano tuttavia sempre punteggi più elevati dei maschi) per le strategie focalizzate sulla soluzione dei problemi ma non per quelle centrate sulle emozioni. Il coping orientato all’obbiettivo sembrava quindi positivamente correlato alla resilienza.  In una revisione non sistematica della letteratura Iacoviello et al. 14 individuano l’ottimismo, la flessibilità cognitiva, le strategie di reazione attive, la capacità di inserirsi in una rete di supporto sociale, l’attività fisica, l’identificazione di propri principi guida morali che diano senso agli eventi, l’altruismo come fattori psico-sociali correlati alla resilienza e propongono quindi, oltre ai noti interventi psicoterapeutici basati sull’esposizione prolungata e sulla ristrutturazione cognitiva, l’attuazione di programmi multidisciplinari che considerino tutti questi aspetti. Una revisione sistematica delle pubblicazioni riguardanti l’efficacia della terapia cognitivo comportamentale per le vittime di disastri affette da PTSD è invece stata condotta nel 2014 da Lopes et al. 15 . Su 820 studi pubblicati sull’argomento solo 11 (per un totale di 742 soggetti) presentavano però i criteri richiesti per l’inclusione. Gli autori quindi osservano che i dati disponibili depongono per l’efficacia di tali interventi dopo un terremoto, anche se l’esiguità dei numeri e l’eterogeneità degli interventi non consentono una meta-analisi e richiedono quindi l’esecuzione di ulteriori ricerche per giungere a conclusioni definitive.  Un’interessante area di ricerca sta inoltre riguardando la possibilità di sviluppare la cosiddetta “resilienza di comunità”.  Teoria e applicazione pratica di questo concetto sono state illustrate da Norris et al. 16 nel 2008. Secondo questa visione la reazione positiva ad eventi catastrofici è strettamente legata al contesto sociale ed è favorita da fattori come i livelli di sviluppo economico, capitale sociale, informazione e comunicazione, competenza collettiva. Queste caratteristiche possono essere rinforzate, sia prima che dopo l’evento catastrofico, attraverso interventi per ridurre le iniquità, per impegnare direttamente la popolazione locale nei programmi attivati, per creare legami organizzativi, per promuovere e/o proteggere le agenzie di supporto sociale e per “pianificare la situazione di non avere un piano”, preparandosi a fronteggiare l’incertezza. Un esempio positivo di queste modalità “in azione” sarebbe stato offerto dalle comunità montane abruzzesi dopo il terremoto del 2009 17 .

In conclusione, pur in assenza risultati univoci, la letteratura scientifica può fornirci alcune indicazioni che di seguito riassumiamo.

  • L’esposizione a catastrofi naturali dovrebbe suggerire ai medici e agli infermieri una maggior attenzione nel rilevare i dati anamnestici sull’uso di sostanze e su altri comportamenti dedittivi, in particolare per i soggetti di sesso maschile e per quelli di entrambi i sessi che abbiamo cambiato il loro stile di consumo in un senso o nell’altro in quanto ogni variazione potrebbe essere associata ad aumentato rischio di disturbi mentali.
  • Anche in caso di disastri naturali, le persone già dedite a sostanze stupefacenti o psicotrope dovrebbero poter accedere a servizi sanitari specifici e ciò sia per motivi di salute personale sia per prevenire conseguenze sociali negative per l’intera comunità colpita.
  • Poiché un possibile effetto negativo sull’andamento delle dedizioni patologiche dopo una catastrofe, pur non dimostrato per carenza di dati, non può nemmeno essere escluso, i servizi specialistici per le dedizioni e gli stessi interessati dovrebbero prevedere dei sistemi per monitorare l’andamento del problema (per esempio la registrazione giornaliera dei consumi o delle spese) e mettere in atto con particolare impegno gli interventi consigliati per far fronte allo stress acuto e cronico.
  • La resilienza individuale ad eventi catastrofici, come pure la propensione ad adottare comportamenti rischiosi, può essere influenzata da una serie di fattori sociali ma anche da alcune strategie di coping che possono essere apprese con l’aiuto di professionisti.
  • La resilienza di comunità può rappresentare, anche per i singoli, la miglior risposta a disastri collettivi ed è possibile favorirne lo sviluppo con specifici interventi sia prima che dopo l’evento.

 

Bibliografia citata

  1. Keyes, Katherine M. et al. “Stressful life experiences, alcohol consumption, and alcohol use disorders: the epidemiologic evidence for four main types of stressors.” Psychopharmacology 218.1 (2011): 1-17.
  2. Shimizu, Shinji, et al. “Natural disasters and alcohol consumption in a cultural context: the Great Hanshin Earthquake in Japan.” Addiction 95.4 (2000): 529-536.
  3. Nordløkken Astri, et al. “Changes in alcohol consumption after a natural disaster: a study of Norwegian survivors after the 2004 Southeast Asia tsunami.” BMC public health 13.1 (2013): 1.
  4. Nordløkken Astri, et al. “Alcohol consumption in the aftermath of a natural disaster: a longitudinal study.” Public health 132 (2016): 33-39.
  5. Ueda Yuka, et al. “Drinking Behavior and Mental Illness Among Evacuees in Fukushima Following the Great East Japan Earthquake: The Fukushima Health Management Survey.” Alcoholism: Clinical and Experimental Research 40.3 (2016): 623-630.
  6. Fergusson David M., et al. “Impact of a major disaster on the mental health of a well-studied cohort.” JAMA psychiatry 71.9 (2014): 1025-1031.
  7. Rossi Alessandro, et al. “A quantitative analysis of antidepressant and antipsychotic prescriptions following an earthquake in Italy.” Journal of traumatic stress 24.1 (2011): 129-132.
  8. Dell’Osso Liliana, et al “Post traumatic stress spectrum and maladaptive behaviours (drug abuse included) after catastrophic events: l’Aquila 2009 earthquake as case study” Heroin Addict and Relat Clin Probl 2012: 14 (4), 95-104.
  9. Dell’Osso Liliana, et al. “Gender differences in the relationship between maladaptive behaviors and post-traumatic stress disorder. A study on 900 L’Aquila 2009 earthquake survivors.” Frontiers in psychiatry 3 (2013): 111.
  10. Hanaoka Chie et al. “Do risk preferences change? Evidence from paneldata before and after the great east Japan earthquake.” No. w21400. National Bureau of Economic Research, 2015.
  11. Movaghar Afarin Rahimi, et al. “The impact of Bam earthquake on substance users in the first 2 weeks: a rapid assessment.” Journal of urban health 82.3 (2005): 370-377.
  12. Movaghar Afarin Rahimi et al. “A qualitative study of changes in demand and supply of illicit drugs and the related interventions in Bam during the first year after the earthquake: A summary report.” Iranian National Center for Addiction Studies in Colloboration with Research Center for Environmental Health. Tehran University of Medical Sciences and United Nations Office on Drugs and Crime (2005.
  13. Stratta Paolo et al. “Resilience in adolescence: gender differences two years after the earthquake of L’Aquila.” Personality and Individual Differences 54.3 (2013): 327-331.
  14. Iacoviello, Brian M. et al. “Psychosocial facets of resilience: implications for preventing posttrauma psychopathology, treating trauma survivors, and enhancing community resilience.” European journal ofpsychotraumatology 5 (2014).
  15. Lopes, Alessandra Pereira, et al. “Systematic review of the efficacy of cognitive-behavior therapy related treatments for victims of natural disasters: A worldwide problem.” PloS one 9.10 (2014): e109013.
  16. Norris, Fran H., et al. “Community resilience as a metaphor, theory, set of capacities, and strategy for disaster readiness.” American journal of community psychology 41.1-2 (2008): 127-150.
  17. Imperiale, Angelo Jonas, and Frank Vanclay. “Experiencing local community resilience in action: Learning from post-disaster communities.” Journal of Rural Studies 47 (2016): 204-219.

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