Linee guida e buone prassi per la terapia con metadone (in omaggio, una prolissa divagazione storica iniziale)

Questa presentazione è nata per un convegno regionale SITD Sicilia dedicato a tematiche di medicina legale, ed in particolare alla legge Gelli-Bianco ed alle sue ripercussioni sulla pratica professionale di chi lavora in SerT e Comunità Terapeutiche.

In questo ambito, abbiamo previsto anche interventi sulle linee guida e buone prassi per i farmaci più comuni e critici della branca, cioè metadone, buprenorfina e farmaci per l’alcolismo.

Del metadone mi sono occupato io (non senza aver prima cercato qualche collega di buona volontà a cui affidare il tema, visto che ero parte della segreteria scientifica: ma senza successo). Nel preparare la presentazione, più o meno alla fine della disamina sulle linee guida vecchie e nuove, ho pensato di andare a cercare qualche riferimento sui quotidiani dell’epoca. E lì si è aperta la tana del Bianconiglio e, volente o nolente, sono dovuto andare a vedere quanto era profonda.

Come ho fatto? Mi ero iscritto tempo addietro MLOL tramite biblioteca (Siracusa e Milano), un servizio internet che mette a disposizione gratuitamente ebook, musica e banche dati, e tra le banche dati c’è (speriamo che ci resti) anche l’archivio completo del Corriere della Sera e dei quotidiani che lo hanno affiancato, che comunque dovrebbe essere accessibile, forse con qualche limitazione, anche senza questa mediazione dei servizi bibliotecari.

Ecco che quindi prima di parlare di linee guida del metadone – perlomeno per come le ho capite io – e di buone prassi, metterò una prolissa divulgazione storica iniziale: perché mi piace, perché posso farlo, e con la speranza che interessi pure qualcun altro. O che qualche altro possa condividere le emozioni, la curiosità, ma spesso pure lo sconcerto e la rabbia con cui ho letto questi articoli.


Questa è una storia che inizia nell’agosto 1965, con la pubblicazione originale di Dole (endocrinologo) e Nyswander (psichiatra), ai tempi marito e moglie, sulla loro casistica di soggetti eroinomani trattati con il metadone per bocca.

Il primo successo terapeutico per la dipendenza da oppiacei, che era ritenuta una condizione intrattabile, solo da incarcerare (ed in effetti esistevano istituzioni carcerarie specifiche come Lexington).


La prima volta che compare il metadone sul Corriere della Sera è nel dicembre 1961, come sciroppo per la tosse. Ancora Dole e Nyswander non avevano provato il farmaco nei morfinomani, e come tanti altri oppioidi era stato cooptato nell’ampia serie dei sedativi della tosse. L’uso clinico di farmaci ad azione oppioide, nota o scoperta successivamente, nella terapia della banale tosse da raffreddore o sindromi simil-influenzali, è stata la causa di tante dipendenze da eroina sviluppatesi come conseguenza (si veda per esempio la pagina autobiografica “Zitoxil ovvero lo zipeprolo – una storia degli anni 80”).


E la prima volte che il metadone compare come “droga” è nel 1970, anno in cui nel nostro paese i tossicomani censiti erano solo 804, quasi tutti “di origine terapeutica”; la maggior parte morfina, qualcuno anche metadone o petidina.

Non c’erano invece “masticatori di coca” e la cocaina, per quanto nota già dal primo novecento, non era assurta all’interesse del ministero dell’interno.


La prima volta in cui il metadone compare come farmaco per la dipendenza da oppiacei in Italia è nel 1972, e cioè 6 anni dopo la pubblicazione di Dole e Nyswander, ed è riportata come l’unica terapia chimica sperimentata all’estero su larga scala, per quanto discussa e contestata.

Perché “non si deve combattere un veleno con un altro”. Iniziano gli atteggiamenti moraleggianti da parte del giornale, e non verranno mai più abbandonati.


1974, in Italia incominciano ad essere pubblicati i libri…


…e gli articoli accademici sul metadone.

Per quel che sono riuscito a ricostruire, il primo sull’impiego clinico dovrebbe essere questo, di Riccardo Zerbetto, importante psichiatra che ritroveremo più avanti.


E qui esce un po’ il peccato originale della clinica italiana, che vuol far da sé anche se è ben a conoscenza di come fanno, e bene, gli altri.

Chi ha inventato e applicato originariamente la terapia con metadone riportava di servirsi di un ampia gamma di dosi. Già il primissimo lavoro del 1965 su JAMA riportava dosi tra 50 e 180 mg.

Il libro di Elio Maggio, ripreso in questo da Riccardo Zerbetto, suggerisce di usare dosi notevolmente inferiori. Maggio suggerisce di usare dosi di max 40 mg, riportando come nel 1971 quando aveva iniziato come direttore del programma metadonico del Bronx Psychiatric Center di New York, la maggior parte dei terapisti fossero a favore di dosi elevata di metadone come originariamente raccomandato da Dole e Nyswander, per bloccare l’effetto euforico degli oppiacei e sopprimere il desiderio di farne uso.

Lui però preferisce trattare i pazienti con max 40 mg. Si rifà poi ad un lavoro di Avram Goldstein del 1972 che osservava che anche a dosi molto elevate non veniva soppresso il “desiderio di droga”, e si giustifica dicendo di voler evitare così gli effetti indesiderati e voler facilitare la fase del disimpegno dalla terapia..

Riporta inoltre che i pazienti scappavano dai programmi pubblici dello Stato di New York, basati su dosaggi di 100-120 mg, per “oversedazione ed incapacità di lavorare, e occasionalmente anche reazioni euforiche”, preferendo il suo programma a basso dosaggio, dove a differenza di quelli pubblici non vi era sospensione della terapia se le analisi delle urine mostravano l’uso di altre sostanze.

Da una pubblicazione della FDA del giugno 1973, apprendiamo che il programma metadonico diretto da Elio Maggio veniva interrotto da funzionari FDA, Maggio veniva privato della licenza, e il metadone in suo possesso veniva sequestrato, mentre i pazienti venivano distribuiti agli altri programmi metadonici del NACC, istituzione pubblica dello Stato di New York. Non sappiamo perché sia avvenuta la chiusura del programma, e Maggio non vi accenna nel suo libro pubblicato nell’anno successivo.

Dopo questo imprinting, Il clinico italiano, quando deve dosare il metadone, si orienta su dosaggi bassi e trattamenti abbreviati, pensando di far meglio. Qui però invece di far meglio fa peggio, impedisce che la terapia sviluppi il suo effetto eroinobloccante ed anticraving, limitandosi all’attività antiastinenziale e pensando che è tutto ciò che si può ottenere.

I risultati non ottimali del sottodosaggio (“i tossicomani continuano a farsi”) condizioneranno tutta la storia successiva.


Nel luglio 1975 si ha il primo riscontro di centri territoriali che offrono la terapia con il metadone.

L’intervento è sempre a tempo determinato e la somministrazione a scalare. Viene contemplata una “terapia d’appoggio” psicosociale.

Altri centri non contemplano l’uso del metadone e consentono solo una disassuefazione ospedaliera.


Nel novembre 1975 il metadone compare nei sequestri di sostanze da spaccio, in una formulazione in compresse di cui non avevo notizia.


Nel febbraio 1976, il metadone inizia a soffrire di cattiva stampa, ed i centri che lo impiegano ne subiscono lo stigma. Urla, assalti.

L’opposizione “gruppi giovanili di controinformazione, extraparlamentari, radicali di Pannella e Spadaccia” accusano il metadone di essere “Droga di Stato”. Si voleva una liberalizzazione della morfina.

Un giovane Massimo Barra, che poi negli anni diventerà un esperto nazionale nel campo, prova a discolparsi dicendo che non si limitano solo a fornire metadone ma danno anche assistenza psicologica.

A mio parere così accetta inconsapevolmente il luogo comune della diffamazione della terapia farmacologica, luogo comune nei fatti ancora vivo, per il quale bisogna sempre giustificarsi di una somministrazione peccaminosa di “droga” controbilanciandola con un intervento diverso percepito come davvero salvifico. Beninteso, la pratica clinica già a iniziare dal primo lavoro di Dole e Nyswander del 1965, prevede espressamente che “this treatment requires careful medical supervision and many social services. In our opinion, both the medication and the supporting program are essential”. Sarebbe bastato seguire il trattamento come delineato dagli Autori anziché fare moralismo.


La prima volta che sul Corriere della Sera la terapia con il metadone è associata alla riduzione del rischio di contagio delle patologie emotrasmissibili è nell’aprile 1977, in merito all’epatite virale. Il trattamento con metadone è visto come un intervento di riduzione del danno, ed associato al fatto che “in altri Paesi si dà eroina o metadone con una siringa sterile”.

“…non risolve il problema, ma almeno serve a diminuire in parte i casi di epatite fulminante”


Nel luglio 1977 continua la cattiva stampa, qui nel virgolettato attribuito al professor Paroli, che tutti i medici della mia generazione conoscono perché autore di un testo di farmacologia clinica e tossicologia usatissimo nell’Università italiana. Paroli qui parla del metadone come una “droga che combatte solo l’effetto dell’eroina” ma che fa sì che coloro che la assumono “in pratica si rovinano ulteriormente”.

Al tempo stesso un altro famoso docente, Enrico Malizia, riconosce che la più parte degli ospedali rigetta i pazienti tossicodipendenti: “il personale sanitario, il più delle volte impreparato, non sa come affrontare e curare questo male”. Questo nonostante gli studi di Dole e Nyswander all’epoca siano già vecchi di dodici anni.


Febbraio 1978: i medici che danno il metadone sono i cattivi, quelli che “rifiutano il rapporto personale”.

Questo secondo un medico (endocrinologo, scoprirò googlando) del Niguarda, che infatti riferisce che con questo farmaco loro “non hanno mai risolto un caso”.

Il sacerdote che sarà negli anni successivi un punto di riferimento del sociale a Milano, Don Rigoldi, conferma: “Disintossicare non è recuperare: è la condizione dei giovani d’oggi che è in crisi, ed è su quella che bisogna agire”.


Ed ecco il caso giornalistico che scatenerà l’inferno mediatico.

Siamo al 17 maggio 1978, ed un medico di famiglia, Sandro Zocchi, si autodenuncia, in autotutela, perché si trovava a prescrivere ad una giovane coppia di eroinomani una dose di 400 mg a testa di “droga della mutua” cioè metadone (40 fiale da 10 mg).

Il Corriere della Sera ci va giù duro parlando di “licenza di drogarsi” e citando il parere dell’endocrinologo del Niguarda visto prima che riferiva che il metadone non serviva a niente.

A nulla serviva la testimonianza della paziente che riportava di star bene con questa terapia.

I due l’anno prima avevano falsificato ricette per procurarsi il metadone “per non star male”.

Il fatto denunciato secondo il Corsera “è qualcosa di mostruoso” perché in USA la legge consente un massimo di 100 mg al giorno (nonostante Dole e Nyswander, e nonostante questa potrebbe essere una norma di un singolo stato e non federale).

Si accenna in chiusura al dilemma etico del medico che non sarebbe imputabile perché mancano altre strutture. Chi è allora il colpevole? E soprattutto, allora, c’è una colpa? C’è un reato? È stata infranta una norma? O si tratta di moralismo?


Il Corriere ricama sul caso dell’eroina legale: il dott. Sandro Zocchi, pur autodenunciatosi, non ottiene nessuna comunicazione di d’indirizzo dalle autorità preposte.

Apprendiamo che la coppia di pazienti faceva uso di eroina già dalla scuola media e aveva iniziato il trattamento con metadone a Firenze dal professor Pier Francesco Mannaioni, forse il primo in Italia a prendere sul serio il metadone. Lì erano a mantenimento (prima volta che trovo il termine sul Corsera) a 100 mg al dì.

Giunti al paesello di San Macario, in Lombardia, chiedevano la continuazione della terapia perché non potevano viaggiare su e giù per Firenze.

La dose dopo un po’ era insufficiente e i due gli avevano rubato il ricettario per ottenerne in più. Il medico si era rivolto a questo punto anche a un magistrato per avere l’assenso ad aumentare il metadone, con esito positivo. I pazienti stavano bene, erano in reinserimento lavorativo e sociale.

Per il Corsera però rimangono dei “drogati da metadone”.

Le Autorità alla fine consigliano al medico di non fare più ricette, senza dare una soluzione alternativa. I due malcapitati si arrangino.


I due giovani tossicomani vengono pure intervistati, e ci si chiede com’è che siano ancora vivi, visto che altre persone con questi dosaggi sono decedute. Non si fa accenno al lettore del concetto di tolleranza, certo non nuovo alla farmacologia neppure negli anni ’70.

Dicono “le abbiamo provate tutte per procurarci la nostra busta, adesso grazie al metadone l’eroina non ci interessa più, abbiamo intrapreso na vita regolare, noi siamo dei malati che vanno curati con il metadone come a un diabetico si dà L’ insulina altrimenti non vive”.

Il professor Vittorino Andreoli, nel 1978 già luminare, commentando questi dati dice però che il metadone è una “sostanza altamente tossica”.


L’effetto del circo mediatico, giusto un mese dopo, e siamo al 7 giugno 1978, è che il Ministro della Sanità Tina Anselmi decreta che il metadone non può essere più usato sul territorio. Solo in Ospedale (ma non ci sono reparti dedicati, quindi in pratica è abolito).

La Anselmi comunque vuole andare a regolamentare pure il “mantenimento”.


Il risultato, e siamo alla settimana dopo, è l’improvvisa, improvvida sottrazione della cura. Inizia il proibizionismo sulle cure.

La coppia di giovani che è stata occasione del caso giornalistico dovrà ributtarsi nel giro dell’eroina. La ragazza, Sonia Nocetti, è ritratta nell’atteggiamento trasgressivo di fumarmi una sigaretta, casomai qualcuno non avesse capito.

“Con il metadone siamo riusciti faticosamente a ricostruirci una vita normale. Mio marito lavora, guadagna anche bene, abbiamo una casa, e soprattutto non siamo più costretti ad arrivare a tutte le degradazioni che abbiamo conosciuto quando dovevamo procurarci la nostra dose di eroina”.

Il Corsera per tutta risposta li chiama “metadonomani”.

“Siamo andati a Varese ma il dottore ci ha detto che il metadone non è una soluzione”

“A Milano ci hanno proposto otto giorni di ospedale per la disintossicazione, senza metadone. E poi?”

“Io mi drogo da 7 anni, Fabio da 12…”

E il professor Alberto Madeddu, che pure dirigeva il CAD, uno dei centri milanesi che dall’inizio lavorava con il metadone : “Dare il metadone a chi chiede la droga è forse la risposta più comoda, ma non è certo la più corretta…ed io per questi due la risposta non l’ho in tasca”. “La medicina magica non esiste e comunque non è certo il metadone”.


La scelta dei termini del Corsera orienta l’opinione del lettore: “L’eccezionale licenza di drogarsi” “Superdrogati”

Il professor Vittorio Ventafridda dell’Istituto dei Tumori, pioniere delle cure palliative in Italia: “Era già difficile trovare questo farmaco nelle farmacie: ci telefonavano persino dalla Sicilia per poterlo procurare.”


Cosa succede dopo la sparizione del metadone?

L’eroina torna a uccidere.

E l’ospedale: “possiamo fare solo un ricovero al giorno”.


Siamo ancora a giugno 1978, il Corriere parla ancora di “Droga della Mutua”, “farmaco magico” e di “Metadonomani”.

Qui si fa presente al lettore che è stata inventata la cosiddetta “terapia di mantenimento” ma le parole usate lo bollano: “l’ambiguità di questa posizione”, “sconcertante trattamento”, “non serve a liberare l’individuo dalla schiavitù della droga”.

E il dott. Andrea Cattabeni sostiene una posizione a dir poco originale: “per cui l’uso del metadone in ospedale rende immediatamente difficile capire se il paziente chiede ricovero per smettere, o per avere gratis vitto alloggio più metadone”.

E invoca il piano psicologico: “impossibile smettere sostituendo una droga con un’altra”.


“Adesso per la legge sono di nuovo un tossicomane”

“Per la prima volta avevo sentito disgusto per questa vita e avevo deciso di provare a smettere”

“Mi dicevate che ormai ero guarito, adesso esce una legge e tutti mi dite di nuovo che sono un drogato


È passato un mese.

Non c’è più metadone, non ci sono i ricoveri.

Gli spacciatori aumentano il prezzo dell’eroina, della cocaina e degli altri stupefacenti. Era inevitabile. Si muore.

La madre: “Voleva smettere di drogarsi. In ben tre ospedali sempre siamo stati respinti”.

Droga dei poveri Droga di Stato

Continuano le polemiche


“Gli orfani del metadone”

“Ci costringono a morire di eroina”

I Radicali denunciano il ministro Tina Anselmi per mancanza di strutture di assistenza. Ma non rimproverano al ministro di aver tolto il metadone perché “troppi erano i medici che ci speculavano sopra, davano ricette perfino di 16 fiale giornaliere!”. In effetti c’era chi si faceva pagare, e ciò era visto come una forma di spaccio.

Prezzi dell’eroina saliti da 60mila a 140mila lire al grammo.

“Danno il metadone solo negli ospedali, tra le quattro e le sei di pomeriggio. Io ho perso il posto di lavoro per essere lì. Manca la possibilità di regolarsi da soli, prima uno poteva prendere la dose e distribuirla come voleva nel corso della giornata, adesso devi bere la fiala lì.”

“Se stai in centro puoi avere il metadone, se stai in periferia no. Ogni centro di igiene mentale si comporta in modo diverso.


Luglio 1978. C’è da poco la legge Basaglia, la territorializzazione dell’assistenza psichiatrica, la demanicomializzazione.

Tina Anselmi: “Ho abolito il metadone perché, diciamocelo, non era una medicina atta a guarire i tossicomani, ma, nella situazione attuale, serviva soltanto ad elmentarne la assuefazione, mentre occorrono BEN ALTRE strutture per combattere l’avanzata degli stupefacenti“.


Luglio 1978

Da quando è stato sospeso il metadone, il centro di igiene mentale è rimasto senza lavoro, 700 pazienti “in gran parte volatilizzati: venivano per il metadone.”

“Anche se non credo che con questo farmaco possa essere risolto il problema, si era creata comunque una occasione di incontro, e quindi anche di colloquio per affrontare poi nella chiave giusta, quella psicosociale, il complesso problema delle cause della tossicomania” (dott. Bartolacelli, psicologo).


Agosto 1978, Parziale dietrofront del ministro Anselmi.

Riappare il metadone, come sciroppo, negli ambulatori territoriali.


Agosto 1978

Certamente al livello regionale, ieri come oggi, gli amministratori sono inopportunamente creativi. L’Assessore non toglierà ail veto allo sciroppo: niente metadone in Lombardia.

“Per eliminare gli eroinomani si creano altrettanti metadonomani”.

“Da Bologna ci arrivano prescrizioni di metadone a mantenimento, ma noi abbiamo continuato a dire NO”


Nel Novembre 1978 qualcuno inizia a chiedersi perché questo metadone altrove funziona e in Italia no, e interpellano Dole, capitato in Italia per un “dibattito sulla droga”.

Erano tempi in cui gli articoli scientifici circolavano con difficoltà, e c’era il benemerito concerto di scienza clinica nazionale.

“Da noi tale è la diffidenza verso il metadone che c’è chi propugna piuttosto la liberalizzazione dell’eroina”

Dole: “È una vera sciocchezza”

“Con l’eroina rimane un disadattato e non un emarginato”

Dole: “Innanzitutto il metadone funziona solo se viene somministrato in modo corretto: il dosaggio è importantissimo e deve essere alto”

“Quando si somministra un dosaggio basso il tossicomane lo integra con eroina”

“Inoltre è necessario fornire un notevole sostegno psicosociologico: l’equipe che somministra il metadone deve essere convinta di quello che sta facendo…”

Tutto questo si sapeva già dal primo lavoro pubblicato su JAMA nel 1965. L’Italia però aveva deciso di lavorare a modo suo.


Dicembre 1978

Tina Anselmi nelle colonne del Corriere la mette giù drammatica: contro la droga per ora la battaglia è persa. “Purtroppo si è prestata attenzione quasi soltanto all’aspetto sanitario”.

Il Corsera: “Caporetto della burocrazia statale e locale”

Politici e media se la prendono con l’approccio sanitario e per onestà intellettuale non possiamo dare loro torto, perché se l’approccio sanitario è fatto con protocolli sbagliati, i risultati non si vedono, e si passa oltre. Ma non c’era un reale oltre che funzionasse.


Ancora dicembre 1978

“L’ospedale non basta per combattere l’eroina”.

Dora Vitrani: “La somministrazione del metadone così come è fatta attualmente non serve a nulla Continuano a curarsi, neppure uno è stato recuperato.”

Aldo, tossicomane : “Spesso non ti prendono o ti buttano fuori dopo pochi giorni” “Ti considerano guarito”

“Qualcuno si taglia le vene e lo riprendono”.


Maggio 1979, compare sul Corriere la comunità terapeutica: Don Mario Picchi, CEIS.

“Chi entra ha hià smesso di bucarsi, passera 72 ore di crisi di astinenza, ma non avrà neanche una aspirina. Egli, però, non sarà solo.”

Il paradigma è quello del rifiuto del farmaco.


Settembre 1979, inaudito prima, inaudito dopo, inaudito fino ad oggi.

La marcia dei drogati sul comune di Pavia, dopo 6 morti.

In silenzio con i cartelli di fronte al comune, finché non li riceve il sindaco Veltri.

A seguito dell’incontro, si decide che potrebbe essere realizzato un servizio di somministrazione diretta e controllata di metadone.


E siamo al luglio 1980.

Aldo Aniasi, prima PCI, poi PSI, poi PSDI.

Propone l’eroina in ospedale, il metadone terapeutico “la maniera migliore per aiutare i tossicomani”

(Il suo consulente era Riccardo Zerbetto, lo psichiatra che aveva pubblicato sul metadone nel 1974)

A chi sostiene ad oltranza che comunque non si doveva ricorrere alla “droga della mutua” il ministro Aniasi risponde:

“Nessuno dei critici del decreto ha però indicato una soluzione alternativa”.

Detto, fatto.

I decreti Aniasi, 7 agosto e 10 ottobre 1980 (qui raccolti nella Relazione al Parlamento 1979-1980)

Il metadone torna in farmacia.

Vengono istituiti specifici presidi sociosanitari.


I decreti Aniasi



Agosto 1980, sparisce la morfina, che aveva moltiplicato le vendite dopo il decreto Anselmi. Non serve più. Ricompare il metadone.

Appare sui giornali il caso di Sandra Tretola, medico di famiglia, in carcere per 33 giorni per aver prescritto morfina ai drogati in quantità superiore alle 6 fiale per volta, seppure gratis: “Venivano da me perché le ricette CMAS non gli bastavano. Adesso che non ci siamo più noi sono tornati all’eroina”.

Questo nella Firenze di Mannaioni dove però qualcuno di metadone è morto, non può fare a meno di far notare il Corriere della Sera.


Ancora Agosto 1980, gli esperti sono a consulto per frenare il decreto sulla droga della mutua.

Il prete: “Temo quando i ragazzi non si accontenteranno della droga della mutua e continueranno ad essere elemento di disturbo per la società”

“La gente si chiederà: ma come, ti buchi ancora, rubi, crei disordine dopo che ti abbiamo dato anche il metadone?”

“Allora non ci sarà più alcuna indulgenza per loro e quando andranno davanti al giudice non esisterà più comprensione”.

“Un progetto di repressione dei drogati che finirà con lo spegnere il lumicino dell’intervento di carattere sociale“.


Ed ecco che i medici cattolici si dichiarano obiettori.

“Una pericolosa alternativa all’uso dell’eroina, un grosso rischio, un gioco d’azzardo”

“Dovrebbe essere limitata allo svezzamento”

“La nostra speranza è riposta nelle comunità terapeutiche, dove i ragazzi possono

recarsi liberamente senza l’etichetta del malato”.

Perché il paradigma sanitario poteva escludere o minimizzare il coinvolgimento religioso?


Passa un anno, siamo nel giugno 1981, “no al metadone in cella” del professor Gianfranco Garavaglia.

Ma no perché?

“Significherebbe creare o conservare la tossicomania. Quando esce è dipendente dal metadone, forse anche dall’eroina.”

Quanti morti, Professore…


Agosto 1981 Quanti morti…

Settembre 1981, i medici di San Vittore sono contrari alla somministrazione di metadone. Perché? Siamo al delirio, perlomeno per una sensibilità di oggi:

“Il pericolo è che se l’assistenza in carcere per i tossicomani supera il livello di efficienza di fuori, il carcere potrebbero diventare per i tossicodipendenti un luogo protetto, più garantito. E questo va evitato”.

Mi viene da pensare però a nazioni come la Federazione Russa dove a tutt’oggi il metadone è vietato dalla legge ed eroina ed hiv sono diffusissimi, e all’improvviso capisco…


E nel novembre 1983 sul Corsera compare l’AIDS.

”Un 10-15% dei tossicodipendenti milanesi si trova già in quella condizione patologica definita genericamente pre-AIDS”

“Sta mietendo vittime tra gli omosessuale ed i tossicodipendenti statunitensi ed ormai anche europei” (prof. Mauro Moroni)

Il Corsera per la prima volta ammette che con il metadone i pazienti sono “stabilizzati quanto a droga”.

(Ancora non si sapeva che l’agente eziologico fosse un virus, ma si sospettava).


1983: il Ministero della Sanità con i suoi servizi di medicina sociale è attivamente coinvolto nel regolamentare la terapia con il metadone.

Qui ancora Zerbetto.

In pratica una linea guida, qui non cogente perché “pubblicazione”, non “decreto”. (Segnalazione di Giorgio Samorini, foto cortesia di Leonardo Montecchi)


Agosto 1984, Pannella seguendo la linearità del pensiero radicale, per l’appunto radicalmente libertario, propone la liberalizzazione dell’eroina e della droga in genere. Il sottosegretario alla sanità Costa, con delega alla lotta alla droga, si oppone…


E pochi mesi dopo (ottobre 1984) spunta in Gazzetta Ufficiale quella che sembra essere a mia veduta la prima consistente linea guida ministeriale sul metadone. Sono circolari ma vengono ritenute ampiamente cogenti.

Viene esclusa la somministrazione in farmacia priva di un intervento psicosociale. È un po’ la fine di un’epoca di improvvisazione non sempre benigna.

Come in precedenza, queste sono linee guida prive della specificazione di chi siano gli esperti che le hanno redatte, in base a quali fonti, entro quali ambiti, con quale metodologia, con quali prospettive di aggiornamento; inoltre non è previsto l’apporto di che le deve “subire” cioè i pazienti.

C’è solo la firma del Ministro.


Con il 1984 e la prima vera pubblicazione di linee guida sul metadone, si chiude la mia ricerca sugli archivi del Corriere della Sera.

Dopo la circolare Costa, un’apparente stabilizzazione fino al 1990, in cui nuove condizioni politiche consentono l’approvazione del Testo Unico, D.P.R. 309/90 convertito in legge 162/90, il cui impianto pure con qualche modifica e integrazione è tuttora vigente.

Questo attribuisce al Ministro della Sanità il potere di regolamentare la terapia con il metadone, e ciò ha luogo, con il D.M. 445/90, in senso molto restrittivo (vietato il mantenimento, vietata la terapia domiciliare).


Promosso dai Radicali, il referendum del 1993 toglie al Ministro della Sanità la potestà di regolare il trattamento con metadone e la rimette nelle mani dei sanitari.


1994: Il Ministro Costa emette nuove linee guida (non dichiarate le fonti)


“L’aspettativa di ottenere con i farmaci l’astensione di eroina alimentata da molti medici, è stata contestata GIUSTAMENTE…”

(Una linea guida non ideologica fa valutazioni di questo tipo?)

Bontà sua ammette che neppure altri interventi arrivavano all’esito auspicato


Viene fatto notare che proprio per l’esito del referendum del 1993 la regolamentazione ministeriale, anche se mascherata da linea guida, è illegittima.

Scrive il magistrato Porcelli, tali linee guida non vanno seguite se in contrasto con la Legge o addirittura irrazionali.


Le Regioni colgono l’occasione di legiferare e ciascuna si fa le proprie linee guida; qui l’incipit di quelle del Veneto, degne di menzione perché firmate da Giovani Serpelloni e dal suo gruppo di Verona.


Serpelloni in questo periodo pubblicava molto in tema di eroina, con posizioni non ideologiche e aderenti alle evidenze scientifiche, cogliendo il senso concreto del lavoro di Dole & Nyswander.

“Il metadone è lo strumento più efficace per abbandonare la vita da tossicomani…”


“Può essere usato ai dosaggi adeguati per periodi anche molto lunghi che sono l’ideale per determinare significativi cambiamenti nel comportamento dei tossicomani…”

“Non deve rappresentare l’unico approccio e non va applicata in modo rigido e standardizzato…”


Sono di qualche anno successive le pregevoli linee guida del gruppo di Pietrasanta, dove hanno partecipato un gran numero di esperti della SITD, e coordinato dal professor Icro Maremmani.

Siamo però ancora al concetto classico di linee guida basate sul consenso di esperti, con metodi e fonti non sistematicamente esplicitati, senza partecipazione dei pazienti, senza un programma definito di aggiornamento, senza un’esplicitazione dei conflitti di interesse.


Ogni SerT poi nel bene e nel male ha potuto creare le sue procedure tecniche, e andiamo da quelle più documentate, come queste di Mariagrazia Fasoli (che ha scritto moltissimo su questi argomenti) a quelle ideologiche e ascientifiche che preferiamo non riportare.


Oggi esiste una maniera standardizzata a livello internazionale di produrre linee guida (qui riportata da Antonino Cartabellotta del GIMBE), espressa dal Guidelines International Network G-I-N.


I punti chiave sono:

  1. partecipano sanitari, pazienti e altri portatori di interessi
  2. il metodo è esplicitato
  3. sono esplicitati i conflitti di interesse e le strategie di arbitraggio tra pareri contrastanti
  4. vengono definiti precisamente gli ambiti
  5. le fonti sono raccolte in maniera sistematica ed esplicita
  6. si prendono in considerazione le evidenze di benefici, rischi e costi
  7. le evidenze riportano i pesi di qualità
  8. prima della pubblicazione vanno revisionate da un esplicito gruppo esterno
  9. va esplicitata durata di validità e strategia di aggiornamento
  10. vanno dichiarati i finanziamenti

Viene spesso impiegata la metodica GRADE, anch’essa definita e disseminata al livello internazionale.


Esistono linee guida italiane moderne pertinenti il metadone? Cerchiamo sul sito europeo di EMCDDA.


Linee guida italiane sul metadone non ce ne sono.

Le linee guida italiane censite sono tutte piuttosto datate, ce n’è una sola recente (2017) sulla diagnosi delle malattie infettive da uso di sostanze.


Cosa dice l’Istituto Superiore di Sanità?

Che linee guida italiane moderne sul metadone non ce ne sono.

Siamo andati a vedere le linee guida internazionali che l’ISS intende adattare alla realtà italiana…


Scopriamo con interesse che anche se sul metadone non ce ne sono, ce ne sono due in campo alcologico:

  1. sulla diagnosi e trattamento delle complicazioni fisiche dell’alcolismo (UK, 2017)…

e sullo screening dell’abuso di alcol e sul counseling comportamentale (USA, 2018)


Possiamo andare anche alle revisioni Cochrane, che però non sono linee guida, ma materia prima per farle.

Lasciamo l’impegno agli interessati.


L’opinione del nostro Past President.


Comunque a mio avviso se dovessimo applicarci a circoscrivere un’area utile per linee guida sul metadone, per prima cosa dovremmo andare a prevenire la mortalità.

Quella da metadone fuori prescrizione non è molto alta (2 morti l’anno ogni 10 milioni di soggetti di età 15-64), fonte GeOverdose. Lo interpretiamo come gente che vuole “calare” la cocaina o ragazzi sperimentatori.

Negli anni in cui abbiamo raccolto questi dati appaiono concentrate nella regione Veneto, una zona caratterizzata dall’abbondante afflusso di eroina con relativi numerosi episodi di overdose.


Il migliore studio italiano, a mio parere, è del 2015, sul distretto di Pavia, in merito al decennio dal 2004 al 2013.

È evidente il dato delle morti iatrogene da induzione del metadone. Queste sono morti causate da imperizia, negligenza, imprudenza, ci mandano in Tribunale, e sono evitabili.

Avvengono anche a dosi relativamente basse in soggetti non tolleranti.

Delle morti fuori terapia e relativi contesti abbiamo detto; ci sono due casi in bambini di cui uno successivamente giudicato come omicidio. Un terzo era in contesti ricreativi.

Le morti in terapia vedono la presenza del metadone ma non necessariamente sono indotte da questo.


Le morti in induzione sono per esempio così (Corriere della Sera del 1981).

Metadone 70 mg in prima giornata a detenuto che si fingeva tossicodipendente per uscire di carcere.


Qui Pavia, i casi di morte da induzione. Dosi iniziali di 30-40 mg

Morte in terza giornata


Interessanti i casi da morte in corso di terapia.

Avvengono a dosi relativamente basse (quelle riportate sono da 13 a 40 mg con un caso a 80 mg)

Due avevano il capello negativo, quindi non assumevano la terapia domiciliare. Quando hanno deciso per qualche motivo di berlo (per calare dalla cocaina?) sono morti.

Una si è bevuta la terapia domiciliare tutta assieme, probabilmente a scopo suicidario. Basse dosi giornaliere (40) non sviluppano abbastanza mitridatizzazione = tolleranza.

Tanti altri avevano cocaina o metabolita, che potrebbe avere avuto un ruolo del decesso.


Vorrei fare notare una cosa a cui tengo molto e dovrebbe essere a pieno diritto la prima cosa su cui scrivere – se si vuole – linee guida.

L’induzione di metadone in soggetti con dipendenza da oppioidi sintetici.

Mai ripeto mai usare tabelle di equivalenza tra l’oppioide farmaceutico (ossicodone, morfina, fentanil) e metadone, per iniziare la terapia


Guardando la traiettoria (T0, 7gg, 28gg) di una ampia coorte di pazienti, chi prendeva dosi molto alte di oppioidi sintetici (equivalenti a 100-400 mg di morfina), stava bene con dosi contenute di metadone (equivalenti a max 100 mg di morfina).

Chi partiva da dosi pià basse generalmente saliva di poco.

Quelli a dosi alte se fossero stati trattati con dosi comparabili di metadone (che si accumula) in terza giornata avrebbero potuto essere morti


Cosa dicono le conclusioni dello studio?

Non c’è una correlazione tra dose di oppioidi sintetici e dose di metadone che li compensa.

Se si usano tabelle di conversione si può andare in overdose di metadone e provocare la morte del paziente.


Il messaggio da portare a casa è quello delle prime linee guida internazionali sul trattamento della dipendenza da oppiacei, che sono state prodotte nel 2009 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, e tradotte anche in italiano.

Sia che si venga da eroina che da oppioidi sintetici (ossicodone, fentanil, morfina, tramadolo, tapentadolo etc.) si incomincia BASSI.


Induzione 10-30 mg

Semmai rivalutare dopo 2-4 ore per dare un altro poco (poco!) Evitare di salire troppo nei primi giorni

Poi piano piano si può salire finché il metadone non funziona (120 o più)


Sempre nel 2009 e OMS, per ambienti protetti:

Prima dose di metadone 10-30 mg, se uso recente di oppioidi intorno a 30, se non recente intorno a 10.

Stesso dosaggio per 3 giorni (si accumula)

Salire di 5-10 mg ogni 3 giorni, non più di 20 in una settimana

In media si stabilizza tra 60 e 120 ma può essere di meno o di più.


Le più recenti linee guida moderne sono probabilmente quelle dell’ASAM American Society of Addiction Medicine (la SITD americana) e sono del 2015.


Molto simili a quelle precedenti, senonché si comincia a introdurre perlomeno per i pazienti più difficili da stabilizzare il concetto di dosaggio ematico del metadone (a tempo zero cioé prima della somministrzione).

Ovviamente laddove disponibile (non siamo mica gli americani).

Ricordo a tal proposito che possono essere presi in considerazione valori minimi serici di 250 ng/ml di levometadone o R-metadone (studio italiano di Meiji e collaboratori, di Pisa) oppure se il laboratorio misura il metadone racemo, 400 ng/ml (studi di Chin Eap).

Ultima cosa, se io personalmente dovessi indicare un’altra area importante per formulare linee guida per la terapia con metadone (ma comunque per tutte le terapia del SerT), per me sarebbe la lotta proattiva allo stigma.

Ma questa è un’altra storia.

Un pensiero riguardo “Linee guida e buone prassi per la terapia con metadone (in omaggio, una prolissa divagazione storica iniziale)

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