Le parole di Alessandro Tagliamonte

Ieri abbiamo avuto notizia da Icro Maremmani del decesso del professor Alessandro Tagliamonte, farmacologo, professore ordinario all’Università di Siena, già presidente della SITD, pioniere del trattamento con metadone in Italia e ricercatore apprezzatissimo nel campo della farmacologia delle dipendenze.

Nell’attesa che i Colleghi che hanno una visione più ampia e profonda della storia delle dipendenze nel nostro Paese abbiano il tempo di esprimere i loro ricordi ed il loro dolore, voglio riportare qui due articoli con la voce del professor Tagliamonte, che più e meglio degli articoli accademici – a mio parere – riportano il suo pensiero e forse la sua “anima”.

Il primo articolo dalla rubrica “Fuoriluogo” de Il Manifesto, gennaio 2002, intervistato dal nostro Stefano Canali:

Parla Alessandro Tagliamonte, ordinario di Farmacologia all’Università di Siena e uno dei più autorevoli esperti sul tema

L’uovo di colombo

Il metadone consente a un eroinomane di “funzionare” normalmente. Con la chiusura dei Sert i tossicodipendenti tornerebbero sulla strada. Senza diritti

Stefano Canali

Moralismo, speculazione politica ed interessi economici hanno sempre tristemente segnato il dibattito sulle droghe e soprattutto la pelle, la psiche e la vita di chi le droghe le consuma o ne dipende. Da tempo, tuttavia, non si assisteva a una rassegna tanto avvilente di dichiarazioni da parte di uomini con responsabilità di governo: basta, dicono, con i servizi pubblici «che distribuiscono solo metadone», basta con la politica della riduzione del danno che significherebbe solo «continuare a drogarsi, con l’aiuto dello Stato». Sullo sfondo, l’idea della tossicodipendenza come male morale, e dunque una visione del suo trattamento come intervento salvifico volto a sradicarlo. Una concezione che nega la base consolidata di conoscenze scientifiche sulla tossicodipendenza e sulle pratiche cliniche. Su questa base, che tuttavia non significa integrale medicalizzazione del fenomeno, si fonda invece la possibilità di formulare interventi razionali, dall’efficacia misurabile, aperti alla critica e alla correzione.
A questo proposito abbiamo intervistato Alessandro Tagliamonte, ordinario di Farmacologia all’Università di Siena e uno dei più autorevoli esperti sul tema in Italia.
Dal punto di vista medico-scientifico la tossicodipendenza viene definita una malattia cronica ad andamento recidivante. Quali sono le evidenze che sostanziano tale concezione?
La tossicodipendenza è una complessa miscela di effetti indotti da una sostanza che produce sensazioni soggettive piacevoli agendo sui centri cerebrali della gratificazione. Questi centri sono essenziali per l’adattamento all’ambiente, per l’apprendimento e per la sopravvivenza dell’individuo e della specie cui appartiene. Un animale mangia un cibo se gli piace e si accoppia perché gli piace. Un farmaco che stimola questi centri ripetutamente ne modifica la reattività e quindi la percezione e la valutazione di stimoli ambientali rilevanti, e il soggetto impara a rispondere ad essi in modo inappropriato. Soprattutto, tende a “funzionare” solo sotto l’effetto del farmaco, che spesso è attivo (o tossico) anche in altre aree cerebrali o in organi diversi dal cervello.
Il cervello è un organo plastico e può memorizzare anche un’esperienza farmacologica. Se questa esperienza interferisce con i meccanismi di apprendimento e memoria, come nel caso delle sostanze di abuso, non meraviglia che il meccanismo adattativo assuma il carattere di memoria stabile, cioè di processo irreversibile. Un cervello che si è adattato all’eroina risponderà all’eroina in modo adattativo anche dopo anni di completa astinenza. Perciò un ex eroinomane è sempre a rischio di ricaduta, così come un ex etilista. Perciò definiamo un’astinenza duratura “remissione” e non “guarigione”: la recidiva è sempre dietro l’angolo.
Il metadone è il trattamento d’elezione nella dipendenza da oppioidi. Qual è il razionale di questa cura e quali i benefici più evidenti?
La validità di una terapia sostitutiva è connessa alle peculiarità delle singole sostanze d’abuso. Immagini di avere a disposizione un antidoto per il tabacco che tolga al fumatore la necessità compulsiva di fumare. Lei crede che l’uso di questo antidoto sarebbe sottolineato da definizioni del tipo: «droga contro droga», «così non si affronta e si risolve, ma si perpetua il problema del fumo», «il problema non è dato dal fumo ma da qualcosa di interiore che non funziona e che deve essere risolto alla base»?
Il tabagista “funziona” solo sotto l’effetto della nicotina. Questa sarebbe stata un ottimo farmaco sostitutivo, se però non si fosse commesso l’errore di distribuirla come prodotto da banco. L’eroinomane “funziona” solo sotto l’effetto di una dose ottimale di eroina. Se va in astinenza sta male, diventa disforico: ha una determinazione a ottenere ciò di cui necessita del tutto inappropriata al suo basso tono dell’umore e un’aggressività che si può manifestare in forme manipolatorie o francamente violente a seconda delle circostanze. L’assunzione d’eroina lo riporta alla normalità, come la sigaretta riporta alla normalità il tabagista in astinenza. Se iniettassimo eroina con regolarità a un eroinomane in modo da evitargli l’astinenza, il suo comportamento si manterrebbe appropriato [come dimostra il calo verticale dei reati riscontrato in Svizzera nell’ambito della sperimentazione dei trattamenti con eroina, ndr]. L’eroina ha un effetto effimero come la nicotina, ma non ha la manegevolezza delle sigarette.
Il metadone è l’uovo di Colombo. Per il farmacologo è simile all’eroina, ma a differenza dell’eroina è attivo per via orale e nell’uomo il suo effetto dura 24-36 ore. Il che significa che la somministrazione quotidiana di metadone consente a un eroinomane di «funzionare» normalmente, come fantasticato con l’antidoto per le sigarette. La durata della terapia va valutata caso per caso ed è semplicemente stupido rischiare una ricaduta per la fretta di concludere. Molti eroinomani devono assumere il metadone vita natural durante.
A suo parere quali potrebbero essere le conseguenze di un eventuale ridimensionamento del ruolo dei Sert e di un abbandono della politica di riduzione del danno?
Noi italiani in genere abbiamo una scarsa coscienza dei nostri diritti civili, per via della nostra storia. I tossicodipendenti da eroina e da sostanze illecite non ne hanno affatto perché vivono in una condizione che li fa sentire esclusi dal contesto sociale. Non provano neppure ad ottenere qualcosa laddove capiscono che non c’è niente per loro. I medici dei Sert lo hanno capito da un pezzo. Per questo ce ne sono alcuni sovraffollati, dove i medici si fanno in quattro per garantire assistenza, ma il loro impegno sembra non soddisfare mai le richieste di pazienti dalle problematiche complesse. Poi ci sono quelli quasi vuoti, con orari rigidi, tutti lindi; dove i tossicodipendenti non vanno perché la risposta alle loro necessità è arrogante e, di fatto, inesistente. Chiudiamo i Sert, e gli eroinomani torneranno nelle strade e nelle piazze. Né loro né le loro famiglie scenderanno in piazza per difendere i loro diritti di malati.

Il secondo articolo dalla rivista Galileo, numero dell’1-7-2003 (copia cache presente sull’Internet Archive):

METADONE
La forza del pregiudizio
di Alessandro Tagliamonte


Alessandro Tagliamonte è professore ordinario di Farmacologia all’Università di Siena


Il metadone come farmaco sostitutivo per la terapia della dipendenza da eroina fu scoperto casualmente all’inizio degli anni Sessanta a New York da una psichiatra, Mary E. Nyswander, e suo marito, l’endocrinologo Vincent P. Dole. I due scienziati seguivano presso la Rockfeller University alcuni eroinomani, somministrando loro morfina endovena a intervalli regolari in modo da evitare una crisi d’astinenza e allo scopo di studiarne il comportamento in ambiente ospedaliero. La morfina venne a mancare per qualche giorno e, per evitare l’interruzione dell’osservazione e pur con qualche incertezza, fu sostituita con un oppioide di sintesi, appunto il metadone, somministrato per via orale. Già dopo un giorno col nuovo trattamento i due ricercatori notarono alcuni cambiamenti rilevanti. I soggetti in studio erano più collaborativi e non mostravano i tipici sintomi disforici, cioè l’atteggiamento iperreattivo, a volte aggressivo, in un sottofondo di basso tono dell’umore, di diffusa insoddisfazione e ripetute lamentele. Dopo qualche giorno i pazienti avevano assunto un sorprendente comportamento d’interesse per l’ambiente di degenza e cura della propria persona. In poche parole, esibivano quei comportamenti tipici nei pazienti d’ospedale che hanno riacquistato il benessere e, spontaneamente, ne condividono il piacere con i compagni di stanza, aiutandoli se e quando necessario e contribuendo fattivamente a mantenere in ordine l’ambiente di degenza.

Questi comportamenti apparivano del tutto inconsueti rispetto a quelli degli eroinomani ricoverati e trattati con morfina, per cui Nyswander e Dole decisero di tornare al regime iniziale, appunto con morfina. Il comportamento disforico ricomparve rapidamente, la morfina fu di nuovo sostituita col metadone e i pazienti riacquistarono l’atteggiamento collaborativo mostrato durante la prima esperienza. Questo comportamento “normale” non solo non si riduceva nel tempo, ma tendeva a rafforzarsi e a strutturarsi, con la cosciente partecipazione dei pazienti.

Raccontata così sembra una fiaba. Dole e Nyswander, fatte tutte le prove per evitare abbagli da artefatti (try hardly to disprove yourself) si resero conto di aver scoperto qualcosa di notevole e si impegnarono per informarne la comunità scientifica presso cui, con sorpresa e amarezza, trovarono spesso un muro di incomprensione. Sporadici attestati di stima e d’interesse a collaborare vennero all’inizio da ambienti non accademici. Un giovane operatore sociale, Henry Joseph, oggi qualificato ricercatore, che aveva il compito di seguire gli eroinomani rilasciati dal carcere on parol, cioè con l’impegno della buona condotta, fu il primo a sperimentare l’impatto del metadone sulle problematiche del quotidiano di un tossicodipendente. I soggetti affidati alle sue cure ricadevano in poche ore o pochi giorni nell’uso di eroina, un motivo sufficiente a interrompere il provvedimento di clemenza, e non c’era verso di modificare questa situazione. I due ricercatori proposero a Joseph di trattare con metadone i soggetti on parol e, quasi per incanto, essi osservarono che chi accettava il nuovo trattamento non restava più invischiato in comportamenti illeciti. Da subito spariva la compulsione a ricercare e consumare farmaci al di fuori del metadone e comparivano comportamenti responsabili.

I dati di Joseph impressionarono alcuni funzionari e politici e Dole e Nyswander, con la collaborazione di alcuni giovani medici e psicologi, ebbero l’opportunità di organizzare una rete di ambulatori (le cosiddette methadone clinics) per il trattamento con metadone a New York. La favola, cioè il razionale utilizzo del metadone in chi ne ha necessità e fino a che ne ha necessità, finisce qui o, meglio, la diffusione della lieta novella subisce a questo punto un rallentamento che ancora oggi perdura.

Le resistenze vennero da diverse direzioni e, cosa che lascia ancora oggi perplessi noi addetti ai lavori, contro il metadone si schierarono scienziati, medici, giornalisti, operatori sociali, magistrati e qualificati rappresentanti delle forze dell’ordine, in aggiunta ai religiosi, ai politici, agli psicologi, ecc. Si potrebbe parlare di un numeroso, articolato, vero e proprio partito trasversale anti-metadone. Politicamente il metadone è stato definito a fasi alterne farmaco di destra e di sinistra. In realtà, i medici e gli altri operatori che ne promuovono l’utilizzo si attengono a una valutazione obiettiva dei dati clinici, indipendentemente dalle proprie convinzioni politiche. Tuttavia, spesso, il dibattito fra questi medici e chi “non ha in simpatia il metadone”, o considera che somministrarlo agli eroinomani cronici equivale a “prescrivere whiskey a un etilista che beve prevalentemente vino o birra” o a “offrire una donna ad uno stupratore”, assume toni così accesi da fare apparire come ideologia il pragmatismo.

Il dibattito su un tema che attiene alla salute dovrebbe essere condotto in modo che le reazioni emotive alle problematiche connesse restino sempre distinte dagli aspetti tecnici, cioè medici. In altre parole, se si vuole fare chiarezza sulle cause di una patologia e sulle risorse reali esistenti per prevenire e controllare queste cause e per curare la patologia stessa, non si deve far confusione fra dati scientifici e opinioni, soprattutto se le opinioni sono di non addetti ai lavori. Detto questo non tornerò sullo stucchevole e time consuming dibattito su metadone sì metadone no.

Kraepelin cento anni or sono definiva il morfinismo cronico come un marasma della volontà e considerava dei cialtroni coloro che, anche allora, promettevano soluzioni salvifiche o cure brevi. Oggi la tossicodipendenza da eroina è definita una malattia cronica di carattere psichiatrico ad andamento recidivante. Come la depressione, tanto per intenderci, con la differenza che la depressione non ha una causa esogena altrettanto ben definita, mentre ha ben definito il carattere della familiarità. Non soltanto la tossicodipendenza da eroina ma anche l’etilismo, il tabagismo e altre forme di tossicodipendenza appartengono al vasto capitolo delle malattie psichiatriche croniche da agenti esogeni ad andamento recidivante.

Per i non addetti ai lavori è concettualmente difficile porre sullo stesso piano un eroinomane, un cocainomane e un tabagista, meglio noto come fumatore, e non è immediata la corrispondenza fra fumatore e cocainomane. In medicina queste apparenti contraddizioni sono relativamente comuni. Una diagnosi di ipertensione arteriosa è spesso fatta casualmente su una persona giovane che non accusa sintomi soggettivi. L’ipertensione è considerata, per questo motivo, una condizione al limite fra malattia e stato di rischio per una futura patologia d’organo (cuore, reni, ecc.); ma, indipendentemente dalla definizione, è dimostrato che un soggetto iperteso, se non si controllano i suoi valori pressori alterati, ha un’aspettativa di vita nettamente inferiore rispetto a quella della popolazione generale. La pressione arteriosa in alcuni casi può essere controllata con rigorose misure igieniche, ma nella maggior parte dei casi è necessaria la somministrazione di farmaci: per tutta la vita. Anche il tabagismo è sicuramente una condizione di rischio per lo sviluppo di patologie d’organo come infarto del miocardio, vasculopatie periferiche ostruttive, broncopneupopatia ostruttiva, tumore polmonare. Basterebbe smettere di fumare per ridurre, se non addirittura eliminare, il rischio di sviluppo di queste patologie; cioè, l’accettazione di una rigorosa misura igienica da parte di un fumatore potrebbe, teoricamente, risultare superiore all’uso di qualsiasi farmaco da parte di un iperteso. Di fatto, i fumatori hanno un’aspettativa di vita di almeno 15 anni inferiore rispetto alla popolazione generale: nella Comunità Europea muoiono 500.000 persone all’anno a causa del fumo e il 50 per cento dei fumatori che ha un infarto dopo tre mesi ha ripreso a fumare. Per questi motivi il tabagismo è classificato come tossicodipendenza, che è la perdita del controllo sull’uso di una sostanza che intossica.

La tossicodipendenza è una malattia o una condizione di rischio? La risposta è articolata, poiché alcune delle sostanze che inducono tossicodipendenza producono anche effetti comportamentali alterati che di per sé configurano una patologia. Per esempio, la cocaina può indurre una psicosi paranoide che, dopo una prima fase di sensibilizzazione, ricompare come effetto acuto a ogni somministrazione del farmaco.

La sensibilizzazione agli effetti della cocaina, così come la conseguente psicosi paranoide, sono manifestazioni cliniche connesse all’uso di cocaina che si possono manifestare indipendentemente dai sintomi di tossicodipendenza. Nell’abuso di eroina non esistono modificazioni del comportamento altrettanto drammatiche connesse a un’intossicazione acuta o cronica. L’auto-somministrazione ripetuta di eroina induce tolleranza e dipendenza e, se s’interrompe il trattamento, compare la sindrome di astinenza. È in astinenza che l’eroinomane presenta la disforia e l’ansia che condizionano i suoi comportamenti e le sue relazioni sociali; l’assunzione di una dose ottimale di eroina (adeguata al grado di tolleranza raggiunto) gli restituisce la normalità.

Anche il fumatore appare “nervoso” se resta senza sigarette, ma appena ne fuma una la nicotina gli restituisce la sua normalità. La distinzione fra condizione di rischio e malattia ha, quindi, un valore soprattutto speculativo. Certamente, ciò che maggiormente differenzia l’ipertensione dal tabagismo è l’esistenza di numerose classi di farmaci antiipertensivi efficaci che si contrappone alla pressoché completa mancanza di risorse farmacologiche antifumo. Immaginate un farmaco che preso al mattino o alla sera prima di dormire garantisse per le successive 24 ore uno stato di non-necessità di fumare, senza conseguenze sul tono dell’umore, attenzione, appetito, ritmo del sonno.

Sarebbe un problema prescrivere a un fumatore questo farmaco, anche per il resto della sua vita, in sostituzione delle sigarette? Sarebbe “troppo facile”, “non risolverebbe il problema alla radice”, dovrebbe questo farmaco guadagnarsi le simpatie di qualcuno o sarebbe sufficiente dimostrarne l’efficacia per promuoverne l’uso?
Dole, da endocrinologo, teorizzò una stretta similitudine fra la risposta dei diabetici all’insulina e la risposta degli eroinomani al metadone e propose l’ipotesi dell’eroinismo cronico come malattia metabolica. Un uso prolungato di eroina produrrebbe uno squilibrio metabolico che solo la somministrazione continua di un agonista oppioide sarebbe in grado di riequilibrare.

L’ipotesi è affascinante e ancora oggi, con le opportune correzioni connesse alle moderne conoscenze di psicobiologia, ha validità. Certo è che malessere soggettivo e comportamenti alterati sono presenti nell’eroinomane solo in fase di astinenza. Come più volte sottolineato, se a un eroinomane viene somministrata per infusione endovena una dose di eroina sufficiente a prevenire la comparsa di sintomi di astinenza, finché dura l’infusione l’eroinomane sta bene ed ha un normale controllo sul proprio comportamento. L’infusione continua presenta notevoli difficoltà pratiche e può essere sostituita efficacemente con un farmaco che sia ben assorbito ed eliminato lentamente dall’organismo. Il metadone somministrato per via orale è assorbito per il 98 per cento ed è eliminato molto lentamente.

Il metadone ha effetti farmacologici molto simili a quelli dell’eroina. Sicuramente se iniettiamo per endovena a un eroinomane una dose equivalente di eroina o metadone, non distingue nell’immediato una dall’altro. L’effetto dell’eroina dura poche ore perché l’organismo la degrada ed elimina rapidamente; l’effetto del metadone è prolungato nel tempo. L’eroina somministrata per bocca è rapidamente degradata e solo una minima parte raggiunge il circolo; il metadone ha un assorbimento orale pressoché completo e il suo effetto dopo una singola dose orale copre il soggetto per almeno 24 ore. Come conseguenza della sua lenta eliminazione dall’organismo col metadone si possono ottenere concentrazioni stabili per 24 ore nel sangue e nel cervello, che definiamo massimali, sufficienti a neutralizzare l’effetto di una dose aggiuntiva di farmaci simili, per esempio di eroina. Questa dose è stata denominata blocking dose ed è utilizzata per disincentivare l’uso di eroina in quei soggetti che compulsivamente si auto-iniettano nonostante non avvertano il minimo segno di astinenza. Questi dosaggi massimali si raggiungono gradualmente in base alla risposta clinica del soggetto, poiché il metadone, come la morfina e qualsiasi altro narcotico-analgesico deprime i centri del respiro.

La depressione dei centri del respiro è la causa della morte da intossicazione acuta da eroina, la famigerata overdose. A questo effetto compare rapidamente tolleranza e la blocking dose può essere raggiunta senza rischi in una-tre settimane. Gli oppiacei, prodotti estrattivi dell’oppio, e gli oppioidi, loro analoghi di sintesi, non hanno tossicità d’organo. Non sono tossici per il rene, per il cuore, per i polmoni, per il fegato.

Inducono tossicodipendenza se assunti per auto-somministrazione. Una volta strutturata una tossicodipendenza non è eradicabile. “Once an alcoholic always an alcoholic”, un alcolista resta tale per tutta la vita, come un eroinomane o un tabagista. Diventare eroinomane presuppone mesi, se non anni, d’uso ripetuto; per ricadere nell’uso di eroina bastano uno-due giorni anche dopo anni di astinenza. Altrettanto vale per alcool e tabacco.

Per questi motivi definiamo le tossicodipendenze come malattie croniche ad andamento recidivante. Smettere di fumare o di bere è relativamente facile, così come è relativamente facile smettere di iniettarsi eroina. Ma non si deve mai commettere l’errore di confondere una fase di remissione, che può durare anni e che non necessariamente esita in recidiva, con la guarigione. La recidiva fa parte del quadro clinico di una tossicodipendenza e non deve essere vissuta dal medico, almeno da lui, come una delusione riguardo alla forza di volontà del soggetto.

Fare una predica a un eroinomane o a un tabagista in recidiva equivale a sgridare un asmatico perché “anche quest’anno, a primavera, ti sei ripreso l’asma”. I soggetti trattati con dosaggi personalizzati di metadone a mantenimento riacquistano il loro equilibrio psicofisico di base, non hanno comportamenti compulsivi connessi al procacciamento di eroina e, se messi in grado di svolgere un’attività lavorativa, sono in grado di esprimere al meglio le proprie capacità produttive. È per questi motivi che il trattamento a mantenimento con metadone migliora il grado di socializzazione e riduce la criminalità fra i tossicodipendenti. Con l’eliminazione della ricerca compulsiva (craving) dell’eroina, che è il sintomo cardine di una tossicodipendenza, l’igiene personale riacquista importanza e il rischio di infezioni si riduce di conseguenza.

Più complesso è spiegare perché alcune sostanze inducono tossicomania e chi ne fa uso più o meno rapidamente perde il controllo e la sua esistenza appare controllata e scandita dall’assunzione di queste sostanze, indipendentemente dalla loro pericolosità. Tutti sentiamo la necessità di sentirci protetti dal rischio di diventare tossicodipendenti, ed è rassicurante ipotizzare che chi lo è deve essere diverso, in qualche modo tarato rispetto a una teorica popolazione generale. Per questo motivo vengono sottolineati, spesso in alternativa, la necessità di una predisposizione genetica o di un ambiente stressante e ricco di condizioni frustranti.

Ma anche il cibo è da considerare una sostanza d’abuso e l’obesità una forma di tossicodipendenza, per cui si ripete anche che “solo chi è predisposto diventa obeso”. Che dire, allora, di fronte ad un’incidenza di obesità che supera il 40 per cento negli adolescenti? Apparteniamo a una società di tarati? Negli anni Cinquanta oltre il 50 per cento della popolazione generale fumava, oggi le stime si sono attestate appena al di sotto del 30 per cento. L’occasione fa l’uomo ladro, le merendine fanno il bambino obeso, i tabaccai fanno dell’uomo un fumatore. È così semplice? Non è affatto semplice, ma questi sono i termini del problema. Un’affezione colpisce solo chi è predisposto se l’agente patogeno ha una scarsa diffusione; ma la società del benessere che ci mette a disposizione e impone i supermercati, i fast food, i più raffinati tabacchi e alcolici, una martellante televisione che invita a spendere di più, sia per il nostro benessere sia per salvare l’economia nazionale, ci ha anche regalato percentuali mai raggiunte prima di obesità. Inoltre, per quanto sia difficile sostenere che etilismo e tabagismo sono tipici di una società del benessere, è ben vero che solo dove si producono grandi quantità di alcolici l’etilismo si diffonde e che fu la scoperta dei fiammiferi a sfregamento e delle macchine produttrici di sigarette che favorirono la diffusione del fumo.

La farmacologia ci propone nuovi miracolosi farmaci contro il fumo, l’alcool, l’obesità. Di fronte alla povertà dei risultati dovuta alla scarsa efficacia di questi prodotti, si sente ripetere che data la dimensione del problema anche i piccoli farmaci vanno utilizzati. In contrasto, di fronte al problema eroinismo, che è definito una delle piaghe della nostra società, assistiamo alla continua paradossale demonizzazione del metadone che, appropriatamente utilizzato, potrebbe risolvere i problemi psicofisici e sociali della maggior parte degli eroinomani.

Ove i titolari dei diritti dei due articoli abbiano obiezioni alla loro presentazione qui e in forma completa, siamo ovviamente disponibili al ritiro immediato. Speriamo però che vogliano accogliere il nostro omaggio al nostro passato Presidente e accettino di lasciare le sue parole in questo blog che è senz’altro, come ogni altra iniziativa della SITD, casa sua.

 

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