Uno studio pilota sulla psilocibina nella depressione

La ricerca sugli effetti medicamentosi e socialmente accettati delle sostanze considerate droghe d’abuso e dei loro derivati sta trovando gradualmente spazi maggiori, un po’ per la tenacia di alcuni gruppi di ricerca psicofarmacologica, un po’ per la consapevolezza che le politiche esclusivamente repressive non hanno portato ai risultati sperati in termini di salute pubblica, ed un po’ forse anche perché i risultati di ricerca dell’industria farmaceutica in campo di psicofarmacologia ultimamente non sono stati particolarmente esaltanti, dopo aver esaurito le variazioni sul tema degli inibitori della ricaptazione dei vari neurotrasmettitori e dei bloccanti più o meno puliti dei recettori dopaminergici.

Nelle ultime settimane due annunci sulle più quotate riviste scientifiche hanno toccato questi temi. In merito al primo, e cioé l’identificazione del possibile meccanismo della rapida azione antidepressiva della ketamina, molecola che riveste secondo le modalità d’uso – come tante – il duplice ruolo di medicamento e di sostanza d’abuso, abbiamo già accennato qui su Dedizioni.

La seconda, di poco cronologicamente successiva, è una ricerca pilota in aperto sull’azione antidepressiva rapida della psilocibina, il principio attivo dei funghi allucinogeni del genere Psylocibe, una dimetiltriptamina accreditata come agonista dei recettori della serotonina 5-HT2A.

Psylocibe semilanceata, var. europea

Psylocibe semilanceata, var. europea

I ricercatori, facenti capo a David Nutt, professore inglese di farmacologia rispettato ma insofferente dei tabù applicati alla ricerca sulle sostanze psicoattive (tanto da aver perso incarichi governativi a causa della polemica politica sui dati pubblicati) spiegano all’inizio della loro pubblicazione, ospitata da The Lancet Psychiatry, di aver dedicato la propria attenzione alla psilocibina a seguito dei numerosi rendiconti del durevole senso di benessere ed ottimismo successivo alle esperienze psichedeliche nell’uomo, dei congruenti effetti sull’animale da esperimento, e del quadro di sicurezza d’uso abbastanza ben definito nella ampia letteratura aneddotica.

Dopo la lunga fase di ottenimento delle autorizzazioni ufficiali ed etiche allo studio, durata 2 anni e 8 mesi, sono stati autorizzati a sperimentare due singole dosi, una bassa come prova di tollerabilità, ed una un po’ più alta e potenzialmente attiva, su dodici pazienti con depressione moderata o grave, di lunga durata (in media quasi diciott’anni), e resistente alle consuete terapie farmacologiche.

Poiché la dose utilizzata ha effetti psichedelici che potevano turbare i soggetti, e sulla base di quanto già noto dalla Letteratura disponibile, essi sono stati mantenuti in un ambiente (“setting”) favorevole, ed supportati da psichiatri con modalità definita “non direttiva”, in maniera da non interferire con le attese alterazioni del sensorio e dello stato di coscienza. Sono stati effettuati prima e dopo test psicometrici, incluse le consuete scale sulla depressione, e indagini di risonanza magnetica funzionale.

L’intervento farmacologico è stato ben tollerato, e i più comuni effetti avversi sono stati transitori di ansia, confusione mentale, cefalea e nausea, che non è stato necessario medicare con benzodiazepine o neurolettici, comunque disponibili durante l’esperimento. Gli effetti psichedelici iniziavano tra mezz’ora e un’ora dalla somministrazione, raggiungevano il picco a 2-3 ore, e dopo 6 ore tendevano ad annullarsi.

Otto su dodici pazienti hanno sperimentato una remissione completa dei sintomi depressivi ad una settimana, e cinque su dodici la mantenevano a tre mesi dopo la singola somministrazione attiva, mentre altri due continuavano la risposta al trattamento senza raggiungere il criterio della remissione completa. Il tasso di remissione osservato è interessante e superiore – secondo l’editoriale di accompagnamento – di circa il doppio a quello dei consueti antidepressivi bloccanti della ricaptazione della serotonina.

Il grafico mostra l’andamento del Beck Depression Inventory per tutti e dodici i pazienti.

psilo

Il valore di questo studio, come riconosciuto dagli Autori, non è quello di proporre direttamente l’uso di questo o altri allucinogeni nel trattamento della depressione, ma quello di essere riusciti a riaprire una linea di ricerca tenuta chiusa dalle politiche internazionali negli ultimi 40-50 anni e cioè quella dello studio degli effetti medicamentosi delle sostanze ad effetto psichedelico.

Gl Autori inoltre tengono ad attribuire sin d’ora importanza sia al trattamento farmacologico, che all’accompagnamento psicologico dei pazienti, prima durante e dopo l’esperienza psichedelica, ed all’ambiente rilassante e supportivo, rimandando la valutazione del peso relativo di ciascuno di questi interventi a studi successivi.

Vengono brevemente richiamati in discussione anche risultati direttamente interessanti per la medicina delle dipendenze, come l’effetto duraturo di brevi trattamenti con psilocibina sull’astensione da tabacco e sulla riduzione del consumo di alcolici.

Sono discussi infine i rischi dell’effetto placebo e della suggestionabilità dei pazienti, possibilmente accentuata dall’esperienza psichedelica, e la possibile interferenza con i precedenti trattamenti farmacologici antidepressivi esperiti da pazienti.

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Un’idea che può emergere dalla lettura di simili studi, è che la droga d’abuso di oggi potrebbe essere benissimo la base del farmaco di domani. Peraltro pharmakon, dal greco, notorialmente vuol dire veleno, drug in inglese vuol dire sia farmaco che droga d’abuso, e lo stesso termine droga non ha tecnicamente un significato riprovevole ma indica ogni prodotto naturale dotato di attività farmacologica.

Quello che l’etimologia sta cercando di suggerirci è forse un invito all’attenzione, alla curiosità, al rispetto ed alla sospensione del giudizio nei confronti delle sostanze psicoattive e di chi ne fa uso, sia cercando aiuto, come chi afferisce ai nostri ambulatori, sia documentandone gli effetti con metodo scientifico, come gli psiconauti a cui dobbiamo la quasi totalità della Letteratura sulle sostanze psichedeliche.

Come rimarcato dagli Autori, la differenza tra medicamento e droga d’abuso probabilmente sta nel quadro di valutazione e ancor più di accompagnamento: il prodotto psichedelico non viene procurato su un mercato illegale o dalla qualità produttiva inaffidabile, l’opportunità del suo uso viene giudicata sulla base di criteri razionali derivanti dalle conoscenze scientifiche disponibili, ed il soggetto che ne fa uso non è lasciato a se stesso ma accompagnato prima durante e dopo il trattamento da terapeuti esperti in condizioni protette, prevedendo i possibili rischi e valutando in maniera chiara gli esiti conseguiti.

La pubblicazione originale, e l’editoriale che la discute, sono disponibili liberamente.

http://www.thelancet.com/journals/lanpsy/article/PIIS2215-0366(16)30065-7/abstract

http://www.nature.com/news/magic-mushroom-drug-lifts-depression-in-first-human-trial-1.19919

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