Terapia farmacologica nella dipendenza da cannabinoidi

Discutere di cannabis richiede inevitabilmente di destreggiarsi tra gli attacchi di proibizionisti ed antiproibizionisti, sforzandosi di restare sul terreno delle evidenze scientifiche (ed anche quelle, di leggerle bene), e non lo faremo oggi.

Invece, mi interessa portare alla vostra attenzione un recente articolo che tenta di riassumere le conoscenze attuali sulla terapia farmacologica usata per i pazienti che vogliono o devono smettere di far uso di cannabinoidi, e non riescono da soli.

La prima categoria di pazienti non è di frequente riscontro, sebbene nella mia personale casistica come – giurerei – in quella di ogni professionista del settore ce n’è stato qualcuno: persone preoccupate della propria impossibilità di smettere di far uso svariate volte al giorno di derivati della cannabis, che quando provano a ridurre o smettere sperimentano effetti sgradevoli di natura psichica o anche somatica (ricordo a tal proposito una ragazza con dolorosi spasmi muscoloscheletrici, che comparivano ogni volta che tentava di ridurre il suo uso).

La seconda categoria è molto più rappresentata: si viene obbligati dal proprio ambiente familiare o sociale, dalle leggi vigenti (problemi di patente, di lavoro), a volte dall’impossibilità di procurarsi la sostanza preferita per canali accettabili.

La sintomatologia esperita nella fase di riduzione o sospensione a volte rende proponibile un intervento farmacologico; la pubblicazione che ho consultato, ad accesso libero, elenca e discute i vari trattamenti, e li riassume in un’utilissima tabella che riporto qui di seguito come riferimento.

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Come si vede, sono state provate un po’ tutte le categorie di farmaci psicoattivi, compresi quelli derivati dalla cannabis, ma non tutte hanno avuto effetti utili, ed alcune hanno pure peggiorato il quadro clinico.

Viene spontaneo chiedersi se gli effetti indesiderati di qualcuna di queste terapie non possano essere potenzialmente peggiorativi rispetto a quelli della cannabis: meglio dunque non smarrire la guida di scienza e coscienza e l’attenzione al paziente, anche perché nessuno dei trattamenti elencati gode della specifica indicazione, e si tratterebbe sempre di prescrizioni off-label a cui dedicare la massima prudenza, attenzione, e precisione pure sul lato giuridico.

La pubblicazione originale, a cui rimando per ogni approfondimento e per la ricca bibliografia, è reperibile in

http://dx.doi.org/10.2147/SAR.S89857

Addendum: è uscito il video-abstract della ricerca

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