Il Rischio del Piacere

Con piacere, per l’appunto, presentiamo il volume appena pubblicato da Anna Paola Lacatena, sociologa e nostra associata di Taranto, coordinatrice del gruppo di interesse su legalità e questioni di genere.

Viene trattato il piacere nelle dipendenze, nell’uso di sostanze, con materiale raccolto nell’attività con i consumatori.

Di seguito la scheda di presentazione del volume:

“Il rischio del piacere. Le sostanze psicotrope dall’uso alla patologia”, di Anna Paola Lacatena per Carocci edizioni, Roma, dicembre 2018

La differenza del peggior architetto rispetto all’ape migliore consisterebbe nella capacità dell’uomo di visualizzare con precisione i propri progetti
(K.Marx, Il Capitale, 1867).

Se il termine piacere ha assunto nel corso dei secoli accezioni differenti, pur riportando semanticamente all’esperienza dell’Io corporeo e sensoriale, è indubbia la sua bipolarità tra soggetto sensiente e oggetto attraverso il quale l’esperienza si fa gradevolezza, desiderio, spazio di transitività.
In quell’area dall’autopoietico alla relazione che è il desiderio, l’Io sperimenta attraverso l’annullamento di sé la sua massima espansione, sebbene nell’irriducibilità dell’alterità aristotelica, l’oggetto del desiderio non dovrebbe trovare fusione con quello stesso Io.
Il desiderio, infatti, deve presentare i tratti dell’inesauribilità, della riproposizione, dell’immediata rinnovabilità. Il piacere per potersi definire tale non dovrebbe avere fine anzi dovrebbe tendere verso l’insaziabilità, l’ancora e ancora di più, fino a sfiorare il suo eccesso.
«I piaceri del corpo – scrive Aristotele – si sono accaparrati l’eredità di questo nome per il fatto che il più delle volte si approda a essi e tutti ne partecipano. Quindi per il fatto che sono i soli che conoscono, pensano che questi siano gli unici piaceri.» (Etica Nicomachea, 1153b 33-1154a, 1).
L’immediatezza e l’universalità dei piaceri del corpo, a cominciare dalla sessualità e dalla gola, sono state causa di una svalutazione che ha attraversato l’intera storia dell’umanità sino ad epoche più recenti, pur riconoscendo agli stessi, nella vicinanza con il mondo della natura e dell’assenza di razionalità la propria potenza generatrice e creativa.
Da tutto ciò il convincimento che il piacere di per sé non sia negativo nella misura in cui lo stesso è vagliato dalla ragione e dalla capacità di non sforare nell’eccesso.
Il libro, pubblicato da Carocci Edizioni a fine dicembre 2018, prova a porsi delle domande circa il piacere in generale e specificatamente in relazione all’uso di sostanze psicotrope.
Lo fa chiedendosi come funziona e come smette di funzionare il sistema della gratificazione soggetto a continui stimoli e sollecitazioni esterne, si interroga sugli effetti provocati dalle principali sostanze (legali e illegali) dal punto di vista organico e neurobiologico ma anche e soprattutto riportando le considerazioni dei consumatori. Non è detto, infatti, che le visioni tra scienza ed esperienza diretta siano coincidenti.
Dall’uso alla patologia, il lettore è invitato ad addentrarsi in un meccanismo che per conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali – una sorta di eterogenesi dei fini per dirla alla Wilhelm Wundt – vede il consumatore trasformarsi in dipendente patologico e il piacere in malattia.
«… In quel punto niuno mai si trovò pienamente soddisfatto, né lasciò né sospese punto il desiderio, né anche la speranza di un maggiore ed assai maggior piacere. Con che egli non venne in quel punto a provare un vero e presente piacere. Bensì dopo passato quel tal punto l’uomo spesse volte desidera che tutta la sua vita fosse conforme a quel punto, ed esprime questo desiderio con se stesso e cogli altri di buona fede. Ma egli ha il torto, perché ottenendo il suo desiderio lascerebbe di approvarlo ec.» (Giacomo Leopardi, Zibaldone, 2884, 3 luglio 1823).
Sembra contraddire, dunque, Leopardi la fisiologia del piacere declinata dalle sostanze psicotrope in quanto non sembra esistere per il consumatore piacere più intenso e gratificante del flash provocato dall’assunzione. La sua memoria lo riporta ad un presente che, con il tempo, però, finisce per non riuscire più a sentire completamente quello stesso piacere, confinandolo nel solo passato.
Conserva la sua mente tracce vive di quelle percezioni, le insegue, non ne è mai veramente pago, sebbene gradualmente non resta che il ricordo di quelle sensazioni non ancora condizionate dallo stabilirsi della patologia. Il tempo si ferma, il contesto è azzerato, esiste solo l’istante che vuole ritrovare il piacere già conosciuto. Il futuro è privo di senso. L’istante presente è ogni possibile e desiderabile futuro. Raggiungere l’Up significa cercare ancora quello stesso apice sempre più disperatamente, sempre più allontanandosi da ogni possibile moderazione. Non esiste la possibilità di un piacere maggiore, non esiste possibilità di relativizzare lo stesso pensando alla possibilità di qualcosa di più significativo. Menchemeno delle possibili conseguenze. Semplicemente l’eccesso, senza la complessità del governo e della misura.
La grande diffusione e i processi di normalizzazione di alcuni comportamenti, non ultima la diffusione della cannabis light attraverso i grow shop, hanno visto impennarsi negli ultimi anni le percentuali, rinvenienti dagli stessi dati ministeriali, di giovani dediti a condotte a rischio. Solo tra gli adolescenti, si contano consumatori abituali di alcol intorno al 60%, con modalità binge drinking (assunzione smodata di alcol, finalizzata a un rapido raggiungimento dell’ubriachezza) pari a circa il 25%. Non meno significativi sono le percentuali relative all’assunzione di cannabis (25 %), cocaina (2,7 %), ecstasy (2,6 %) ed eroina (1,4 %).
Le generalizzazioni del “lo fanno tutti, dunque è normale“, in riferimento all’uso di alcol nel fine settimana, di cannabis quotidianamente e occasionalmente di cocaina, non può lasciar intendere si tratti di comportamenti accettabili sia per le conseguenze legate alla giovane età sia relativamente ai rischi a breve e lungo termine sulle strutture celebrali e non solo.
Concentrazione, tono dell’umore, perdita di interesse e volontà, anedonia non sono che alcune delle possibili conseguenze soprattutto sulle fasce di popolazione più giovane.
Il testo prova a far conoscere il meccanismo col quale le sostanze seducono il consumatore offrendo piacere immediato con conseguenze nel tempo sulla stessa relazione soggetto/oggettodelpiacere/piacere attraverso l’esperienza e la voce dei consumatori, fuori da moralismi e facili giudizi.
Con lo stabilirsi della patologia, infatti, la ricerca del piacere da parte del dipendente patologico si fa sempre più ricerca di un tempo perduto di sartriana memoria che se pur riacceso non restituirà l’intensità vissuta. Ricorrere alle sostanze da dipendente significa solo mettersi nelle condizioni di vivere/sopportare il quotidiano senza le sensazioni forti che il consumo aveva garantito in precedenza. Assumere per non sentire dolore, in questo si trasforma il piacere.
Il testo si chiede se è possibile una strada differente, se la fisiologica ricerca del piacere possa essere padroneggiata, allargando lo spettro del godimento, guardando alla complessità del piacere, dilatando l’istante in un tempo più ampio.
Il piacere di esistere, quello dell’interezza dell’essere umano, attraverso il corpo e la mente, è piacere che si raffina che si fa desiderio dell’Altro da tutelare, da desiderare senza la mai completa assimilazione, al di là dell’eccesso che altro non diventerebbe se non perdita del piacere stesso.
A provare piacere, però, qualcuno deve avertelo insegnato.

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