Un sasso nello stagno

Riceviamo e volentieri pubblichiamo, auspicando il dibattito.

BREVE PROFILO DELL’AUTORE

Fulvio Fantozzi affianca alla professione principale di Medico delle Dipendenze in contesti ambulatoriali privati a Reggio Emilia e a Bologna le due attività collaterali di medico legale in materia tossicologico e psicopatologico-forense e di pubblicista e formatore / supervisore a tutto campo in materia di Dipendenze Patologiche. Un suo altrettanto importante quarto fronte di impegno professionale lo vede da 8 anni Consulente Medico di un Centro Residenziale del Ceis di Reggio Emilia avente come Mission la Disintossicazione e l’Osservazione diagnostica multidimensionale di persone Alcol-Tossicodipendenti.
Quanto all’attività pubblicistica e formativa, i temi privilegiati sono al momento attuale la clinica delle Dipendenze in rapporto alla deontologia professionale, il trattamento “laico” dei disturbi da uso di alcol e droghe ed i problemi medico legali alcol e droga – correlati nel contesto della Medicina del Traffico e del Lavoro e delle Scuole. I destinatari di tale attività formativa sono gli operatori del mondo della salute mentale (SER.T., Centri di Salute mentale pubblici, Comunità Terapeutiche accreditate, Enti locali, Regione, ecc.), ma anche gli operatori scolastici e sanitari delle cosiddette “cure primarie”, i Medici Competenti, i Farmacisti, le Forze dell’Ordine e gli operatori delle Autoscuole.

Settembre 2018


UN SASSO NELLO STAGNO

Quando rifletto, e mi capita spesso, sui risvolti antropologici delle “relazioni di appartenenza” delle persone tossicodipendenti mi si apre un mondo di ricordi, di suggestioni, di studi fatti in tempi lontani, all’inizio della mia carriera di Medico “Drogologo” quando la fascinazione e la curiosità scientifica per i variegati ed intriganti aspetti etnografici del consumo voluttuario di sostanze psicoattive riuscivano tranquillamente a controbilanciare da una parte la fatica di un lavoro controcorrente, mal visto e non riconosciuto da molti colleghi Medici di altre specialità, dalla società in generale e dalle Istituzioni non sanitarie e dall’altra il rischio anche personale di subire danni al di là del burn out (aggressioni, minacce, malattie infettive trasmissibili col sangue). Ed allora ripenso a quello che imparato in tanti anni di lavoro di cura nelle trincee dei SERT prima e poi del mio studio privato poi sul gergale del tossicodipendente, su tatuaggi, piercing e sulle altre simbologie corporee, ai luoghi comuni ed infine alle co-dipendenze ossia a come si muove, talora virtuosamente, più spesso viziosamente, il sistema – famiglia ed il sistema sociale “in toto” attorno alla figura del tossicodipendente.
Ogni cosa ha il suo tempo, però e credo che la materia dell’Antropologia ed Etnografia delle Dipendenze Patologiche sia ancora oggi effervescente, ricca ed in divenire (si pensi solo ai nuovi argomenti transculturali legati all’immigrazione e alle nuove sostanze psicoattive), ma semplicemente adesso su di me, “diversamente giovane Medico delle Dipendenze”, abbia meno presa ed abbia perso il potere di calamitare, come accadeva una volta, tutte le mie energie dedicabili allo studio e alla parte non immediatamente lucrativa della mia professione di Medico comunque appartenente al sistema delle cure delle dipendenze anche se ormai da 11 anni felicemente “Addittologo libero professionista”, con soltanto una “lacinia” che mi ricollega al mio vecchio mondo dei Sert (da ormai 8 anni collaboro, intensamente ed ancora incredibilmente con passione, come Consulente del Ceis di Reggio Emilia in un Centro residenziale per la disintossicazione di soggetti alcol-tossicodipendenti, a Carpineti).
Sono dunque un ex – cultore ed appassionato di Antropologia-Etnografia e Sociologia delle Dipendenze.
Ciò che mi impone di divergere e dedicarmi ad altro non è la noia per “sempre le stesse cose”, ma la molto più calamitante emersione (mi piace questa immagine del sommergibile che dalle profondità del mare emerge, prima col periscopio e poi con tutto il corpo dello scafo…!) di altri aspetti del lavoro clinico del Medico in questo campo, aspetti che quando ancora “appartenevo” all’organico dei Sert della Regione Emilia – Romagna (mi dimisi, da Direttore di struttura complessa, nel 2007) coglievo, seppure parzialmente e che adesso mi sento di coltivare e, spero, sviluppare.
Le questioni che mi interessano ora sono meno roboanti, meno eclatanti e anche meno scontate , lasciatemelo scrivere. Ma sono a mio avviso scottanti e talora anche molto rilevanti; questioni che è necessario osservare e tentare di dirimere con un’ottica originale ed aliena da quella che informa non pochi colleghi “fedeli alla linea” che ancora pontificano nelle supervisioni e nelle formazioni – mantra ( o meglio pseudoformazioni) autoreferenziali e ripetitive che ancora vedo imperversare nei Servizi della Salute Mentale.
Spero che il presente primo mio scritto non sia percepito da qualche Lettore particolarmente sensibile come outing puntiglioso e dissacrante (“absit iniuria verbis”, lo dichiaro fin d’ora!); il mio intervento toccherà questioni delicate ed in parte sommerse delle quali a mio parere tanto la Psicologia Sociale di settore quanto la letteratura grigia [generata per definizione dagli stessi Operatori immersi nel sistema (ricordate la metafora del sottomarino?) e quindi non proprio brillante quanto a neutralità e lucidità !)] non mi risulta si siano accorte finora o che hanno ritenuto scomodo affrontare di petto (si veda ad es. il punto 3, hic infra). Qualcuno bisognerà pure che getti il sasso nello stagno!
In questa sede ne elenco e ne tratteggio solo quattro, senza volutamente spingermi oltre; lo faccio perché ricerco un’approvazione almeno di massima del Lettore che mi potrà indurre ad approfondire in un secondo momento la mia analisi ed a snocciolare tutta una serie di ulteriori racconti, e ragionamenti connessi, già pronti all’uso e latenti nella mia memoria professionale a lungo termine.
Dunque attendo un riscontro di interesse per proseguire (o una picconata critica per fermarmi…)!

1- persiste a mio avviso un diffuso sentimento di appartenenza dei Medici al sistema della cura delle Dipendenze Patologiche e l’adesione a dogmi e credenze controculturali basate in buona sostanza sulle Scienze Sociali. Quanto influiscono tale appartenenza e tale adesione dei Medici di tale sistema sull’effettiva qualità della loro prestazione professionale? La domanda è retorica, perdonatemi.

2- è presente e visibile ( se lo si vuole vedere …) un conflitto di interessi “non finanziario” per il Medico che vuole bene soprattutto a se stesso e pertanto opera in modo “ossequiante ed ossequioso” all’interno di Servizi pubblici e privati accreditati che si occupano di tossicodipendenze ed in special modo di alcoldipendenza.

3- esiste, anche se “non lo si può dire” un tabu costituito dal fenomeno sommerso ( e via con ‘sto sommergibile!) ahinoi non affatto raro del curante che si ammala e dunque avrebbe lui / lei bisogno di cure; è difficile diagnosticare precocemente e trattare adeguatamente Medici che scivolano nell’abuso di alcol e/o stupefacenti e nel misuso di psicofarmaci e ne diventano dipendenti; e la prognosi purtroppo è di regola più pesante proprio per il fatto che si tratta di persone che sono pazienti e Medici nello stesso tempo.

4- Pensiamo alla “nuova” identità del tossicodipendente da cocaina col colletto bianco, fenomeno sconosciuto al sistema dei Servizi al quale pazienti del genere non approdano. A cosa “appartiene”, se a qualcosa appartiene, il cocainomane col colletto bianco ?

Vado qui di seguito a tratteggiare e a declinare solo per sommi capi i quattro punti appena enunciati, rimandandone la trattazione completa (con tanto di esempi clinici concreti, lo prometto, tratti dalla mia personale esperienza sul campo) ad un mio eventuale scritto su altre future pagine elettroniche di questo blog. Sempre che ovviamente, e lo ripeto, dal lettore mi giungano feed back rinforzanti positivi.

Punto 1) Il Medico nei Sert e ancora di più nelle Comunità Terapeutiche per Tossicodipendenti in molti casi ha appeso il camice al chiodo, ha assunto le sembianze di un Operatore Sociale e ne ha adottato metodi di lavoro e stile, ha smesso di ragionare come un Medico. Esempi ? Mancato ricorso al formazioni diverse da quelle che passa il convento, mancato aggiornamento scientifico su riviste che non siano generate dal sistema stesso (la cosiddetta letteratura grigia di settore, sopra citata), partecipazione esclusiva a formazioni scientifiche “di regime”, adozione come proprio standard e stile di lavoro di colloqui , spesso prolungatissimi e di esclusivo contenuto psicologico e sociale, ed abbandono della visita medica, nella propria attività quotidiana, assoggettamento passivo ad “indiscutibili” regole aziendali e sovra-aziendali scientificamente infondate che riducono e limitano i Prontuari Terapeutici e la potestà di cura del Medico, impedendo l’uso di principi attivi farmacologici moderni, più efficaci e più sicuri. Un chinare la testa a 360 ° , potremmo dire.
Il Medico del sistema- dipendenze ha spesso il lettino da medico impolverato ed ingombrato di cartume, perché non lo usa praticamente mai; e si piega a compilare cartelle sanitarie, cartacee o informatizzate, eleganti, ma spesso ideate da chi la Medicina non la conosce o comunque non conosce quella delle Dipendenze. Non raccoglie anamnesi mediche , ma solo narrazioni, registrandole con il linguaggio dei colleghi di formazione psicosociale, dimenticando che sì, è vero che la visita medica non è sufficiente a valutare completamente un tossicodipendente (Medicina Narrativa docet) però è NECESSARIA ! Quante informazioni diagnostiche essenziali si perdono se non si visita il corpo del paziente ?

Punto 2 – se tutto quanto descritto al punto 1 hic supra è vero,ci si deve porre il problema del conflitto di interessi invisibile e certamente non (immediatamente ) finanziario-economico: se il Medico delle Dipendenze poco preparato, poco sensibile e con un Etica professionale atrofica ab initio non vede o non vuole vedere il pericolo dell’affossamento professionale che non può non conseguire al processo di adattamento in parola ovvero alla sua “psicosociomimesi” all’interno di Servizi, specialmente Alcologici a ben vedere, a prevalente impronta psicosociale, quel Medico vivrà e lavorerà con meno patemi d’animo e molto probabilmente , a meno che non sia un inetto/a strutturale che non funziona bene nemmeno nella main stream sottoculturale del suo Servizio, farà carriera.
Eccolo qui il conflitto di interessi, altrettanto grave a mio giudizio di quello generato dal fenomeno del finanziamento occulto degli studi scientifici o addirittura dei “falsi scientifici” sulle Riviste, foraggiati da una certa Industria del Farmaco: “so che le cose non vanno bene, che la funzione medica nel mio Servizio è asfittica, che i pazienti non sono adeguatamente diagnosticati e curati secondo ciò che la Medicina delle Dipendenze prevede, ma taccio perché mettere i bastoni tra le ruote al sistema ( ed al mio Capo che lo incarna) significa che il sistema prima o poi mi farà fuori, o comunque che non sarò valorizzato sul piano della carriera”.
Ovvio, no? Meglio appartenere, insomma, al sottosistema degli operatori “non trombati” che a quello dei “trombati”.

Punto 3- l’Appartenenza alla categoria dei Medici per un Medico del sistema che si ammala di Dipendenza (soprattutto alcol, morfina, fentanil, psicofarmaci gabaergici e cocaina ) è un grosso problema. Ufficialmente a livello di Ordini dei Medici e Regioni qualcuno ha avuto il compito “istituzionale” di occuparsene, studiare altri sistemi non italiani che sono già al lavoro su ciò e qualcosa hanno prodotto,almeno sulla carta, di predisporre percorsi di cura ad hoc, ecc. ecc, ma non ci si rende conto abbastanza di due giganteschi errori strategici che caratterizzano buona parte se non tutti questi tentativi istituzionali di affrontare il problema: a) più pubblicizzi i dettagli operativi di questo lavoro di studio ed offri percorsi di cura dedicati “alla luce del sole” e più il candidato paziente-medico si allontana per evidenti ragioni di percezione di un alto rischio di inosservanza della più elementare riservatezza per il proprio caso (quale Medico morfinomane si farebbe mai ricoverare in una struttura superspecialistica dichiaratamente riservata a Medici morfinomani??!); b) i professionisti delegati a inventare nuovi percorsi di cura per colleghi dipendenti da sostanze spesso non hanno l’expertise sufficiente per produrre buoni piani di azione: abbiamo visto conferire incarichi così delicati come quelli in parola a colleghi andati in pensione dopo decenni di onorato lavoro senza però mai avere avuto contatti clinici con pazienti ! Tanto fumo e poco arrosto, insomma, nei “Laboratori istituzionali” dai quali dovrebbero scaturire nuovi percorsi di cura dedicati a Medici dipendenti da sostanze.
Appartenere alla categoria medica comporta uno svantaggio speciale se sei alcolista o drogato e per quel che si è visto finora lo stesso mondo medico si rivela incapace di intervenire al di là delle belle parole con percorsi di cura speciali realmente fruibili e realmente efficaci ed adatti a pazienti afflitti da tale svantaggio!

Punto 4 – A mio parere, ma so che presentata così potrebbe sembrare un’affermazione rigida e semplicistica, già da parecchi anni il cocainomane col colletto bianco e almeno all’inizio senza una cosiddetta “doppia diagnosi” [il quale/la quale potrebbe essere anche un artigiano/a che, poniamo, guadagna 2500 € al mese e ne spende 1500 in cocaina … non penso quindi solo ad Avvocati , artisti e (vedi punto 3 hic supra) Medici ] appartiene il più delle volte ad un mondo caratterizzato in una fase precoce del suo sviluppo personologico dall’assenza di ostacoli e di limiti sul piano sociale ed educativo, e da una carenza di esempi di persone capaci di inebriarsi non solo di vino, ma anche di poesia e di virtù, per dirla con la splendida poesia di Charles Baudelaire “Enivrez Vous” : raramente ho conosciuto nei SERT, ma soprattutto dopo, nel mio studio privato, dove tale tipologia di tossicodipendenti comprensibilmente afferisce molto più numerosa che nei SERT, cocainomani che non appartengano ad un mondo connotato da tabagismo precoce, modelli di vita materialistici nelle loro famiglie e quindi educazione improntata al conseguimento di risultati materiali e di uno status economico sociale “elevato ad ogni costo”, permissività riguardo all’uso di droghe cosiddette leggere, abitudine a scene di consumo intrafamiliare disinvolto di psicofarmaci ansiolitici come fossero integratori alimentari, uso di alcol conviviale senza alcuna consapevolezza del rischio per la salute; e soprattutto incapacità di “guardarsi dentro” senza bisogno, anche qui, di sostanze chimiche come “aiutìno”.
Le radici della dipendenza da cocaina che colpisce oggi in Italia giovani e meno giovani affondano a mio parere nell’appartenenza di chi vi approda non ad una categoria sociale , non ad un movimento o ad una confessione o classe , ma ad una intera società globalmente malata di carenza etica e poetica (rimando di nuovo alla tanto disarmante quanto incisiva ed evocativa “Enivrez vous” di Baudelaire, poesia valida più di mille trattati di sociologia a rendere l’idea su questo punto) che propone modelli di successo e benessere monodimensionali e quindi “sbilanciati” (per tornare a Baudelaire: vino sì, poesia e virtù … no, grazie !) basati sul “tutto e subito” e sostanzialmente sull’egolatria.

ENIVREZ VOUS DI C. BAUDELAIRE

Bisogna essere ebbri. Tutto qui: è l’unico problema.
Per non sentire l’orribile peso del Tempo che vi spezza le spalle e vi piega verso terra, bisogna che v’inebriate senza tregua.
Ma di cosa? Di vino, di poesia, di virtù, a piacer vostro.
Ma inebriatevi.
E se, a volte, sui gradini di un palazzo, sull’erba verde di un fosso, nella triste solitudine della vostra camera, vi risvegliate e l’ebbrezza è già diminuita o svanita, chiedete al vento, all’onda, alla stella, all’uccello, all’orologio, a ogni cosa che fugge, che geme, che scorre, che canta, che parla, chiedete che ora è ; e il vento, l’onda, la stella, l’uccello, l’orologio vi risponderanno: “E’ l’ora di inebriarsi !
Per non essere gli schiavi martirizzati del Tempo, inebriatevi senza tregua !
Di vino, di poesia o di virtù, a piacer vostro.

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