Le psicosi associate al consumo di cannabis. Seconda parte: il dibattito scientifico nel secolo scorso.

Psicosi consumo di cannabis, secolo scorso

E’ mio costume, da sempre, produrre articoli che, fermo restando il rigore scientifico, siano accessibili e comprensibili a tutti o quantomeno al maggior numero di persone possibile e non solo agli addetti ai lavori. Faccio questo perché sono fermamente convinto che la conoscenza e la divulgazione di informazioni corrette abbia effetti positivi su tutti, compresi i consumatori di droghe, le loro famiglie ed i cittadini tutti e riduca il rischio di inopportune speculazioni.

L’argomento di questa serie di articoli può risultare ostico ai non addetti ai lavori e a chi non ha alcuna conoscenza di psichiatria. Per tale motivo si consiglia a queste persone una lettura preliminare (a scelta) per chiarirsi il significato dei termini psicosi, schizofrenia, crisi acuta di panico e reazione psicoticomimetica.

Ho deciso di affrontare questa review seguendo un criterio crononologico, al fine di restituire anche l’evoluzione del dibattito (e delle polemiche) su un argomento che ancora oggi rimane controverso e che, oltre che assai complesso, è molto difficile da studiare, specie in epoca di policonsumo. Quella che segue è soprattutto una rassegna del dibattito e delle argomentazioni in corso fino all’anno 2000 che, per quanto datate, offrono spunti di riflessione assai interessanti.

Il canadese Negrete nel 1973 pubblica una review della letteratura scientifica disponibile fino a quel momento sui possibili effetti avversi della cannabis sulla psiche,[1] alla fine della quale propone questa classificazione: a) intossicazione severa; b) intossicazione patologica; c) psicosi acuta da cannabis; d) psicosi subacuta e cronica da cannabis; e) condizioni residue. L’intossicazione severa altro non sarebbe se un effetto eccessivo della sostanza, per assunzioni di THC superiori ai 250μg di THC per chilo di peso corporeo, con sintomi percepiti soggettivamente come sgradevoli ed inopportuni, come allucinazioni, disorientamento, alterazioni dell’equilibrio, ma che rientrano fra i possibili effetti della cannabis assunta ad alto dosaggio e si esauriscono entro poche ore. Sotto la dizione intossicazione patologica, invece, Negrete comprende tutte quelle reazioni intense di breve durata, che sono indipendenti dalla dose assunta e sono di tipo soprattutto emozionale come stati di panico, paranoia improvvisa, reazioni di depersonalizzazione e derealizzazione con conseguente crisi acuta di ansia. I sintomi dell’intossicazione patologica si risolvono con la fine degli effetti della cannabis. Negrete è anche uno dei primi che tenta di dare una definizione ed un significato alla dizione psicosi da cannabis, termine sotto cui vengono comprese tutte le condizioni psicotiche ed allucinatorie che perdurino anche dopo l’esaurimento degli effetti della cannabis ed abbiano una durata superiore a 15 giorni. Negrete utilizza questo criterio affermando che anche in Marocco viene operata la distinzione fra l’ivresse cannabique (l’intossicazione acuta con sintomi psichici avversi che dura poche ore) e la psychoses cannabiques aigues (psicosi cannabinica acuta), che si prolungherebbe per più giorni. L’autore comunque sottolinea che questa categoria diagnostica in effetti è molto controversa e negata da molti autori, secondo i quali questi pazienti sarebbero psicotici indipendentemente dagli effetti della cannabis  e la sostanza sarebbe solo un fattore di stress che altererebbe il loro precario equilibrio funzionale. Soprattutto, però, Negrete fa notare che alcune di queste psicosi, con sintomi che si prolungano per più giorni, potrebbero essere in realtà iatrogene, in quanto esito di trattamenti inopportuni in persone con sintomi psichici benigni ed autolimitanti associati all’uso di cannabis. Con il termine psicosi subacuta e cronica da cannabis l’autore intenderebbe indicare quei disturbi successivi all’uso cronico e prolungato di notevoli quantità di cannabis e che sarebbero soprattutto di tipo comportamentale, psicomotorio, sensoriale, cognitivo. Sotto la dizione condizioni residue, infine, sarebbero da comprendere le modificazioni psicologiche legate all’uso regolare di cannabis, come la cosiddetta e altrettanto controversa sindrome amotivazionale. Dal 1973 le categorie diagnostiche sono molto cambiate, ma il tentativo di Negrete è importante perché richiama l’attenzione sulla necessità di differenziare fra sintomi che si esauriscono con gli effetti della sostanza e sintomi che perdurano nel tempo, senza scartare l’ipotesi che una parte di questi siano in effetti episodi benigni inopportunamente inseriti nel circuito psichiatrico.

 

psicosi

 

Nel 1975 Kroll fa notare che dal 40 al 60% dei 45.000 militari dell’aeronautica americana dislocati in Thailandia, utilizzava regolarmente cannabis. Malgrado ciò, in un anno erano stati osservati solo cinque casi di reazioni avverse di tipo psichico associate alla cannabis, in soggetti con una personalità precedente che viene definita schizoide o borderline[2] e peraltro in una regione in cui la marijuana raggiunge percentuali di THC elevatissime.

Nel 1982 Palsson ed altri conducono un indagine in Svezia, alla fine della quale concludono che il numero di psicosi in cui è ipotizzabile un ruolo della cannabis è sorprendentemente basso rispetto alla diffusione della sostanza.[3]

Nel 1984 Carney e collaboratori pubblicano un piccolo e semplice lavoro retrospettivo sul British Medical Journal, con l’intento di dimostrare che le psicosi in cui il consumo di cannabis nel Regno Unito precede immediatamente il ricovero sarebbero molto frequenti ed altrettanto sottostimate.[4] Sulle pagine della stessa rivista ed a breve distanza di tempo un omonimo osserva che in uno studio simile, su 153 pazienti ammessi in un ospedale psichiatrico, 38 avevano assunto cannabis di recente prima del ricovero e 123 avevano guardato un film in televisione.[5]

Secondo una revisione della letteratura pubblicata nel 1990, i pazienti schizofrenici con una storia di consumo di cannabis avrebbero addirittura una sintomatologia attenuata ed un numero minore di ospedalizzazioni rispetto agli altri pazienti schizofrenici.[6]

Lewis e collaboratori fanno notare che gli psichiatri inglesi attribuiscono preferenzialmente e molto più facilmente la diagnosi di ‘psicosi da cannabis’ ai caraibici, in cui rischia di essere sovrastimata.[7]

A richiamare l’attenzione sui bias metodologici, che rendono molto dubbia la lettura dei dati e delle associazioni riscontrate, sono nel 1994 i ricercatori indiani (paese in cui la cannabis è diffusa tradizionalmente da sempre), nel 1994. Questi definiscono il tema il tema dei disturbi psichiatrici associati al consumo di cannabis controverso e assai elusivo ed elencano una lunga serie di possibili errori nella metodologia degli studi[8].

 

Mary Jane

 

Sempre nel 1994, McGuire pubblica uno studio secondo cui non si evidenziano differenze psicopatologiche significative nei pazienti con sintomi psicotici con esame urine positivo alla cannabis rispetto a quelli  con esame negativo.[9]

Uno dei primi (se non il primo) a chiamare in causa la cannabis di tipo skunk è Wylie, il quale nel 1995 dalle colonne del British Medical Journal con un breve report segnala che su otto pazienti che avevano ammesso di aver fumato questo tipo di cannabis, tre avevano sviluppato sintomi di tipo psicotico dopo l’assunzione di una dose standard. Wiley è forse il primo ad affermare che ciò sarebbe dovuto all’elevata concentrazione in THC della skunk e che la marijuana ‘normale’ dovrebbe essere sotto il 5% (l’argomento skunk sarà affrontato estesamente in seguito, comunque è possibile trovare altre informazioni su questo ceppo di cannabis a questo link).[10] Sulla stessa rivista McBride, un altro psichiatra, contesta questi dati e riporta che la cannabis di provenienza marocchina può raggiungere percentuali assai maggiori, Inoltre sintomi di tipo psicotico o simil psicotico, secondo McBride, si possono osservare anche in soggetti che hanno assunto cannabis con percentuali di THC inferiori al 5%.[11]

Nel 1999 i ricercatori indiani tornano ancora sull’argomento che, sulla base dei risultati del loro studio e della loro esperienza le ‘psicosi da cannabis’ devono essere tenute nosologicamente distinte dalla schizofrenia.[12]

I neozelandesi Hambrecht ed Häfner, in base ai risultati di una loro ricerca, suddividono i pazienti con esordio psicotico associato al consumo di cannabis in 3 gruppi: il primo gruppo, secondo gli autori, potrebbe risentire negativamente dell’influenza del deterioramento prodotto dalla cannabis sulla soglia di vulnerabilità. Il secondo gruppo sarebbe costituito da pazienti che sono già vulnerabili ed in cui la cannabis è il fattore di stress che favorisce l’esordio psicotico. Il terzo gruppo, infine, sarebbe costituito da pazienti che utilizzano la cannabis in funzione di automedicazione dei propri sintomi.[13]

High

Sono Degerhardt e Hall, ricercatori di lunga esperienza nel campo delle droghe e della cannabis, a sancire che, in base ai dai disponibili alla fine del secolo scorso, non era possibile affermare se la cannabis potesse precipitare una grave sindrome di pertinenza psichiatrica oppure costituisse una forma di automedicazione o se ancora l’associazione riscontrata fra consumo di cannabis e psicosi non fosse dovuta soprattutto al fatto che alcuni consumatori di cannabis avessero utilizzato in passato o utilizzassero ancora altre droghe. I ricercatori richiamano invece l’attenzione su un altro problema, molto più importante, ovvero che vi erano evidenze cliniche ed epidemiologiche che l’uso regolare di cannabis potesse esacerbare i sintomi o comunque complicare la clinica della schizofrenia.[14]

Questi i principali argomenti del dibattito scientifico durante il secolo scorso, durante il quale sono via via aumentati i casi di psicosi ammessi in osservazione con riscontro di esame urine positivo per cannabinoidi. Già durante il ventesimo secolo, il riscontro di positività ai cannabinoidi fra i pazienti psichiatrici era un reperto molto frequente: nel 1987, nella città di Londra, su 980 pazienti ricoverati in ospedale psichiatrico, il 34,5% ammetteva di aver consumato cannabis in passato ed il 13% aveva l’esame urine positivo per cannabinoidi.[15] Questi numeri sono andati via via aumentando significativamente negli anni successivi.[16] Non vi è dubbio, quindi, che già dal secolo scorso, al di là del suo possibile ruolo, la diffusione della cannabis abbia complicato il lavoro degli psichiatri, rendendo più complessa la gestione di questi pazienti, come già segnalato da Degerhardt e Hall quasi 20 anni fa.

Di notevole importanza, poi, le distinzioni fatte negli anni settanta fra sintomi simil psicotici che si presentano in concomitanza dell’assunzione di cannabis e si risolvono con l’esaurirsi degli effetti e quadri clinici più lunghi che si prolungano anche dopo la cessazione. Poca importanza, invece, viene data alle crisi acute di panico, che costituiscono l’evenienza clinica più comune e che, in una persona che presenta altri sintomi dovuti agli effetti acuti della sostanza, possono essere scambiate per crisi psicotiche. E’  importante riconoscere queste situazioni, in quanto l’inopportuna medicalizzazione ed ospedalizzazione di reazioni ad andamento potenzialmente benigno possono favorire esse stesse la cronicizzazione.

Da notare anche che durante il secolo scorso, per la prima volta, emerge anche la ‘teoria della skunk’ (che riprenderemo estesamente nei prossimi articoli), che quindi non è una formulazione recente e che attribuisce le crisi psicotiche associate all’assunzione di cannabis all’elevato contenuto in THC di questo ceppo. Venti anni prima, però, qualcuno aveva fatto notare che il numero di casi di psicosi associata all’uso di cannabis fra i militari americani in Thailandia era assai basso e si presentava sempre in soggetti predisposti, malgrado l’enorme diffusione della sostanza e l’altissima percentuale di THC nella marijuana di qual Paese.

Come si può vedere, nel dibattito scientifico del secolo scorso l’argomento aumenta progressivamente di importanza ma il reale ruolo della cannabis rimane assai controverso. Quello che però vale la pena di registrare prima di passare all’analisi del dibattito scientifico più recente è che, indipendentemente dalle posizioni dei vari autori, esiste una comune attenzione nonché un comune consenso sull’importanza della predisposizione individuale, lasciando anche spazio all’ipotesi che in una quota di soggetti in cui si riscontra questa associazione, la cannabis costituisca abbia valore di automedicazione piuttosto che rappresentare il fattore scatenante.

 

[1] Negrete JC. Psychological adverse effects of cannabis smoking: a tentative classification. Can Med Assoc J. 1973; 108(2):195-6

[2] Kroll P. Psychoses associated with marijuana use in Thailand. J Nerv Ment Dis. 1975; 161(3):149-56

[3] Pålsson A, Thulin SO, Tunving K. Cannabis psychoses in south Sweden. Acta Psychiatr Scand. 1982; 66(4):311-21

[4] Carney MW, Bacelle L, Robinson B. Psychosis after cannabis abuse. Br Med J (Clin Res Ed). 1984; 288(6423):1047

[5] Carney P, Lipsedge M. Psychosis after cannabis abuse. Br Med J (Clin Res Ed). 1984; 288(6427):1381

[6] Mueser KT1, Yarnold PR, Levinson DF, Singh H, Bellack AS, Kee K, Morrison RL, Yadalam KG. Prevalence of substance abuse in schizophrenia: demographic and clinical correlates. Schizophr Bull. 1990; 16(1):31-56

[7] Lewis G, Croft-Jeffreys C, David A. Are British psychiatrists racist? Br J Psychiatry. 1990; 157:410-5

[8] Basu D, Malhotra A, Varma VK. Cannabis related psychiatric syndromes: a selective review. Indian J Psychiatry. 1994; 36(3):121-8

[9] McGuire PK, Jones P, Harvey I, Bebbington P, Toone B, Lewis S, Murray RM. Cannabis and acute psychosis. Schizophr Res. 1994; 13(2):161-7

[10] Wylie AS, Scott RT, Burnett SY. Psychosis due to “skunk”. BMJ. 1995 Jul 8; 311(6997):125

[11] McBride AJ, Thomas H. Psychosis is also common in users of “normal” cannabis. BMJ. 1995; 311(7009):875

[12] Basu D, Malhotra A, Bhagat A, Varma VK. Cannabis psychosis and acute schizophrenia. a case-control study from India. Eur Addict Res. 1999; 5(2):71-3

[13] Hambrecht M, Häfner H. Cannabis, vulnerability, and the onset of schizophrenia: an epidemiological perspective. Aust N Z J Psychiatry. 2000 Jun;34(3):468-75

[14] Hall W, Degenhardt L. Cannabis use and psychosis: a review of clinical and epidemiological evidence. Aust N Z J Psychiatry. 2000; 34(1):26-34

[15] Mathers DC, Ghodse AH, Caan AW, Scott SA. Cannabis use in a large sample of acute psychiatric admissions. Br J Addict. 1991; 86(6):779-84

[16] Beesley S, Russell A. Cannabis use in a general psychiatric population. Scott Med J. 1997; 42(6):171-2

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